Andrea Gigli, da “Cronache di variazioni aeree”, con una nota di Giorgio Bonacini

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Andrea Gigli

CRONACHE DI VARIAZIONI AEREE

 

Tante le direzioni di lettura per queste poesie, dove il termine “cronache”, con il suo senso denotato di “registrazione corrente” non deve ingannare, perché è più sulla parola “variazioni”, che ne moltiplica la significazione, che si deve indagare. Infatti si tratta di un poema, suddiviso in alcune parti, che ha il suo centro e il suo motore nel motivo delle “percezioni”. Da questo concetto, che diventa esperienza di scrittura, scaturiscono i versi che si concentrano in sensibilità visive, sonore, tattili.

La tripartizione del testo è esemplare: si parte dalla visione dell’orizzonte (al suolo), passando per pause di concentrazione (stati di attenzione), per arrivare alla descrizione di un movimento vertiginoso (in verticale). Il poema ha inizio quando “si apre la porta della/stanza...” con un preciso gesto in cui lo sguardo si volge sulle cose del mondo - i dintorni della stanza, della casa, dell’esterno artificiale e naturale - osservate con una lente mentale che l’andamento poetico rileva nei suoi aspetti dinamici. La parola è attentissima e non cede mai a forme, anche minime, di realismo ingenuo, perché Gigli dosa la scrittura con una precisione che gli permette di raggiungere il massimo grado significativo. La voce poetica è lo strato profondo della lingua da cui emerge un’immagine sfigurata, ma tanto più densa e persistente, che si lascia trasportare in modo lieve e si fa prendere da una necessità incisiva in cui basta poco: è sufficiente “solo un dito” a tracciare “righe sulla/polvere...”, e a far innalzare e sospendere questo polline significante che oltrepassa e compenetra sottilmente ogni codifica del senso, come in un “moto/del pulviscolo sospeso”.

Ed è proprio intorno a questi sciami, a queste nuvole impalpabili, nella parte centrale del testo, che il linguaggio prova a catturare, con l’uso del suo sguardo che determina da sé le prospettive, e dunque il suo proprio vedere, una conoscenza mobile che possa essere detta in un suono vibrato e sensibile, con la sua “voce, liquida dal/capo nella bocca”. Sono i segni di una fisicità che si prepara, si attiva per raggiungere una mobilità che non escluda nulla: il gesto, l’attrito, l’occhio ed ogni capacità sensoriale per incontrare e accogliere “la cosa” che sta fuori dalla concretezza pensante, ma che vorrebbe raggiungerla: “se chiara o liscia/o ruvida, averla/detta è tutto...”. C’è dunque una consapevolezza estremamente lucida, nella poesia di Gigli, di come il dire sia a fondamento della formazione del poema, e ciò che viene detto (nel caso specifico il tentativo di percepire, dare senso e ricostruire una visione nell’interiorità del canto) attraversa l’esistenza nella con l’attivazione di una forma di conoscenza del mondo che affiora e affonda “cadenzando con/cura l’impatto...” di ciò che si riesce o non si riesce ad afferrare.

Ma questo non è ancora abbastanza, perché all’esterno lo spazio è abitato nel volo. Appaiono uccelli: e il loro moto, troppo umano per essere fissato, procura vertigine. La scrittura, allora, prova a distendersi, cercando di seguire quelle evoluzioni, “la rincorsa sulla/corrente calda, la discesa/la lunga curva e la ripida/picchiata...” . Poi come in un fiume d’aria ciò che si vede va e viene, si ferma, ruota, si sposta in un movimento di passaggio che ha fine solo “nel tocco/quieto della luce.”

 

 

Da Stati di attenzione I

 

I, 6

la voce finalmente

sollevata dal carico

di un’ora nel semplice

ascoltarsi in crescita

o caduta, pochi residui

lasciati accantonare per

poi deporsi non lontano

un incavo la zona di

raccolta, in rapida

sequenza la sosta poi

la ripresa, ma non

avanza e cede, come

per sorreggersi sul filo

del riposo: è tutto

 

 

Da Stati di attenzione II

 

II, 6

dev’essere così, essere

stato un mai rappreso

ma dopo, dopo come

tornare, come da

qui ad allora lo

stesso tratto dice

calce del viso dove

dove pensata, come

dice: “guarda” è solo

questo, guarda ma è

proprio allora che si

spegne

 

II, 7

sarà breve il passaggio

appena oltre un tipo

d’indagine mai nota

un’allegria, il consenso

la corsa che non

cessa e ancora suoni

il moto che li volge

il nesso che ancora

lega il punto a cui

tornare

qui una

presenza ingannevole

così limpida l’assenza

 

Andrea Gigli è nato a Firenze nel 1956. Ha pubblicato Tavole fenotipiche, Cierre 2005. Suoi testi sono presenti nel Portfolio “i miosotis”, Edizioni d’if 2007, nel volume Poeticamente abita l’uomo, Moretti&Vitali 2008, in Registro di poesia n.1 e n. 2, Edizioni d’if 2008 e 2009.