Lorenzo Gobbi, saggio inedito “La rosa ultima”, con una premessa di Mara Cini

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Focalizzato sulla parola rosa, sul messaggio che il simbolo della rosa rappresenta per Rilke (e per molta cultura occidentale) il testo di Gobbi allude in realtà a una rosa multipla dove ogni facoltà sensoriale è messa alla prova. Dove petali-palpebre si chiudono alla vista, petali-pagine si sfogliano con le dita, petali-mantra ci accompagnano frusciando. Petali che profumano o riposano dolci nei vasetti di marmellata.

Ma se penso a una rosa in forma di parola, alla rosa ultima, penso alla rosa canina con i suoi quattro petali , uno per ogni sua lettera: r o s a

 

 

La rosa ultima

Un uomo che pensa alla propria morte, spesso, vuole lasciare un messaggio preciso, benché più o meno cifrato. Per farlo, deve tentare una luce definitiva, netta, che dissolva ogni equivoco. Deve pensare a se stesso senza il tempo e senza la parola, al di fuori di ogni relazione: a un’essenza di sé.

La sera del 27 ottobre 1925, a Muzot, Rainer Maria Rilke scrive il proprio testamento, e lo invia all’amica Nanny Wunderly (morirà il 29 dicembre 1926, sul far del mattino). Chiede che gli sia tenuto lontano ogni conforto religioso; sceglie il luogo nel quale essere sepolto (accanto a un’antica chiesa, presso Rarogne). Vuole una vecchia pietra, dalla quale si cancelli ciò che è scritto e siano incisi un nuovo nome, lo stemma di famiglia e tre versi.

Rosa, oh contraddizione chiara, desiderio,

di nessuno essere sonno sotto così tante

palpebre1.

La malattia ha già intaccato un fragile equilibrio, o forse l’equilibrio spezzato ha chiamato a sé la malattia. Scriverà , venti giorni prima della morte, sempre a Nanny: “Le plus grave, le plus long: c’est abdiquer: divenir ‘le malade’. Le chien malade est encore chien, toujours. Nous à partir d’un certain degré de souffrances, sommes-nous encore nous?’’

Rilke sembra desiderare la metamorfosi: essere presto uno tra i morti. Lust: “desiderio”, più che “piacere, gioia”. La rosa è Rilke nella morte, nella sua morte. Sotto la palpebra della tomba, sotto le tante palpebre delle pagine che resteranno, egli sarà “sonno”. Nessuno dormirà là sotto: non ci sarà più nessuno. (E’ un fatto naturale, come l’arrovesciarsi degli occhi nel sonno: le palpebre chiuse li proteggono, e ne indicano insieme la presenza – ma essi non vedono).

La rosa è più che Rilke: è , in se stessa, reiner Widerspruch – un parlare che è reiner: “puro”, ma anche e soprattutto “chiaro”, sia nel senso di “limpido, luminoso, nobile”, sia di “comprensibile”. Il miracolo dei nostri giardini ha una logica propria, assolutamente cristallina: deve pur esistere un punto di vista dal quale abbracciarne il Widerspruch e trovarlo “chiaro” – cioè , comprenderlo fino a essere rosa in se stessi. (Reiner, la qualità del Widerspruch della rosa, è omofono di Rainer, il poeta che sarà sepolto).

Come l’occhio addormentato guarda al contrario, così la rosa parla al contrario. Già nelle Neuen Gedichte anderer Teil si incontra uno sguardo volto all’indietro, l’unico presente nel mondo – di un torso arcaico di Apollo: “là non c’è punto / che non veda te. Devi cambiare la tua vita”2. Il Widerspruch della rosa porta ad acconsentire alla trasformazione della vita: a comprenderne la necessità .

Sembra, questo, uno sguardo ultimo che scopre l’esistenza di un centro nella vita trascorsa: un unico sostare al cospetto di una verità semplice: ciò che il poeta potrà continuare a fare, per grazia, anche quando sarà trasformato nel “sonno di nessuno”.

Qual è la verità della rosa? Essa stupisce, sempre:

Dov’è per questo interno

un fuori? Su quale pena

lini come questi vanno a porsi?

Dentro, quanti cieli si riflettono,

nel lago chiuso

di queste aperte rose -3.

Infinito è lo spessore simbolico legato alla rosa nell’ambito della cultura occidentale. Ce lo ricorda l’epitaffio che Gertrude Stein dettò per la propria tomba, a Parigi: “Una rosa è una rosa è una rosa”- e il Paradiso di Dante non poté che apparire in forma di “candida rosa”. Nella mistica ebraica, “la forza apotropaica di šošannah [plurale di šošan, ‘rosa’] trovò una spiegazione ulteriore nella corrispondenza tra i componenti della corolla e le lettere del Tetragramma, yod, he, waw, he. […] lo ‘specchio opaco’ nel quale si riflette l’emanazione superna”4. In un apologo di Nachman di Breslav, rabbino del XVIII secolo, il Messia restaura l’ordine del cosmo attraverso un atto di pura comprensione: raccogliendo una rosa.

Non ci si stanca mai di guardare una rosa. Nelle poesie francesi di Rilke, scritte tra il 1924 e il 1926, per lo più nei periodi di ricovero per l’aggravarsi della malattia, una sezione s’intitola Les roses, e raccoglie 24 poesie: il sonno le cinge, le rose riposano in sé:

Se ti appoggi, rosa fresca e chiara,

contro il mio occhio chiuso, -

come avessi mille palpebre

posate una sull’altra

contro la mia, calda.

Mille sogni contro la mia finzione

sotto la quale vado errando

dentro il labirinto dei profumi 5.

La malattia mortale era già iniziata: Rilke se ne rendeva perfettamente conto. Un’infezione provocata dalla spina di una rosa, conficcatasi profondamente nella mano sinistra, ne accelerò il decorso.

In forma di parola, la rosa avrebbe vegliato sulla sua tomba: non credo che essa fosse concepita per i futuri visitatori del cimitero di Rarogne – non più di quanto una vetrata o una scultura, in una delle cattedrali gotiche di Francia tanto care al poeta, lo fosse per il popolo, o avesse una funzione catechetica: vi sono, sì , figure pensate a questo scopo, ma insieme se ne trovano altre troppo lontane, indistinguibili dal basso e necessarie, forse, nella loro pura presenza, al di fuori di qualsiasi utilità - perché vi fosse, nello spazio sacro, una raffigurazione di ciò che rappresentavano. Leggerei in questo senso la sintesi estrema dei tre versi, cifrati per sé e per la verità della rosa.

Eppure, qual è la verità della rosa? Perché desiderarla così presente, non in figura ma in forma di parola?

 

 

Lorenzo Gobbi, poeta, saggista e traduttore, è nato e vive a Verona. Per la saggistica ha pubblicato: Elogio del frammento. Rilke, Hesse, Benn, Celan, Verona 1995; Lessico della gioia, Qiqajon, Bose 1998. Gerusalemme. Nella memoria di Amos Oz, Unicopli, Milano 2006. Carità della notte. Il lutto e la separazione nella poesia di Paul Celan: una lettura personale, Servitium, Bergamo 2007. Lessico della gioia, 2^ edizione rivista, Servitium, Bergamo 2008. Le api del sogno. Per Emily Dickinson: una domanda sulla gioia, Servitium, Bergamo 2009. Elogio del frammento, nuova edizione rivista, Servitium, Bergamo.

In poesia ha pubblicato: Nel chiaro del perdono, con una lettera di Roberta De Monticelli, Book Editore, Bologna 2002; Nel centro del ricordo, Book Editore, Bologna 2004; Le rose più di tutto, Quaderni di Orfeo, Milano 2006; Luce alla mia destra, Book Editore, Bologna 2006. Testi poetici sono presenti in Poesie di Dio, a cura di Enzo Bianchi, Einaudi, Torino 1999.

Ha tradotto Biagio Marin, Rainer Maria Rilke, William Shakespeare, Ugo di San Vittore. Inoltre traduzioni da Novalis, Hölderlin, Schiller sono incluse nel volume La gioia tra le dita, Fondazione “Giorgio Zanotto” – Banca Popolare di Verona, Verona 2005.