Vincenzo Guarracino, saggio inedito “Interrogare la notte”, con una premessa di Mara Cini

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Poeti di fronte alla notte, artisti sul bordo del precipizio, solitarie figure alla Caspar David Friedrich nel ghiaccio blu dell’immenso. C’è una natura del grande infinito impossibile da conoscere, da percorrere, da abitare, che dà all’uomo “la consapevolezza della sua umana fragilità”. E c’è una natura del quotidiano, vicino, possibile, da toccare – ginestre, siepi, eccetera - che racchiude in forme più familiari e composte tale fragilità.

Ma libro del mondo è comunque inquieto, più inquieto ancora sotto lo sguardo delle parole. Quando si attua quello che Guarracino chiama “un’effervescenza energetica del sapere”. Sì, possiamo intuire di cosa si tratta, qualcosa che resta dietro di noi anche quando ce ne andiamo.

 

 

Interrogare la notte

C’è un’immagine, in limine al De rerum Natura lucreziano (I, 136-145), che colpisce per la sua carica di disarmante e autobiografico titanismo, la prima e l’ultima volta di tutto il poema, ed è la dove il poeta, dopo aver confessato l’ardire del suo proposito di trasferire “in versi latini” obscura reperta, “le oscure scoperte” del genio greco, si rappresenta a noctes vigilare serenas, “a vegliare nelle notti serene”, a interrogare il gran libro della Natura per carpire al suo silenzio il segreto delle cose e clara…praepandere lumina menti, “trasmettere alle menti una luce scintillante” di verità.

E’ su questa immagine che mi preme soffermarmi, per gettare un minimo di luce da una diversa prospettiva sui complessi rapporti tra Lucrezio e Leopardi, tra due poeti cioè accomunati della più tragica oltranza interrogativa sul limite di un disagio storico e di un’essenziale disarmonia: un’immagine che si pone come l’emblema stesso della loro ricerca, per la sua urgenza allegorica e per l’orizzonte etico e gnoseologico che delinea.

Interrogare la notte, come dire interpellare e sentirsi interpellati dal mistero delle cose sul teatro dell’essenziale solitudine, che racchiude il corpo del soggetto poetico: Lucrezio (“tu mihi supremae praescripta ad candida calcis / correnti spatium praemonstra, callida musa, “e tu, nel momento in cui mi slancio verso la bianca linea che segna il termine della mia corsa, / mostrami la via, o musa ingegnosa”, VI, 92-93) e ancor più esplicitamente Leopardi (“Chi teme, canta”, Zib.3527) hanno coscienza che è in questo spazio che la parola poetica, sovraccaricata di una chiara intenzione di rassicurazione e seduzione, si incontra col ritmo di un pensiero dalle domande inesauribili per trasformarsi in un movimento che trova nell’infinito (o meglio, nell’indefinito) la sua figura essenziale, chiamando in evidenza e trasparenza le intime fibre dell’ombra, simulacra modis pallentia miris, “i pallidi simulacri di un pallore alieno” (123) non meno dei “mille vaghi aspetti / e ingannevoli obbietti” (Il tramonto della luna, 4-5), i fantasmi cioè della propria inquietudine, senza riuscire a vincerli ma anche senza restarne annichilito, in virtù di una eroica volontà di conoscenza.

Si tratta di un faticoso processo che per entrambi, pur per diverse vie, verte ad un unico risultato, quello di dare all’uomo la consapevolezza della sua umana fragilità.

In Lucrezio, si innesta e corrobora fin dall’inizio in un’ansia conoscitiva senza ipoteche e protezioni metafisiche, per approdare ad una visione dell’uomo difeso dalla corazza di una ratio capace di offrire finem…cuppidinis atque timoris, “un limite al desiderio e al timore” (VI, 25), una volta indagate e penetrate res occultas penitus, “i segreti più profondi della natura” (I, v.145), e di procurare un sollievo ai mali che affliggono la coscienza nella visione del triumphus Mortis del libro VI.

In Leopardi, matura per gradi, attraverso il progressivo rigetto di ogni mistificazione spiritualistica, fino a trovare sullo scenario lucreziano per antonomasia, le pendici del Vesuvio della Ginestra, il luogo dell’approdo e dell’emblematica conferma e consacrazione (“Dipinte in queste rive / son dell’umana gente / le magnifiche sorti e progressive”, 49-51) in toni di vibrante polemica nei confronti del “secol superbo e sciocco”(v.53).

Nam cum suspicimus magni caelestia mundi / templa super stellisque micantibus aethera fixum, / et venit in mentem solis lunaeque viarum, / tunc aliis oppressa malis in pecora cura / illa quoque expergefactum caput erigere infit (“Quando, alzato il capo, contempliamo gli spazi celesti / di questo vasto mondo, e le stelle scintillanti fissate nelle altezze dell’etere, / e il nostro pensiero si porta lungo i corsi del sole e della luna, / allora ci sorprende un’angoscia, soffocata sino a quel momento sotto altri / mali, e comincia a farsi sentire…”, V, 1204-1208).

Come resistere o reagire a questa cura, all’angoscia mista a stupore di un qualcosa di incomprensibile, se non disponendosi al miraculum delle cose, all’invenzione di un pharmakon di saggezza affiorante all’improvviso dalle cose più neglette, dal tempo fatto cenere e dall’oro dei roghi immensi e distruttori dei boschi primigenii, di cui non a caso Lucrezio parla subito appresso al brano citato (1241-1280)? E’ “dall’ombra e dal disprezzo” (e contemptibus, 1278), che può sbocciare, fecondato dall’ambrosia di una ratio tutta umana, il fiore della poesia, la parola capace di dar voce alle domande più profonde, esorcizzando ogni paura nel canto (requies hominum divumque voluptas, “riposo degli uomini e piacere degli dei”, VI, 94).

“Sovente in queste rive, / che, desolate, a bruno / veste il flutto indurato, e par che ondeggi, / seggo la notte; e su la mesta landa / in purissimo azzurro / veggo dall’alto fiammeggiar le stelle…”: sono versi centrali della Ginestra (158-163), in cui l’esperienza indefinibile dell’io, consegnata all’emblema di una fragilità resa onnipotente dal sentimento dell’umano e dalla consapevolezza della propria mortalità, acquista conforto e consistenza in virtù della perentorietà dell’interrogazione, dell’acutezza dello sguardo, portando sulla scena della lingua un’effervescenza energetica di sapere, a dispetto del silenzio e dell’avvolgente tenebra circostante, a dispetto della Notte e della terra ridotta a “flutto indurato” dalla cieca indifferenza della Natura.

In questi termini, a prospettarsi ècosìun orizzonte davvero nuovo e straordinario di lucidità e saggezza, in cui il dialogo del pensiero con il “solido nulla” (Zib. 85) di cui è allegorica figura l’indistinto notturno, connota l’intrepida energia di chi la sua battaglia esistenziale e morale sa di doverla combattere giorno per giorno attraverso la scrittura, con dialettica determinazione, fissando fieramente in faccia il proprio destino, “erta la fronte, armato / e renitente al fato” (Amore e Morte, 110-111) e disposto per essa “a sostenere ogni fatica” (quemvis efferre laborem, I, 141), nonostante il destino di sparizione di ogni vivente.

 

 

Vincenzo Guarracino, poeta, critico letterario e d’arte e traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (ER, Como 1979), Dieci inverni (Book Editore, Castel Maggiore, 1989), Grilli e spilli (Fiori di Torchio, Seregno, 1998), Una visione elementare (Alla Chiara Fonte,Viganello, Svizzera, 2005); Nel nome del Padre (Alla Chiara fonte, Viganello, Svizzera, 2008); Baladas (in lingua spagnola, Signum, Bollate, Mi, 2007); Ballate di attese e di nulla (Alla Chiara fonte, Viganello, Svizzera, 2010).

In prosa, ha pubblicato L’Angelo e il Tempo. Appunti sui dipinti della chiesa di Ceraso, Sa (Myself, Como 1987).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (Oscar Mondadori, Milano 1986), Guida alla lettura di Leopardi (Oscar Mondadori, Milano 1987 e 1998) e inoltre presso Bompiani, Milano, le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998), l’ Appressamento della morte, il carteggio Leopardi-Ranieri (Addio, anima mia, Aisthesis, Milano 2003), il romanzo di Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata (Aragno, Torino-Milano 2006).

Presso le edizioni della Vita Felice, Milano, ha pubblicato recentemente le novelle di Verga Per le vie, 2008, Libro delle preghiere muliebri di Vittorio Imbriani (2009) e Amori di Carlo Dossi (2010).

Per l’Editore Guida (Napoli) ha pubblicato Lario d’arte e di poesie. In gita al lago di Como in compagnia di artisti e scrittori (2010).

Per la Fondazione Zanetto (Montichiari, 2010), ha pubblicato una biografia di Antonio Ranieri, Un nome venerato e caro. La vera storia di Antonio Ranieri oltre il mito del sodalizio con Leopardi.

Ha curato le traduzioni dei Lirici greci (Bompiani, Milano 1991; nuova edizione 2009), dei Poeti latini (Bompiani, Milano 1993), dei Carmi di Catullo (Bompiani, Milano 1986 e Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005), dei Versi aurei di Pitagora (Bagatt, Bergamo 1988; Medusa, Milano 2005), dei versi latini di A.Rimbaud, Tu vates eris (Bagatt, Bergamo 1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (Demetra, Bussolengo, VE, 1996) e del Poema sulla Natura di Parmenide (Medusa, Milano 2006).

Ha curato inoltre le antologie Infinito Leopardi (testi di poeti contemporanei, Aisthesis, Milano 1999), Il verso all’infinito. L’idillio leopardiano e i poeti italiani alla fine del Millennio (Marsilio, Venezia 1999), Interminati spazi sovrumani silenzi. Un infinito commento: critici, filosofi e scrittori alla ricerca dell’Infinito di Leopardi (Stamperia dell’Arancio, Grottammare, AP, 2001), l’antologia Caro Giacomo. Poeti e Pittori per Giacomo Leopardi (Edizioni di Cronache Cilentane, Acciaroli, Sa, 1998) e Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005. Recentemente, una antologia da lui curata della poesia leopardiana, tradotta in spagnolo da Ana Marìa Pinedo Lòpez, El infinito y otros cantos, è stata pubblicata da LietoColle (Faloppio, Co, 2009).

Ha curato le antologie Poeti a Como DialogoLibri, Olgiate Comasco 2002) e L’AltroLario (Editoriale Como, Como 2004) e inoltre Ditelo con i fiori. Poeti e poesie nei giardini dell’anima (Zanetto Editore, Montichiari, Bs, 2004) e Parliamo dei fiori (ibidem, 2005).

Ha curato per Book Editore (Ferrara 1995) l’antologia delle poesie di Roberto Sanesi L’incendio di Milano e per La Vita Felice (Milano 2009) Dieci poemetti dello stesso autore. Nel 2010 ha curato l’antologia delle poesie dell’artista Agostino Bonalumi, Alter Ego (Ferrarin Incontri d’Arte, Legnago, VE).

Per la critica d’arte, si è occupato dell’opera, tra gli altri, di Luca Crippa (Castelli di carta. Tra disegni, collages e polimaterici di Luca Crippa, 2002), di Giorgio Larocchi (Sulle tracce di un “disegno perduto”. Giorgio Larocchi pittore, 2007) e di Mario Benedetti (In un regno notturno e labirintico, 2008).

È inoltre autore di una monografia sul regista e drammaturgo Bernardo Malacrida (Il teatro tra passione e missione, 2008) e della biografia di Antonio Ranieri (Zanetto Ed. Montichiari, Bs, 2009).

Nel campo dell’editoria scolastica, ha curato l’antologia latina per i bienni delle Scuole Superiori Giorni e sogni latini (Ediermes, Milano 1994, poi Zanichelli 2000), la storia della Letteratura Latina Litterae (Minerva Italica, Milano 1996) e l’edizione commentata dei Carmi di Catullo (Signorelli, Milano 2006).

È stato direttore della collana dei Classici Tascabili dell’Editore Bompiani. È Presidente del Comitato comasco della Società dante Alighieri. Collabora, come critico letterario e d’arte, a quotidiani e periodici.