Stefania Negro, prosa inedita “Il pittore dei colori”, nota di Flavio Ermini

Versione stampabilePDF version

Il protagonista del racconto di Stefania Negro è un pittore. È un artista che si affida alla molteplicità dei colori per interpretare il mondo. Ma la vita gli riserva una sorpresa. A causa di un danno cerebrale la visione del mondo diventa improvvisamente in bianco e nero. Le foglie che cadono si sono trasformate in leggeri fiocchi di neve. Il mondo sembra sfuggire a ogni definizione. Ma a questa sorpresa se ne aggiunge un’altra. Pur essendo la realtà priva di colori, il “sentire” non è mutato. Non è cambiata la percezione delle cose.

La lezione qual è? La lezione è che non sono necessari i colori per immergersi nella realtà, per riunirsi con l’arché, per confondersi con la matrice originaria, per transitare nell’essenza delle cose. Non importano gli strumenti, non importano le modalità della vista, così come non contano le qualità del tatto e degli altri sensi. Ciò che conta è il “sentire”. E le modalità del sentire sono immutabili.

Brandelli spaziali, frammenti temporali del mondo li possiamo cogliere indipendentemente dalla qualità dei sensi. Nella loro complessità li possiamo percepire sempre e comunque nel fondo dello specchio mentale. È ciò che fa registrare a Kafka: «Sono grigio come la cenere. Desidero scomparire tra le pietre». Insomma, è necessario prendere coscienza dell’inutilità degli “strumenti” nella percezione. È come vedere dopo aver cercato semplicemente di scorgere.

Guai all’abbandonarsi alla cieca fiducia dei dati forniti dalla qualità dei sensi. All’origine del rapporto di scambio fra soggetto e mondo c’è l’alleanza fra sentimento e pensiero. Stefania Negro ci dimostra che è proprio a questo punto che i colori perdono la parola e la lasciano al sentimento.

 

IL PITTORE DEI COLORI

La luce anima il mio sguardo. C’è una fierezza nei colori che si diffondono come miele , è vita dissipata nelle forme ed è una grande energia di trasformazione e di divenire che non ha una precisa definizione. Ora vedo l’albeggiare, la luce che si confonde e si conchiude nella brina e il volo di questo mirabile uccello, con le piume striate, che si libra in alto. Questo è nettare, nettare di vita, questa vita che si consuma nella dissipazione, odio, certezza, incertezza, trama, voluttà, mistificazione, bisogno, necessità, tolleranza, comunione … vorrei essere proprio quel dispiegamento d’ali, provare la vertigine … ordire l’impossibile, significare l’essere … eppure se sono qui è già realizzata la mia piccola infinita partecipazione al mondo. Voglio che questa cifra d’essere si rappresenti nella tela, voglio che sia significato, voglio che sia colore che scivoli ad oltranza sul margine infinito della forma, della radice ultima dei numeri concreti che si fanno astratti in arte sebbene tutto alla fine si riassume in un meraviglioso congegno di energie che prende origine dal caos e dal firmamento e si applica alla molecola e al quanto. Ora voglio essere io e far parte del tutto, ora voglio sentirmi il colore stesso dei miei dipinti. Rosso, rosso vermiglio perché così è la vita, il sangue, dono mirabile che ci scorre nelle vene, blu e nero come la notte e poi qualsiasi elemento cromatico che mi faccia partecipare all’essere. Esse est percipi diceva Berkeley. E non solo percepire ma soprattutto sentire, sentire, sentire ogni brivido sulla pelle. Ora voglio provare il brivido naturale dell’esserci e comprendere che ogni cosa ha una sua natura e una sua matrice, sentirmi come un fiume che scorre e nulla d’altro, come un fiume di colore per poterlo rappresentare. Voglio delineare il volo, l’istinto intimo di ogni creatura ad essere oltre eppure parte del tutto come una nota in una composizione musicale. I pennelli accarezzano la tela, i pennelli col colore imprimono l’esserci, lo spazio, il tempo, i pennelli danno la forma , i pennelli sono prolungamenti della mia esistenza, del mio sentire, dicono il mio sguardo sul mondo , rappresentano le mie emozioni forti, intense, insopportabili per il cuore e per la mente , insopportabili perché cariche di vita, talmente cariche da procurarmi dolori al petto e tachicardia, io sento e perché sento dipingo e i colori sono la manifestazione del mio esserci. Amo la vita, temo la vita, amo la vita ad oltranza nonostante il carico di delusioni e di amarezze infinite. I miei compagni di viaggio sono tutti coloro che sentono come me, oltraggiati dalle vicende umane ma difensori dei valori, nessuno respira e talvolta ansima la vita come coloro che più ne sono partecipi: artisti, folli, sognatori … ecco sognatori. Ebbene la vita è ciò che sogniamo o ciò che viviamo? Il nostro mondo interiore o l’esterno in cui siamo proiettati, a volte gettati come palle di un cannone. La tela non è che lo spazio bianco su cui si diffonde il mio sentire, sentire l’horror vacui a volte ma anche la pienezza d’esistere, la pienezza dell’esserci che alcune volte mordiamo con troppa forza come in attesa che il nostro spasimo diventi energia e l’energia evento, attimo in cui si produce la nostra vita.
Si rappresenta così il mio esserci: sulla tela.
Organizziamo le nostre vite ma l’imponderabile ci richiama continuamente al sentire che tutto è imperscrutabile.
Il colore è tutto, è la mia matrice d’essere.
Guardo la tela mentre penso e dipingo e vedo il diluvio del colore che straripa, che dirompe…
Lascio i pennelli. Prendo un caffè bollente ed esco in macchina per raggiungere il supermercato fuori città. La tangenziale è dritta e stranamente poco trafficata. Guido a velocità regolare vedendo l’asfalto scorrere innanzi a me senza sosta poi improvvisamente mi appare un’esplosione, sembra un fungo atomico. Non riesco a capire cosa stia accadendo. La testa mi fa male, è un male acutissimo. Accosto in un’area di servizio. Mi guardo intorno…….cosa accade? Tutto è così strano, strano veramente, tutto è senza colore. Solo bianco, nero e maledettissimo grigio.
Scendo dalla macchina e chiedo al benzinaio : “Ha visto l’esplosione?” “Quale esplosione?” risponde guardandomi stranito.
“ Quello strano fungo atomico…non vede non c’è più colore”.
“Guardi credo che lei non stia bene, non è accaduto nulla…”
Sono inferocito, mi sento preso in giro, mi guardo intorno e chiedo ad un passante, ad una donna che esce dal bar dell’area di servizio, ad un uomo grasso che sta fagocitando un panino. Tutti sono perplessi. Nulla, proprio nulla è accaduto. Qualcuno chiama un’ambulanza che non tarda ad arrivare.
Sono impietrito, sconvolto, incredulo, non ho spiegazioni. Non sono in grado di spiegare bene l’accaduto neanche ai medici del pronto soccorso.
Accertamenti, risonanze, tac, elettroencefalogramma.
La diagnosi. Un medico mi guarda e con voce calma e ferma mi dice che ho subito un danno nelle aree cerebrali corticali visive, le aree legate alla visione del colore. Altri danni cerebrali gravi non ce ne sono mi rassicura. Ci sono stati altri casi al mondo.
Una vita senza colore? Un realtà percepita solo attraverso sfumature di grigio? La legge del contrappasso? Il mio eccessivo amore per il colore…
E’ tutto così assurdo. Anche il silenzio è assordante. Cosa dipingerò ora? Uno spazio grigio, a volte nero, a volte bianco? Un’assenza? Un vuoto?
Una trappola enorme mi ha teso il destino. Ho sempre creduto di poter affrontare tutto, di sconfiggere la malasorte, basta volerlo dicevo a me stesso. Basta volerlo.
Mia moglie mi guarda dritto negli occhi, mi stringe le mani fra le sue senza dire nulla, non servono parole. La radio trasmette la mia musica preferita. La legna nel camino arde e fuori oltre la finestra cadono le foglie, sembrano neve, leggeri fiocchi di neve di un bianco accecante.
Chiudo gli occhi e provo a capire il senso di questo accadere.
Schiudo le ciglia, scopro che tutto è diverso, diverso da prima, senza colore, eguale invece è il mio sentire.


Stefania Negro (Lecce, 1965) è autrice di testi poetici, saggistici e critici. Incoraggiata nella sua ricerca poetica da Edmond Jabès, Andrea Zanzotto, Edoardo e Vera Cacciatore, esordisce nel 2007 con Fili di luce compresi negli archi del divenire (Cierre Grafica), con una riflessione critica di Bruno Moroncini. A Roma collabora con Empiria, tenendo conferenze e seguendo il lavoro redazionale della casa editrice. Si occupa di giornalismo e sceneggiatura. Un suo cortometraggio, realizzato con Corrado Franco e Sofia Volpe, giunge finalista al premio internazionale indetto da Cinecittà Internet Film Festival. Collabora con riviste specializzate, tra cui, in particolare, “l’immaginazione”. Un suo contributo teorico, Tutor nei corsi di formazione, è presente nel libro Le remore e il Titanic, vite precarie a scuola, a cura di Luca Antoccia, con prefazione di Tullio De Mauro. Nel 2009 pubblica il saggio filosofico-letterario Erranze nel divenire nella collana “Pensare la letteratura” di Anterem Edizioni. Sempre per Anterem, nello stesso anno esce la sua raccolta poetica La geometria della luce, nella collana “Limina”. La sua terza raccolta poetica appare nel 2011 con Manni Editori, raccolta con la quale partecipa a un reading di Italia Wave Festival, rilasciando un’intervista presente sul sito Rai (edizione Risonanze). Nel mese di luglio 2014 è uscita con Anterem Edizioni nella collana “Limina” la sua ultima raccolta di versi dal titolo “Oscillazioni”.