Recensione su Alessandro Catà di Alessandra Paganardi

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Ordine del respiro è un sintagma singolare, che Franco Fortini, nella nota espressione riferita a Pasolini, avrebbe chiamato – più ancora che ossimoro – sineciosi”. Il fascino di questo libro di Alessandro Catà sta proprio nel riuscire a rendere la corrispondenza fra materia e pensiero con un’esattezza e una profondità che fanno pensare, più che ad antecedenti letterari diretti, all’ardua lezione spinoziana d’etica, di geometria e di vita. Non deve essere difficile per l’autore, esperto di relatività, pensare e scrivere in termini di precisione matematica: stupisce tuttavia che nulla di questo codice rimanga estrinseco all’esistenza, in un libro in cui la carne non è mai ignorata, anzi si risolve in un pensoso requiem per il padre scomparso, per le molte ombre lontane di amici e antenati. «Ci incontreremo ancora, padre; forse una volta ancora dietro/ l’incandescente geometria dei/ morti, quando verrà, è scritto/ la resurrezione dei corpi». E’ una carnalità non autobiografica, ma universale, dove il linguaggio media vertiginosamente fra esperienza e logos e dove il continuum cronologico consente un emozionante scambio fra le generazioni: così anche il poeta può vedere se stesso come futura radice del proprio figlio, nella reiterata parabola del destino: «Ti cerco con il dolore/ con cui un giorno, cercando/ se stesso, mi cercherà mio figlio».Il tempo è anche una curva ciclica, non lineare, che ci riporta sempre all’inizio. «Futura la mano del figlio/ che ti guidava all’asilo».  Se il tempo è relativo, se - come direbbe un matematico - è una serie d’infiniti che converge inevitabilmente nel finito della morte, il poeta può smascherarlo perennemente discronico, sbagliato: settembre, novembre, l’alba, il calendario sono la rappresentazione di fusi orari in continua fuga, in una messinscena tragicamente convenzionale. «L’ora che sgocciola su un mattino/ sbagliato, mentre viene la roccia/ a svegliarti […]». «Settembre non esiste; è consolarsi con le navi/ in bottiglia » ; «Novembre vai a fare/ dietro la maschera/ della preghiera». Il tempo che ci consuma, che ci fa invecchiare e morire, colpisce come uno schiaffo in un qualunque pomeriggio alla finestra, nello spegnere una sigaretta, nel veder composta la nostra immagine allo specchio, «superficie della materia – lo scopo, nel buio,/ di una luce in cui veramente/ gli attori non muoiono». La luce è l’altra grande protagonista, oltre al tempo e alla morte, di questa raccolta; ed è spesso una luce tagliente, microscopica e spietata. Possiamo vedere in essa il correlato fisico della cosiddetta “percezione sottile” (di cui uno dei primi ricercatori, non a caso, fu proprio il matematico e filosofo Leibniz, che elaborò tale intuizione insieme con il calcolo infinitesimale). Questa sensibilità poetica, basata sull’estrema concentrazione visiva, si nutre di uno sguardo mentale simile all’attenzione zen, cioè alla preghiera millimetrica dell’anima. E’ la stessa luce misurata dall’astronomo Arthur Eddington nel 1919 durante l’eclissi totale in Guinea e poi illustrata, a sostegno della relatività generale einsteniana, nello scritto intitolato Il peso della luce. Il poeta, come lo scienziato, non ha il compito di cercare significati nebulosi, ma esatte misure; la parola porta, scrive Catà, dove «una bilancia pende/ dalla parte del piatto in cui cade la/ luce». Il peso infinitesimo converge nell’inavvertibile, lo spiraglio nel limite dell’ombra: per questo Catà, nel poemetto La luce di ognuno (forse uno fra i vertici del libro), può comporre un mirabile canto funebre, in cui lo scatto ultimo coincide con la transustanziazione della materia in energia. «Perché da sempre Natale/ è questo: l’ombra di un vetro, i morti/ passeggiano in giardino. E’ la parte/ femminile del tempo.[….]. La luce della luce di ognuno». La poesia di Catà realizza, per usare un’espressione che fu riferita allo stile immaginativo di Botticelli, una dimensione molto particolare di “lirismo esatto”: nulla è di troppo, non c’è mai spazio per il superfluo o per le dichiarazioni di principio; tutto è trasfuso nella parola. Una lezione che la poesia di ogni epoca dovrebbe saper ascoltare.  

Alessandra Paganardi 

             

Alessandro Catà, L’ordine del respiro, edizioni La Vita Felice, Milano 2007