Giovanni Duminuco, da una raccolta inedita, nota critica di Giorgio Bonacini

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I MUTAMENTI DEL RESPIRO

Il segno poetico porta la parola a generare voce e scrittura, con una circolarità nella progressione del suo dire, che non è semplice ricorsività fine a se stessa, ma una sua autonoma capacità di essere, pur senza un cominciamento preciso, indicazione di significazione iniziale, e, con una conclusione indeterminata, di arrivare pur sempre a un momento finale. In altre parole la poesia porta e comporta in sé un pensiero che è origine e costruzione di un mondo. A partire da paradigmi noti, la formazione del testo ne riconsidera la sostanza avviando un processo di conoscenza fino a quel momento sconosciuta. Così, “DINAMICHE DEL DISACCORDO”, crediamo rientri proprio in questa dimensione: per l’atto poetico che mette in opera, dove il “disaccordo” del titolo sembra essere non solo un “dissenso” verso l’apparenza, ma anche una “disarmonia” che slega le prerogative del dire dalla semplificazione referenziale, agganciandole alla possibilità di un pre-inizio dove “abitare il corpo” e un dopo-fine per non “pensare al baratro”: due conseguenze che si corrispondono all’interno del vivere in sé e in scrittura, e che aprono e chiudono il poema.

Questo significa che la scrittura di queste poesie evidenzia, non solo in profondità ma anche alla superficie per la sua apparente lineatura in prosa, una distensione nel respiro interno che una lettura ad alta voce, non solo rende evidente, ma incrementa. E lo fa anche attraverso un’estensione della frase che tende a configurare ciò che è in un dove fuori dai “sintagmi imperscrutabili”, che polverizzano il vero e il reale in un depotenziamento che invece la percezione poetica sa dove cercare, e qualche volta a trovare. Lì dove la figura del vento è centrale. E proprio perché in contrasto (quasi un ossimoro concettuale) con la sua forza dispersiva, fa da cardine e da collante sia della parola sia del silenzio. Ed è così che il vento ritorna, in svariati momenti, come soffio, come danza, come respiro, come disposizione al cambiamento, come dinamica della mente, come traiettoria di un distacco: determinazioni che stanno in una sillabazione dal ritmo impercettibile e volutamente dimesso. Mai però “dismesso”, proprio perché, come precisa l’autore, “le foglie non hanno direzione alcuna, se non l’impronta del vento”.

Ed è davvero in questa assenza di percorso, in questa mancanza, che sta la presenza di una traccia: invisibile agli occhi di un’ordinaria e spenta osservazione, ma ben percepibile dalla metamorfosi che la scrittura opera dentro se stessa, e nei modi che le sono propri – quelli cioè di una pratica della lingua che sgretola e scombina ma continuamente pensa la natura, a dir vero innaturale, della lingua – per riconsiderare il mondo e intravederne un’alternativa. E per farlo bisogna “scrutare sotto la crosta” del visibile, tra le irregolarità e le crepe, tra i vuoti che sembrano riempirsi anche con il nulla di una parola talmente lontana da far pensare, scrive Duminuco, a una poetica del silenzio. E infatti l’ andamento mentale che mette in circolo la geometria morbida di questi testi, sembra veramente andare in cerca di silenzio: o almeno di quella sua parte che non è mutismo, non è mancanza di fiato o sordità delle sillabe o ritmo forzatamente in pausa. Ma è quasi l’assorbire di un vapore della voce; è come rendere più fievole il brusio delle parole che si distendono nell’aria. Non più allora il rumore del verso o della frase che martella con urgenza nella scansione materiale del tempo, ma una leggerezza dolente che “a volte preferisce cancellare”, o lasciare che il senso si produca con una necessità di fuga, o al suo opposto un convenire soffiato, intimo, nella semplicità esistenziale di una visione sospesa.

Ma cosa fa, e cosa vede questa poesia, oltre il disaccordo, sotto il distacco, dentro i procedimenti di un conflitto? Possiamo con certezza dire che l’autore fa esperienza scrivendo (la stessa forse, con differenti modalità, che fa il lettore). Prova il punto di vista che “il mutamento dei nomi” divide tra l’esserci nel mondo e il divenire in poesia. Questione complessa che ingarbuglia il pensiero, ma in questo modo lo riconsegna alla forma sostanziale del vivere il linguaggio: la rappresentazione e ripresentazione sulla pagina di un compimento: smarrire le cose per ritrovarle e riconsiderarle; perderne il senso e poi, come trafitte dalla tenebra, farle rientrare e riconoscerle diverse. Ma l’autore di questi testi è consapevole che non sempre ci si riesce o è possibile; però pur segnati da una “distanza straziante” dobbiamo tutti, autori e lettori, fare la stessa esperienza di smarrimento, accettarne il lamento e prendercene cura, perché solo lì esiste “il verso del perdono”. Giorgio Bonacini

 

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DINAMICHE DEL DISACCORDO
di Giovanni Duminuco, vincitore per "Raccolta inedita" al premio Montano 2013.