Rinaldo Caddeo, da “Dialogo con l’ombra”, con una nota di Rosa Pierno

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Rinaldo Caddeo, “Dialogo con l’ombra”, La Vita Felice 2008

 

L’ombra diviene concetto estensivo, si allarga simile a una macchia d’olio, inglobante tutto ciò che trova sul suo percorso, come se una tenda tirata, a ogni cosa, rapinasse non solo luce, ma anche sostanza. E, dunque, sotto questo effetto: “sagoma di lepre in fuga / tenuta alla catena / fantasma di un amore / gettato alle spalle / inchiostro rovesciato latte scuro / strana idea di me che t’allunghi” gli oggetti denunciano non soltanto un cambiamento nelle condizioni ambientali in cui essi sono esperiti, ma, di fatto, un’effimera apparenza. Un tale immediato darsi sulla scena comporta che si traggano conseguenze altrettanto repentine, se non altro per non essere sorpresi dagli eventi, per sintonizzarsi immediatamente con ciò che ci si troverà a fronteggiare nell’istante successivo: “sei solo una forma / un’orma, un vuoto?”. L’accerchiamento del poeta sferrato da tali oggetti viene però completamento capovolto. E’ Caddeo a inchiodarli, riconoscendo la reale materia di cui sono fatte tali ambigue apparenze: esse appartengono alla sua medesima sostanza, sono l’oscurità che risiede in lui. In un corpo a corpo serrato, poiché non è da credersi che tale riconoscimento possa essere neutrale o risolutivo, l’oscurità ponendo un problema almeno di chiarificazione, Caddeo intesse un dialogo con la parte oscura di sé, la quale, certo, per essere umbratile non è meno corposamente ossessiva. E se non è l’ombra a inseguire il poeta, è lui che la insegue per tentarla, per dare corpo al poetico testo. Quello che si svolge sulle pagine sarà il tentativo di fissarne limiti, di definirne i poteri, di rintracciarne la storia, di determinarne il raggio d’azione: l’ombra è concetto preesistente alla singola storia dell’individuo. In qualche modo, la propria oscurità viene condivisa, se ne rintraccia la geologia nell’oscurità dell’umanità. Perché l’individualità è sempre frutto di ciò che ci viene culturalmente tramandato. Al termine di questo viaggio nei meandri in cui la parola ombra dispiega tutta la sua enorme capacità simbolica, Caddeo potrà affermare di avere: “imparato a decifrare l’alfabeto delle tenebre / le spaccature del terreno / le crepe ai muri l’orlo”. Se anche la scrittura che ne risulta appare di cenere è questo il segno di una capacità raggiunta di accettare le ombre nella nostra esistenza in quanto mitigatrici ed equilibratrici di una altrimenti accecante sostanza.

 

 

Dal prologo

 

Mattino

chi sei? scivoli sulla terra

dietro me senza una briciola

un filamento o un’abrasione

sulla tua tunica nera

sfiori tutto

senza spostare niente

 

 

Dall’epilogo

 

Preghiera del mattino

dacci la nostra ombra quotidiana

non ridurci a destinazione

liberaci dalla tentazione

di un contatto troppo stretto con le cose

e con le persone metti la giusta

distanza tra noi e la lucetta frisa

non chiederci un assegno a vuoto

sul valore del mondo

al posto del cielo

al posto della terra

al posto della superficie

liscia ruvida umida secca

metti la tua impronta

la forma di una forma

alla nostra faccia alla nostra voce

perdona la materia

se è un cieco che ci conduce

diventa la nostra guida

illumina di buio

l’oscura nostra vita

 

Rinaldo Caddeo è nato a Milano nel 1952. Ha pubblicato tre raccolte di poesie: Le fionde del gioco e del vuoto, Narciso, Calendario di sabbia; una raccolta di racconti: La lingua del camaleonte; una di aforismi: Etimologie del caos. E’ redattore della rivista milanese di poesia, filosofia e arte “La Mosca di Milano”.