Massimo Rizza

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Tra l’immagine di pietra e lo sguardo della storia vi è una ferita aperta che l’essere umano desidera ricucire. La fenice è il simbolo che sembra richiudere la forbice tra esistenza e morte, quasi un filo che ricucia. Alle coppie oppositive, che mostrano l’abisso che le accomuna, appartengono sono anche Dio e il nulla, il foglio bianco e la scrittura, la mente e il corpo. La parola viene in soccorso, aiuta a credere alle visioni unificanti. Tra le pieghe del dire si trova la forma del mitico uccello, che si può intravedere tra “le ombre mute” e “le crepe del muro”. La figura emblematica, che racchiude in sé il sole che sorge e che tramonta, è, nella poesia di Rizza, associata alla stella Cassiopea, punita per la superbia con la quale ha considerato la sua bellezza. Tuttavia, la bellezza è mezzo. Questa volta è la notte e non il cielo diurno a delineare una scenografia gravida di silenzi primordiali, la quale ancora lascia da soli gli esseri umani sul percorso dove vanamente essi cercano di afferrare segni. Ma è proprio nel “perdersi” e nel “rincontrarsi”, la spinta alla rinascita o almeno la spinta a proseguire.

 

Costellazioni ferite

Immergersi di nuovo per cercare la bestia

lei ferma indifesa dorme, l'occhio è dolce

il suo respiro è il ritmo del tempo che vive

di quel ritrovarsi soli e insicuri sulla carta

tra l'antico sale e la sua immagine di pietra

nello sguardo la storia di una ferita aperta
 

si scrive Fenice notturna velata sull' acqua

vita di passioni e visioni di pesci volanti

di quell'odore denso, misto di nascita e morte

luci di corpi abbracciati che cercano il senso

di parole dai bordi umidi, liberate nell'aria

con ago e fili d’oro ricuci la ferita del cielo.
 

Nei loro occhi di ragazzi un deserto buio

nuove costellazioni mescolate alle vele

di quel vuoto che riflette i pensieri freddi

nel disperdersi sabbia, sulle parole ferme

tra il nuovo Dio e la loro prima ferita vera

venuta dal nulla, figlia della sospensione

luce tremolante di una lacrima trasparente,

Idra caduta nel silenzio di un punto bianco

osso lucido al sole: antica memoria di carne
 

in superficie la cerchi tra le pieghe del dire

immagini la forma del suo essere corpo

stendersi nel divenire, misura dell'abitare

la senti vicina dalla luce che precede ogni

nascita, senza conoscere le sembianze di chi

ormai trasformata, si cela tra le ombre mute

bestia ferma, sospesa tra le crepe del muro,

Lucertola dalla coda a metà, malata d'amore

attesa piegata dal sole che le muore dentro.
 

Tra i corpi di pietra si allunga Cassiopea

sofferta si nasconde la regina sfigurata

maschera di notte offesa che scivola via

la trama gravida di silenzi primordiali

apre le labbra di carta, lascia l'impronta

di un procedere nella carne viva del testo

striscia tra le statue amputate di memoria

in fondo l'urlo finale prima del giorno

profumo di bianco, colore di sole parole
 

la sua carne lacerata, dimòra e figura

di una sembianza che ti lascia di nuovo

disperso tra gli amanti del solo andare

procedere a tentoni, a cogliere i segni

di quel vivere a misura del suo passo,

Orione che si fa luce e rinascita rosa

rincorsa e presa sulle labbra, pronuncia

il nome di quel perdersi e incontrarsi

dove l'anima sente ancora il soffio vivo.


Massimo Rizza è nato a Sesto San Giovanni e vive a Segrate (Mi). E’ laureato in pedagogia e ha operato nel campo dell’istruzione in qualità di dirigente scolastico. E’ condirettore della rivista letteraria Il Segnale. Ha pubblicato la raccolta poetica Il veliero capovolto, Ed. Anterem (2016).
Nel 2017 ha vinto il Premio Letterario Interferenze, Bologna in lettere, per la sezione poesie inedite. Suoi testi narrativi sono pubblicati in antologie e on line sul sito della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Testi di poesia, critica e saggistica sono apparsi su riviste letterarie italiane, tra le quali: “Anterem”, “Capoverso”, “Erba D'Arno”, “Il Segnale”,“ l’immaginazione”, “ Pagine”, “Scibbolet”,