n. 51, = 0

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«Anterem» dicembre 1995

… dal momento che il segno, in se stesso privo di significato, viene posto = 0, anche l’originario, ovvero il fondo nascosto di ogni cosa, può allora farsi presente.

Hölderlin

A ogni atto deliberativo, la parola offusca il paesaggio colonizzato per fare luce su quello che va fondando. Continua conferma nel testo dell’immanenza di un sapere del testo, la parola muove i suoi passi in zone liminari, in prossimità dello zero; dove si fa visibile l’oltranza, il luogo di caduta e di strapiombamento in cui la poesia può mostrarsi.

È propriamente una crepa quell’ambito a cui è rivolto il suo sguardo, quel mediante che la parola apre e chiude con un battito di ciglia.

La sua vitalità risiede in un nucleo estremamente mobile, principio dell’origine perduta o dell’assenza di origine. La sua natura profonda è intransitiva. I suoi risultati sono sempre il consolidamento di un’atopia. Per cui la relazione è differenza. La durezza, vibrazione. L’opacità, trasparenza.

Lo zero si configura come effetto di una cancellazione che lo precede. Stringendo con essa alleanza, la parola testimonia l’essenza della prima pronuncia: l’hybris che nel suo svanire splende. Mimesi del caos originario.

La parola destinata ad accogliere in sé, istituendole, alterità e identità non conosce sospensioni, serenità, riposo.

Seme e terra atta alla germinazione, in sé custodisce l’ombra che sta alle sue radici, impedendo alla costruzione poetica di configurarsi come una battaglia di suoni o di rifluire nell’amorfismo del dizionario.

Avida e madre, percorre le aule in cui l’intendere e il sentire non sono separati, e il vedere è anche vedersi. Aule di una Wildniss incessantemente esposta a una minaccia; erosa e al limite della sommersione. Sempre inscritta in una sitazione di emergenza. Straziata coscienza aurorale in cui la luce non sconfigge le tenebre, ma ne prosegue il cammino.

Flavio Ermini