Maria Luisa Vezzali, "Tutto questo", Puntoacapo 2018, nota di Rosa Pierno

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Più che descrittivi, sono definitori i versi di Maria Luisa Vezzali: gli elementi vi sono scolpiti insieme alla loro funzione: “mantici che pompano costanza”, “sfinge scava senza fine nel petto”. Reali o mentali che siano, tali elementi compiono un’azione che diresti eterna. Il tempo, pertanto, in questo limpido scenario, è appena la successione di tali definizioni. Un dialogo si accampa a tratti nel quadro poetico rinforzando la convinzione che si tratti di una poesia gravata da un viraggio morale che finisce con lo svelare che il teatrino ha un meccanismo e che la botola al di sotto del palco può scattare fino a imporre una completa trasformazione di ciò che è in scena: “sono senza gola / esplosa d’alba / sono / la linea / della tua ombra”. La trasformazione individuale è anche collettiva e l’autrice attraversa temi contemporanei (le stragi, l’immigrazione, le crisi economiche) adottando stili anche molto diversi, appartenenti anche ad altre culture. Ecco che ci pare perfetta la scelta di una sua chiusa: “Sfasatura obliqua dove è valore il linguaggio”.

 

 

Dalla sezione Versi di esperienza e di amnesia 

 

Della bellezza

 

bellezza è quell'armonia dolcemente

crocefissa nel rilievo dell'onda

che riconosci come un luogo

frequentato a lungo in un passato

che non è nel tempo

ma sul tetto della piramide

sfinge scava senza fine nel petto

il pozzo del dono che non fa rumore

 

 

Dalla sezione Scuola d’ossa

 

Arnaut

 

ogni giorno trovi in fiamme il percorso

del tram il gioco a nascondino

della ressa all’interno

le scale sepolte da grida la forza

centripeta del banco in prima fila

 

hai l’odore dei treni che partono

come partono le carovane

nella desertificazione della rena

radici notturne nel sangue

e un pugno che protrude dalla carta

sei così irto, brina e roccia

che il tuo sguardo arabesca il vetro

    ora preparati a vestiti diversi

    se questa è casa

    e casa devi chiamarla

    preparati a disegni diversi

    tutto smotta, cambia e si drena

 

il fiume per quanta onda lo gonfi

neppure si tende come la linea

retta della tua schiena

quando scoppiano sassi nel silenzio

sotto la pelle e un pugno che sfonda

la storia sale e scende senza luogo

corso senza riva per rimanere intatto

    ora preparati a suoni diversi

    se pure è lingua

  e lingua devi sentirla

  a diversi sapori

  sui denti strappati dall’alveo

 

e tu fermati fermati mattino

se deve avere un senso

anche in questo scarno

granaio di vento

anche contro la marea

 

 

Dalla sezione Cartoline metafisiche

 

3. (dalla lavagna)

Allo scafo appartiene il timone o alla mano, ai tendini di vento che hanno provato lo strappo delle partenze, il nuoto che stringe i denti nell’ambiente lunare estraneo che fa resistenza? Cosa parla alle foreste di bambini con gli arti arruffati, nati al volo, accucciati nel fondo muschioso del tempo, la materia smemore molle al sacrificio o la testa fresca caparbia di bellezza di un corpo non estenuato, una fame inconsumabile di cominciare imbracciare la rotta?

 

5. (da Gatwick)

Ci fosse un confine in fondo ci sarebbe un passaggio di stato un transito una dogana. Come si fa con i paesi quando si fruga la propria identità dentro la valigia e i cancelli elettronici non riconoscono i segni naturalissimi graffiati dal tempo sul volto. Ma i confini dentro gli occhi sono così fragili. Si sbriciolano al minimo impatto con la vita. Noi siamo qui fumi di fucina, poi particole gemmate dall’incendio. Non si cambia valuta, semplicemente non si spende, si è spesi.
 


Maria Luisa Vezzali