Enrico De Lea, da “Ruderi del Tauro”, L’arcolaio 2009, con una nota di Rosa Pierno

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Pare, leggendo la raccolta di Enrico De Lea “ Ruderi del Tauro”, di sentire sulla pelle il meriggio opprimente e arso di una campagna senza vento, in quelle ore lunghissime il cui il tempo si dilata fino a divenire un miraggio e le cose, perdendo il senso della contingenza, risultano irrorate dalla passione del percipiente che associa a ogni sostantivo un inatteso attributo volto a frantumare tale compatta ambientazione per innestarla con un’atavica memoria: “ Passio omiletica della cava / virtù, porge l’uovo della diruta / casa, passato l’oltre del padre / innervato, nell’asse del ciliegio”. In questo intarsio continuamente movimentato, nessuna parola ristagna o s’indurisce, ma immediatamente cede il passo a quella che segue pur se semanticamente distante. Se “nominare è morte e polvere”, pure parlare è sponda, è muro che si erge. Un continuo costruire e decostruire con le parole la propria visione morale. In una farandola di specchi che si frantumano e si ricompongono, variando continuamente il paesaggio contro cui s’inscena il soggetto, scopriamo che il ricordo risale dalla materia stessa, che è quello dell’intera umanità: è questo che crea l’alternanza della voci, il dialogo fra cultura e natura: “Avvalla nelle gole / il fuoco dei verbaschi / la dismisura dei morti”. Inevitabile sarà, allora, anche la sovrapposizione fra natura e corpo. Sarà come chiudere un cerchio per la religiosa lettura che, appunto prefigura una saldatura tra la natura umana e tutti gli altri elementi: “l’albero / dei mortali figurò la croce / al volto arso del morente, / quale eccessiva traccia del paesaggio”. Ecco, dunque, che la ricomposizione è stata raggiunta: che ogni cosa appare segno di qualcosa d’inesprimibile. Che se il linguaggio può solo mostrare è fra le sue pieghe che bisogna cercare. Una poesia densissima e barocca, nonostante la propria scabra e spigolosa apparenza.

 

 

dalla sezione Boschivo per le furie

 

(boschivo per le furie)

Ruga della grafia o del graffito
facciàle, brama lo scoramento
dell’ingresso – in giornate così,
che lo scirocco succeda al tramontano
e i gradi delle unghie
solchino il dopo-luce, il forno
dei barlumi. Pianta le spine
apprese al muschio, schivo
d’incenso scorteccia
l’argine del verbo – boschivo
per le furie...

 

(tramontana)

La formula impetrata del conforto
dona un lacerto del mondo riapparente
al pozzo-luce voce declamante
non di un suo serro estremo di borea
e di rena monastica trascorsa,
sì uguale seta all’occhio
fiume del danno e mare del consòlo.

 

(paesaggio lavico)

La concezione del fiore basaltico
non ammise alcun flettere
dalla vena millenaria
al fuoco terraneo – l’albero
dei mortali figuròla croce
al volto arso del morente,
quale eccessiva traccia del paesaggio.

 

(et in hora), 4

Arte della visione include l’artificio
acceso del volto noto nell’osceno sguardo,
verso l’alto della caduta, creatura.
Ordinanza notturna si dispone
all’austera furia, marchio a fuoco
dell’occhio e del rastrello ad un pietrame,
memoriale ingenuo
della sentìna dei corpi, senza gioia.

 



dalla sezione Invenzione della gloria

 

(adieu)

È disincanto del rintocco, campanario
squarta l’asciutto espianto della lingua –
dentro un paesaggio che lo pasce e nega.
Il debito che non s’estingue, la pingue
larva della catena – una coperta
che la terra tesse.

 

(l’ordine)

“degli anni e dei mondi” – per una convenzione
fissi al tempo, a un’ostensione della macchia,
sia fuoco d’artificio castellario e, dietro, notte
vuoto mestiere e mistero dell’inganno,
ché sia la detta materia della fuga.

 

 

Enrico De Lea (1958) è nato a Messina e vive a Legnano. Ha pubblicato nel 1988 Esercizi vitali e nel 1992 la raccolta Pause, Edizioni del Leone. Suoi testi sono apparsi sulle riviste “Wimbledon”, “Specchio”, “Tuttolibri”, “Atelier”, “Sud”. Cura il blog personale “da presso e nei dintorni”, www.delea.wordpress.com