Marica Larocchi, dalla raccolta inedita "Polveri e piume", nota di Giorgio Bonacini

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Entrare in questi versi è fare un viaggio in immersione ascensionale, in un’ interna esteriorità, similmente oscura e luminosa. Le profondità intime dell’umana natura rovesciate verso il cosmo interstellare. Antropologia cosmologica che trasborda l’intelletto poetico “ all’ istante nel chiostro di nebulose segrete”. Così, nelle parole in apertura di questa raccolta, l’autrice fa parlare le figure che agiscono nello spazio tumultuoso che osserviamo e ci contiene: stelle, telescopi orbitanti, programmi di ricezione spaziale, nebulose e teorie dell’ inizio e della fine.

Il tutto avvolto da una scrittura poetica dove lo sguardo immaginativo mette a fuoco e deflagra: poi fluttua, vortica, spezza e ricompone investigazioni labirintiche roventi d’estasi. In questo modo, Marica Larocchi, trasporta i versi dentro un poema che fa dello sguardo il suo propulsore significante. Proprio lì dove la natura della mente amplifica la visione e “ogni fulcro si connette”. La compenetrazione si espande e la voce interiore scava l’alveo nello stesso momento in cui scorre. Così la poesia che leggiamo è una corrente di figurazioni vocali senza sosta. Nervi e ritmi, sillabe e misteri del profondo vengono a galla con onde di sensi visivi e concettuali che danno al sintagma un sentimento inestricabile ma chiaro. E l’ approdo, pur controvoglia, potrebbe arrivare, nota l’autrice, con un’impetuosa zoppia di versi, ma senza per questo perdere vigore. Anzi, sboccia in curiosità e tenerezze lessicali, in cui una biografia minima di sè e della scrittura è figurata e trasfigurata in un riverbero di musica: sostanze di fonemi e pulsazioni dilatate. Dunque un mondo di poesia che ha senso in ogni suono.

Polveri e piume

Polveri e piume

Polveri e piume