Massimo Scrignòli, Luce verticale, con una nota di Marco Furia

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Massimo Scrignòli, "Luce verticale"

 

Con "Luce verticale", Massimo Scrignòli presenta una versificazione fluida ma complessa, tale da rendere partecipi d'una vicenda poetica in cui autore e materia trattata convergono, fino quasi a coincidere, nell'immagine del fiume.

Dico "fino quasi", perché coincidenza perfetta non v'è: s'avverte, in ogni modo, la presenza dell'io scrivente, sebbene molto partecipe.

Versi quali

"Per uscire dal mondo dobbiamo
intuire decifrare tradurre
tutti gli indugi del tempo.
Ma i miei fiumi hanno scelto
la clausura delle mareggiate, hanno
condiviso i misteri impazienti di Orfeo"

paiono indicare una sorta d'inclinazione verso una natura in grado di offrire, di per sé, scampo alla "paura", al "timore" presente nell'incipit.

Siffatto atteggiamento reclamerebbe una completa rinuncia all'individualità umana con tutte le sue spiccate attitudini riflessive e logiche, uno scioglimento quasi nirvanico nei misteriosi flussi dell'essere al mondo.

Ma non è questo l'atteggiamento del poeta, il quale, piuttosto, è propenso a constatare, a prendere atto: esiste una contrapposizione, non si vede, nell'immediato futuro, la possibilità d'una sintesi, di un'armonia e, di fronte a tutto ciò, l'arma della ragione non sembra abbastanza rapida, efficace.

L'inquietudine, insomma, emerge come tema d'una poesia che non indulge a toni scomposti, ma, con un dettato chiaro, preciso, in cui la forma ben aderisce all'esigenza di esprimere circostanze drammatiche, presenta una situazione certo poco allegra.

Un'inquietudine, tuttavia, che i "fiumi", e con essi l'autore, non hanno rifiutato (lo dimostra, al penultimo verso, la congiunzione "e" riferita al precedente "hanno scelto"), in un gesto di fiducia nell'esistere, testimoniato, almeno per il Nostro, dal fatto stesso di scrivere.

 

***

C’è timore e ancora si sente
quando soltanto un soffio convoca
tutte insieme le foglie
eppure
alla paura avvertita in aria i miei fiumi
preferiscono la clausura, scelgono
la grazia del gorgo, una grazia misera
da pioppo di golena, piccola
ma figlia di un’annunciazione
che mai si potrà compiere.
E quando a Praga sono le undici
e anche sopra l’ombra della mano
di Jan Hus sono esattamente le undici
allora la pioggia diviene fiume
e svuota il cielo, muove i tetti
li spinge adagio sulla riva della Moldava
e dell’Elba, e sul Tamigi e giù
sulle foglie della Senna. Poi
sul ponte più antico ritorna pioggia
e aspetta il Po di mezzogiorno.
Per uscire dal mondo dobbiamo
intuire decifrare tradurre
tutti gli indugi del tempo.
Ma i miei fiumi hanno scelto
la clausura delle mareggiate, hanno
condiviso i misteri impazienti di Orfeo
e tutta questa libertà inquieta dove
il pane è una luce verticale.

 

Massimo Scrignòli è nato nel 1953. Dalla fine degli anni ’70 svolge un’intensa attività in ambito editoriale. Ha collaborato con vari artisti per la realizzazione di cartelle e libri d’arte. Già finalista al “Viareggio” per la poesia, ha ricevuto diversi riconoscimenti e premi letterari. Ha pubblicato alcuni volumi di poesie con prefazioni, tra gli altri, di Raboni, Ramat, Pampaloni, Sanesi. Il suo libro più recente è Lesa maestà, Marsilio 2005.