n. 63, La poesia pensa

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«Anterem» dicembre 2001

Le poème – cette hésitation prolongée entre le son et le sens.
Valéry

La ricerca letteraria si muove tra conoscenza intuitiva e conoscenza concettuale, in un movimento che infrange la differenza dei codici; torna a sospendere la frontalità tra poesia e pensiero; provoca a pensare altrimenti.

La ricerca letteraria – intesa come atto conoscitivo senza possesso – impone al poeta di esporsi alla necessità che lo ha fatto pensare; di affidarsi a nomi declinati come elementi naturali, anteriori alle distinzioni fra soggettivo e oggettivo; di aprirsi un varco verso ciò che resta di impensato.

Filosofi e scienziati percepiscono che il linguaggio tradizionale è incapace di raggiungere certi fenomeni della vita, non visibili e dunque inaccessibili in modo diretto (e a cui dunque partecipiamo senza consapevolezza): sono realtà che, non nominate, si sottraggono, si trascinano via, per rispecchiarsi nel silenzio, con il quale il linguaggio della poesia si trova invece in stretta comunicazione.

Ci domandiamo: è ancora praticabile un respiro poetico che viva unito alla filosofia e alla scienza in virtù della necessità e, come chiede Zambrano, «in un’unità tanto intima e autentica da risultare invisibile»? È ancora configurabile un nesso tanto preciso tra sentire, parola e pensiero da cogliere in tutta la sua forza la lacerazione tra l’uomo e il mondo?

La possibile definizione di essere pensante è questa: un essere che non si lascia pensare da un altro essere o da una macchina. E la poesia? La possibile definizione di una poesia pensante è questa: una poesia che non si lascia pensare da un’altra istanza.

Chi lo può negare? Il pensiero della poesia non è più il pensiero della filosofia, dell’estetica, della critica letteraria, ma un pensiero che parte dall’opera stessa. Non solo. Il pensiero che parla dalla poesia è un pensiero che non può aver dimenticato di essere originariamente poesia.

Va rimessa in circolazione l’idea di una poesia che si costituisca nei confronti delle cose come esposizione e ascolto senza mediazioni. E questo perché la parola non abbandoni totalmente l’inquietudine dell’enigma per la quiete della ragione.

Per la parola poetica non si tratta di afferrare le cose, come vorrebbe la ragione, ma di incontrarle. Nominando la cosa, la poesia le assegna il suo destino così come lo assegna a se stessa.

Poesia non è la messa in scena di una realtà preesistente, esterna all’invenzione linguistica. Poesia è nuovo evento.

Per questo il poeta da una parte custodisce il valore della parola, lasciando intatto il suo legame con il silenzio. E dall’altra favorisce le transizioni fra codici differenti (scientifico, politico, religioso, etico, musicale, filosofico...) allo scopo di stabilire una nuova relazione con la passione della verità.

A questo proposito, la poesia va dunque pensata non come un rapporto sulle sensazioni, ma come l’organizzatrice diretta delle stesse. Come insegna Guy Debord, «si tratta di produrre noi stessi».

E allora non si può che essere d’accordo con Benn quando scrive: «Se da una composizione in versi estraete ciò che è legato allo stato d’animo, quello che resta, ecco, questo è forse una poesia».

Con tutto questo, non si tratta di assegnare un ruolo eminente e primario alla figura del poeta. Solo di stabilirne la specificità.

Su ciò che ancora non si sa, come su ciò che non è più logico, l’uomo suole imprimere una forma e un nuovo linguaggio, per dominarlo. Pretende di gettare una luce completa sulla sua esistenza e sulla realtà. In questo modo vede bene ciò che ha, ma non ciò che è.

Ma il linguaggio non è solo una rigida struttura logicizzante, padroneggiata dagli utenti. Contro questo linguaggio la parola poetica è insorta allo scopo di non annullare una parte consistente dell’essere al mondo.

Il nostro punto di vista su ciò che esiste non è indipendente dal modo in cui ne veniamo a conoscenza. Cioè non prescinde dalla nominazione. Dunque non è indipendente dalla parola poetica.

A questo punto non risulta più azzardata l’ipotesi sostenuta da Wittgenstein: «La filosofia si dovrebbe comporre poeticamente».

Flavio Ermini