Pierangela Rossi, Kairòs, Aragno 2007

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Pierangela Rossi, “Kairòs”, Nino Aragno Editore 2007  

Testi poetici  

*

e la casa la casa era tutta di presenze immaginarie

a te quasi sottratto il cinto del reale in cui abitare

sempre più piccole zone circonflesse ad accento

e più fine più fine si faceva l’interno ascolto  

*

- tu capace di durezze imprecisate

e sottili volte

affrescate a buon fine  

- essi pure avranno incorrisposti pensieri

         al sé dedicati

         destinati in ordine

         in un disordine lapsus

         da ricomporre a te  
 

Nota critica di Rosa Pierno  

La similitudine instaurata da Pierangela Rossi, tra la voce dell’amato divenuta voce interiore per una lunga consuetudine, per completata osmosi, e le parole di una vecchia poesia, dichiara che l’amore sentito è l’amore scritto e l’osmosi avvenuta è allora quella fra la realtà e il linguaggio. Il libro è una variegata collezione di espressioni con cui la poetessa investiga le forme di questa miracolosa unificazione: “- giusta è la notte agli amanti \ l’una all’altro sono \ ciò che non sono escluso \ di carezza in carezza \ il buio esaudito”. La Rossi utilizza termini presi in prestito dal linguaggio matematico per dar luogo a un’operazione in cui si possa esprimere la forma dell’amore anche attraverso diagrammi. Le logiche operazionali di inclusione \ esclusione, le valutazioni di aurea proporzionalità, le sottrazioni di presenza e la ricomposizione dell’unità franta,  le fasi alterne fanno di questa sintassi frammentaria, soggetta a scarti, a cesure, a inserti inusuali, ad accostamenti spiazzanti il racconto di un amore che ha una distanza siderale da quanto siamo normalmente abituati a leggere su questo argomento spesso trattato in maniera leziosa e banale. L’amore diviene, dunque, lo spazio in cui si fa esperienza: “siamo come un U un P greco \ un segno ostrogoto caro o discaro \ che per amore non riusciamo a districare”. Ma l’amore non è facilmente traducibile, la sua traduzione in linguaggio matematico non è così immediata, anzi appare azione resa complessa, al limite della fattibilità, proprio a causa del fatto che si cerca la via più difficile: la formula univoca per ciò che all’univoco si contrappone per antonomasia. Il tentativo della Rossi è assolutamente equivalente al tentativo operato nei centri universitari e di ricerca di rendere conto con modelli matematici della varietà e della complessità del reale. Ma, a differenza dei risultati non risolutivi e spesso fallimentari della matematica, il testo poetico della Rossi raggiunge il massimo dell’efficacia: quella di mostrare la capacità del linguaggio di esprimere una delle esperienze più basilari e fondanti dell’essere umano. Il lettore ha a disposizione con questo libro un esempio di come l’amore acquisti senso proprio dall’essere espresso. Di come possano essere tradotte in linguaggio quella miriade di sensazioni, percezioni, malumori e felicità legate all’esperienza dell’unione con un altro essere e che solo per una incomprensibile pavida rinuncia accade che si eviti di cercarne una possibile forma espressiva addossando le colpe proprio al linguaggio. Come sia tale espressione, invece, a valorizzarne l’esperienza, a renderla comunicabile ce lo mostra la Rossi, poiché è solo un’espressione povera a rendere povero l’amore.    “- cosa diceva la stella e l’interno \ dell’interno in profonda voluptate \ l’ho appreso solo in tarda età \ del giorno: ciechi a volte e giustamente \ ai segni che seganti traduciamo in sorte magna et claritate a evento”. Siamo nei pressi di una poesia che ha altissime e blasonate origini. L’amore è una vetta di cui, dalle pagine di questo libro, vediamo tralucere la cima.  

Pierangela Rossi (1956) ha pubblicato le raccolte Coclea e Kata, Campanotto Editore e Zabargad, Book Editore. E’ autrice di saggi di critica d’arte. Vive a Milano dove lavora alle pagine culturali del quotidiano Avvenire.