Maria Grazia Calandrone, da "Gli scomparsi", Lietocolle, 2016, nota di Rosa Pierno

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La scelta di una scrittura del tutto libera, in cui predomina il verso libero, che si vuole accampare tra cronaca giudiziaria e racconto dalla diretta voce dei protagonisti dei terribili eventi è, in realtà, immediatamente ricondotta alla voce autoriale: il linguaggio subito ci indirizza verso un'esposizione a tratti filosofica o lirica che denuncia l'artificio della voce narrante, o meglio rende tale voce dichiaratamente 'attoriale'. La volontà di comprendere, di spingersi negli oscuri meandri esistenti in ciascuno di noi, è il vero oggetto di questi testi: ecco perché ascoltiamo invero la sola voce della Calandrone senza interruzioni. Indossare abiti altrui non è tout-court il modo per essere l'altro, forse quello per rivivere le proprie paure o fascinazioni, per affrontare le angosce personali. Il teatro istituito dalla carta e dalla penna rende fluida la scrittura di quest'ultima prova, catturante, capace di restituire la dimensione della perdita e del riscatto, del lutto e della relazione affettiva e di porgere il messaggio di chi è andato e di chi resta. Eppure parola, quando troppo piena narra d'altro, non della morte, non di quelle esperienze necessariamente afasiche.

 

Frammento in memoria

[...] ora sappiamo, poi che ne abbiamo rimosso il corpo

azzurro e cedevole, che lei era stata una cosa che non opponeva

resistenza e adesso era

esaudita, mentre tubercoli

di larve ne intaccavano gli occhi e la canala dei liquami era stata

scavata profondamente

quanto

il fatto che chi se n’era andato non era più

con lei da molto tempo e lei aveva concluso nel corpo quel separarsi lentissimo come in presenza di ostacoli e scendendo le scale quella

mattina

con la fronte addolcita dal sole

sulla spalla

della piccola indiana con il nome da uccello aveva detto questo

essere stata in mani estranee è stata

la vita mia

Roma, 22 gennaio 2010
 

Deposto il nome

Diceva sempre

ditele che la amo

e ditele che ho fatto tanta strada

per amarla.
 

Ditele che se uscivano

angeli e diavoli dalla sua bocca,

io vedevo soltanto la sua bocca.
 

Ditele che mi abita

per sempre.

Diteglielo, vi prego. Diceva sempre.

30 aprile 2016


Maria Grazia Calandrone (Milano, 1964, vive a Roma): poetessa, drammaturga, artista visiva, performer, autrice e conduttrice per Radio 3, scrive per “Corriere della Sera”, “il manifesto” e “Poesia”. Tiene laboratori di poesia nelle scuole (applicando un metodo associativo da lei stessa ideato per studenti, da elementari a universitari), nelle carceri, nei DSM, con i malati di Alzheimer e con i migranti e presta servizio volontario in "Piccoli Maestri", scuola di lettura per ragazzi. Collabora con Rai Letteratura e Cult Book. Libri: La scimmia randagia (Crocetti, 2003 – premio Pasolini Opera Prima), Come per mezzo di una briglia ardente (Atelier, 2005), La macchina responsabile (Crocetti, 2007), Sulla bocca di tutti (Crocetti, 2010 – premio Napoli), Atto di vita nascente (LietoColle, 2010), L'infinito mélo, pseudoromanzo con Vivavox, cd di sue letture dei propri testi (sossella, 2011), La vita chiara (transeuropa, 2011), Serie fossile (Crocetti, 2015 – premi Marazza e Tassoni, rosa Viareggio), Per voce sola (ChiPiùNeArt, 2016), raccolta di monologhi teatrali, disegni e fotografie, con cd allegato di Sonia Bergamasco con EstTrio e Gli Scomparsi – storie da “Chi l’ha visto?” (Gialla Oro pordenonelegge, 2016); è in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012). Sue sillogi compaiono in antologie e riviste di numerosi paesi. Porta in scena in Europa il videoconcerto Senza bagaglio. www.mariagraziacalandrone.it