Enzo Campi, poesie inedite da “Dei malnati fiori”

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La raccolta è in fase di pubblicazione per le Edizioni Smasher. L’uscita è prevista per Marzo 2011.

 

La voce del singolo è defilata, ma evoca possibili scenari di compensazione: si dilegua e appare invece il tutto. È il senso di un trapasso, una migrazione dell’essere, eppure di una finitudine dolorosa. La soggettività si lascia appena svelare in un atto, “erratico” e dialettico ad un tempo, che allude proprio al trapassare e, in antitesi, al rafforzamento.
[…]
I fiori sono spesso metafore sessuate, ma nel nostro caso c’è un superamento del duale, il poeta infatti, sebbene riconosca incessantemente la cifra della dualità, anche in senso fisico e corporeo in particolare, procedendo per opposti e provocazioni, si studia di trascenderla, immergendosi in tali antinomie mirabili, lasciandosi coinvolgere e lacerare come in un pasto di felini si consuma la preda.
[…]
D’altronde: “Il libro della vita / è logoro e consunto / sopravvive al disastro / nutrendosi di polvere ”; ed è quest’ultima una constatazione inevitabile alla quale non sfugge nemmeno la fantasia più esuberante che si trova a osservare e valutare le criticità esistenziali per scegliere la strategia giusta, nei suoi vagabondaggi sublimi. Per tale motivo “le parole rinunciano al messaggio / e si fanno sensibili”: è il riconoscimento della vulnerabilità umana non rimosso, essere infatti precari al mondo vuol dire fraternizzare con ogni respiro, con qualsiasi delicata, o forte, esperienza, accettandola in un’ottica di rara dignità e bellezza. L’abbandono alla condizione “malnata” non è senza appello, resta la capacità di sostenere il proprio destino ‘errabondo’ avvalendosi anche della potenza della parola, farmaco (Derrida) non da sottovalutare.
(dalla prefazione di Marzia Alunni)

 

***

Le maglie scandiscono il tempo che fagocita i fiori per restituirli al coro solitario dell’essere che non si basta e che si rassegna a dirsi in molti modi; il punto è che però quel “ti estì” è in mano propria seppure apparentemente si chiami con altri nomi. È il “chi” infatti – e non il “cosa“. Il percorso lento procede in alterco con se stesso ed è in questo stretto passare che chi detiene la parola sem(in)a nelle forme dell’armonia. In questa sua nuova amalgama però (che è ogni volta monito di rara bellezza) sembra che la parola poetica di Campi acquisti una rinnovata compiutezza, quasi un sollievo dettato da quell’abisso innato che fa da sfondo e in cui ci si riconosce come soffio. Si accetta il tradimento dell’imprevedibile confessando la necessità dell’erranza : la cifra che mantiene vigili sulla sopraffazione dell’agguato. Sempre nella cartografia crudele del thumos desiderante.

(dalla nota critica di Alessandra Pigliaru)

 

 

Dei malnati fiori 

 

da Pre-ludi

 

***

Del malnato fiore
che in me s’intrude
e al non più dirsi ancora
ch’in vano a me si tace
voglio cantar la saga
e zittire il coro
ch’ancor dilaga
nel voce a voce
del colpo contro corpo

 

 

***

Del malnato fiore
ch’a me s’affaccia
con lo sguardo indegno
di chi fomenta lo scontro
voglio amar lo sdegno
che vibra come incontro
nel loco ameno
del disconoscimento

 

 

***

nel bifido rizoma
scavo
e vado alla ricerca
del derma a derma
che mi protegga dalla norma
in cui defaticare lo sdegno
e svilire l’ingegno
del pressappoco in quanto
tale
e quale sia l’approdo
è sì deriva
del situarsi presso il poco
ch’ancora impera
dettando la legge
del sono io
in quanto cogito
perché
da che mondo è mondo
l’inessenza
è il male da abiurare

 

 

***

nell’infido feticcio scavo
e vado alla ricerca
della pellicola stantia
che ricopre il derma
decomposto
in cui ritatuare il segno
e mortificare il sogno
dell’oltretutto in quanto
vale
e sale il sentore
del situarsi oltre il tutto
ch’ancor digrada
all’assolversi della norma
dell’io mi manco in quanto
e in quando
perché
da che tempo è tempo
ciò che conta
non è l’attimo da cogliere
ma solo l’istante
di cui disfarsi

 

 

***

Non ho lucori
in vita
se non ariosi gesti
in cui rischiare
l’asfissia
e solo
vengo
zolla a zolla
le stasi
a delinquere
degli immoti spazi

Poco più che altero
vago
vacuo
per chiavi ignave
senza dare fiato
al vento
e il tempo schiuma
l’ombra violata
del limo
in cui condursi
al fondo

Cedo al fumo
la traccia che si dissolve
senza aspirare al fuoco
e vengo
al vano
che rigenera
l’ignoto

 

 

Enzo Campi. Nato a Caserta nel 1961. Vive e lavora a Reggio Emilia dal 1990.. È presente in alcune antologie poetiche. È autore del saggio filosofico Chaos Pesare-Pensare scaricabile sul sito della compagnia teatrale Lenz Rifrazioni di Parma. Ha pubblicato per i tipi di Liberodiscrivere Edizioni (Genova) il saggio filosofico-sociale Donne – (don)o e (ne)mesi nel 2007 e il saggio di critica letteraria Gesti d’aria e incombenze di luce nel 2008. Nel 2009 ha pubblicato per BCE-Samiszdat (Parma) il volume di poesie L’inestinguibile lucore dell’ombra. Sempre per lo stesso editore ha curato una postfazione in Collezione di piccoli rancori di Lara Arvasi e l’antologia di prosa e poesia Poetarum Silva. Nel 2010 ha curato una postfazione in Di sole voci di Silvia Rosa (LietoColle – Como) e pubblicato il poemetto ipotesi corpo (Smasher – Messina).