Mauro Caselli, da “è VERAMENTE COSA BUONA E GIUSTA”, Battello Stampatore, 2014, nota critica di Rosa Pierno

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Emerge, fin dalle prime pagine, la questione che Caselli intende affrontare: la verità definita in sede logica non è adeguata in sede esistenziale. Con un richiamo subitaneo al potere incontrollabile della parola: “ C’è solo la parola, che tradisce / anche se stessa e, crudele, richiama / alla maternità della bellezza”. Ma contemporaneamente si deve aggiungere a tale impianto la percezione di una nota molto insistente di rassegnata adesione, sorta di mancanza di illusione denunciata dalla serie aggettivale: ‘ irrilevanti’, ‘vani’, ‘secondari’, in questo caso a carico dei particolari che non formerebbero mai una figura finita. Quasi una nostalgia dell’intero e un dispregio per il frammento a cui vengono invece associate “le cose volgari”. Ciò che è ideale non si adatta a ciò che è reale e questo causa all’autore un profondo disagio che gli fa perdere anche la positiva energia del momento iniziale di ogni esperienza: “E poi, al di là di ogni immaginazione, / non rimane che un po’ di malumore / per avere tentato il sentimento / con parole importune e idee buone”. Ogni tentativo di alimentare il presente con la forza della verità pare destinato a inabissarsi nella menzogna. Nella relazione con un altro essere non ci sarà spazio per “un consenso che perdona / ai contenuti di verità il danno / e la beffa”. L’impossibilità di conciliare il bene con il bello, secondo platonico intendimento, dissolve persino l’amore, annegandolo nel nulla. Che Caselli intenda non cedere e che si ponga incessantemente il problema del modo con cui ricollocare sul binario giusto la traiettoria delle proprie aspettative determina la formulazione di un testo che ha il rovello come nucleo propulsivo dello sviluppo testuale. “E se alle volte sembra differente / poi dopo è sempre la solita storia, / la variazione diviene un momento / di ritorno alle forme del presente / e un cenno appena fatto è già memoria”. Le pratiche strategiche che consentono di non rigettare completamente la relazione con gli altri sono tutte esaminate: viene stilato il regesto del dare e dall’avere con cinica precisione. Ne è causa un mondo senza scopo ove il linguaggio invece persegue motivi e valori, e di questa frattura l’autore denuncia la non ricomponibilità. Adottare modelli assoluti rispetto a un mondo frammentato è un errore che genera confusione e la variazione incessante ne è la conseguenza anche testuale. In ogni caso, forse l’amore è ancora “una figura di risposta, / perciò non ama far troppe domande”. Seppure, Caselli individui due vie percorribili: “si decide di stare con le cose / o, diversamente, con le parole”, l’ultima poesia, inevitabilmente, lo vede rilanciare la posta sperando in una terza via. (r. p.)

 

***

Nelle parole si cerca il segreto,

la completa risposta alla domanda

sull’inizio, perché la verità

è certamente cosa buona e giusta,

e non ci può essere niente di meglio.

Se il risultato ogni volta è una fine,

la tappa conclusiva di un percorso,

accade tuttavia che il conto non torni,

in quanto un compimento senza resto

è solamente se stesso, il rifiuto

dell’idea che esista un’occasione

per il presente, per il tempo dato.

No, tutta questa faccenda è il ricatto

d’un calcolo, necessario ed esatto.

 

***

Le cose che non si possono dire

rimangono in attesa, e poi dissolvono

in vicinanza. Lasciano frangenti

di viva assenza e l’indicazione

d’un movimento nelle oscurità

della memoria, in quello spazio

dove ciò che esiste torna e nasconde.

Ed ecco allora la solita storia,

quella dei tentativi di partenza

tra le insistenze della novità

ed il continuo imbarazzo del vero.

C’è solo la parola, che tradisce

anche se stessa e, crudele, richiama

alla maternità della bellezza.

 

Mauro Caselli, oltre che poeta, è critico letterario.

Ha scritto saggi su Marin, Saba, Svevo, Penna, Dickinson, Shakespeare. I suoi ultimi libri sono Il giogo (2004), Per un caso o per allegra vendetta (2007), Il banderaro importuno (2013).