Antonella Doria, inediti da “Millantanni”, con una nota di Giorgio Bonacini

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La poesia contemporanea, si sente dire, è talmente oscura da essere incomprensibile e perciò poco frequentata dai lettori non specialisti. Ma questo, noi crediamo, è un sentimento diffuso che parte da una premessa stupida (il senso deve essere evidente) e arriva a una banalizzazione totale: e cioè che la poesia debba essere comunicazione. I poeti sanno quanto ciò sia falso e quanto lavoro di scrittura e di pensiero ci sia in ogni singola parola. Ebbene, questo poemetto di Antonella Doria è un mirabile esempio di quanta ricchezza ci sia in una voce talmente concentrata da crescere in un testo che fa della sua opacità il suo gesto significante. E’ una poesia che misura la sua forza a partire dall’ origine di un pensiero che produce la forma linguistica della “cosa” prima che la scrittura si imprima, rendendo cosciente la sua sostanza poetica “a margine del verbo” e “a margine del senso”. Perché la parola poetica, anche se vive in trasparenza nel linguaggio, esce da un buio interiore e passa dal chiuso all’aperto in modo preciso o vorticoso, a seconda delle necessità che convengono e convergono per quel momento, ma ha sempre bisogno di uno sforzo per essere vista più che per vedere.
Entrando nello specifico vediamo che il poemetto di Antonella Doria si presenta come una composizione di testi concatenati: otto poesie/strofe che si legano l’una all’altra attraverso la ripetizione dell’ultima parola all’inizio della poesia successiva, e un prologo e un epilogo che si richiamano e racchiudono (e quasi riassumono) in una sintesi estrema quanto affiora dallo spezzettamento del corpo centrale. Ma questo insieme vocale non è qualcosa che viene prima della poesia che lo rappresenta, bensì è ciò che accade mentre la scrittura si fa. Non c’è un dato di realtà precostituita, non ci sono segnali o conformazioni note che portino a conoscenza la devastazione in cui tutti ci troviamo nel “tumultuoso gran fiume” dell’esistenza, ma è lo scorrere dei versi “oltre ogni possibili segno” a comporre il suo venir prima. E la scossa che dà il movimento sta nell’inganno e nella violenza del mondo, resi veramente significanti, e quindi corporei, da una parola che è al limite delle sue forze. Una parola dura e selvaggia che apre crepe e fratture, perché lei stessa nasce come voce spaccata, lacerata dal turbinio che genera sensi reali ma anche tesa a svuotare ciò che ancora non c’è. Perché se anche tutto e niente a volte si confondono e si fondono tra loro, la parola resta un segno che illumina in modo imprevedibile “il primo e ultimo/ conoscimento”.
Allora il fondamento di questa poesia, che raccoglie il dolore nell’oscurità di un’ ombra, sembra essere l’atto di conoscere attraverso la trasfigurazione dell’ esistente, con una capacità estrema che solo la scrittura può catturare. La percezione di un miraggio, di un caos, di un labirinto si incontra nel paradosso di una visione “dove capovolta/la terra sorgere/vedrai”. Immagine che apre e chiude un testo dove i luoghi di paura nemmeno alla fine sembrano attenuare la loro avanzata.
 
 
 
da Millantanni

 
Introibo
 
tumultuoso un gran fiume
verso l’inverno avanza
a piedi ciechi folli mercenari
di peste d’oblio appestati avanza
la notte inquieta nelle palpebre
una sola moltitudine
insegne menzogne portano
seguono inseguono in marcia
d’avvicinamento verso dove...
(forse tutto era niente)
a piedi ciechi molti
in marcia incatenati ronzini
ronzinanti tutti
danzanti tristemente
tumultuoso un gran fiume
(devastante inondazione)
incontro al raggioverde
all’orizzonte estremo incontro
dove capovolta
la terra sogere
vedrai...
 
 
***
pietre comporre
comporre parole
echi di una partitura
musica tuttita città
nuova (nuova Athenae
Troia o Carthago) sale
al monte d’Acropoli
serve pietre comporre
in cuore si quieta
l’inquietudine e sale
l’insieme di fiaccole
mani illumina macerie
illumina ogni notte
di cretto fascismo
o terremoto
un cuore selvaggio
ritorna riprende mani
e lingua dalla terra
alle viscere materne
ritorna matrici di
memoria
 
 
***
(forse tutto era niente...)
all’orizzonte sorge
la Terra capovolta
una nuova sola moltitudine
esistenza nuda di corpi
erranti
avanza verso l’inverno
a margine del senso
a margine del verbo
tumultuoso un gran fiume
Vedrai...
 
 
Antonella Doria, siciliana, vive fra Milano e la Liguria. E’ presente in diverse riviste e antologie. Ha pubblicato: Altreacque (1988); Mediterraneo (2005); Metro Pòlis (2008). Ha curato Poesia contro guerra (2000, 2007) con una nota di Dario Fo. È condirettrice de Il Segnale, Percorsi di ricerca letteraria, e redattrice di In Oltre, rivista di antropologia, politica e cultura.