Silvia Comoglio, una poesia inedita, nota critica di Marco Furia

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La luce profumata dell'aria

“Quel che venne nel sonno e nella luce”, di Silvia Comoglio, è un’elegante sequenza di versi la cui compostezza non va a scapito di una vivacità linguistica a tratti quasi esuberante.

Ampliando il ritmo, Silvia concede alla luce profumata dell’aria di entrare nelle sue stanze: così, assieme a bagliori e aromi entrano ed emergono immagini, sogni, ricordi, per via di una forma poetica molto attenta e sicura di sé.

Si nota una leggerezza diffusa, un comporre versi che è anche un concedersi ai versi medesimi.

La poetessa crea sequenze di parole e, nello stesso tempo, simili sequenze creano lei, ossia la modificano, le suggeriscono i passaggi seguenti, in qualche modo le parlano, instaurando un fecondo rapporto.

Raffinata e risoluta, Silvia sa che non deve dimenticare di procedere lungo un arduo cammino, tuttavia la preoccupazione del fare poesia riesce a sciogliersi in un gesto poetico i cui esiti consistono in toni d’intensa leggerezza esistenziale.

Così, ad esempio, quell’ ”addio che sgela” appare commiato definitivo in grado di lasciare dietro di sé un non sterile liquefarsi che sa di possibilità, di ulteriore, non arida, contingenza.

L’amore, poi, incontra l’ostacolo di un rispecchiamento tendente a confondersi con il suo stesso esserci:

“in tenue e duro amore: la voce immobile di specchio semplice e risolta

in bocche a stento decifrate e appese alla tua porta”.

L’amore, dunque, è “tenue” eppure “duro”, la “voce” è “immobile” ma è pur sempre tale e le “bocche”, anche se a stento, sono “decifrate”.

In questa simultanea presenza di fisionomie contrastanti cogliamo aspetti non certo sereni del vivere: nondimeno una poetica atmosfera precisa, limpida, permette alla luce e all’aria di entrare, fecondando, assieme al mondo della poetessa, anche il nostro. Marco Furia

 

Biografia di Silvia Comoglio