Gabriele Pepe: Il tratto è dato

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Nota critica di Marco Furia

 

Mediante l’ uso di versi precisi e battenti, Gabriele Pepe mostra quanto una (sapiente) poesia, non ignara delle regole metriche, possa costituire efficace distacco da non soddisfacenti costumi linguistici quotidiani. La tendenza all’ aperto, d’ altronde, come già ebbi occasione di dire, può intendersi non soltanto con riferimento agli aspetti esteriori, poiché qualunque forma, in presenza di consapevole intento, risulta suscettibile di usi proficui. Non sussistono gerarchie tra i linguaggi, tanto meno tra quelli poetici, suggerisce, con elegante gesto, il poeta.

 

Il tratto è dato

Non muoio a sangue pisto ed ossa rotte
ma a cauti vezzi e vizi di rimpallo
che gaia incuria e vaga strategia
di lampi prodigiosi disadorno
luce inferno nell’occhio mi strabordo
fomento e supponenza di eresia
dei miei santi non valgo il piedistallo
ma drago di mulino e donchisciotte

sui campi di battaglia faccio il morto
ramengo oziando in quieta frenesia
lesto sonnecchio e bradipo sfarfallo
tra simboli fuggenti e lune estorte
tra ombre e luci al chiuso riprodotte
burba tempesta in bolla di cristallo
di vento e di bufera scheggio via
che scorpione mi scodo e capricorno

mi strappo delle corna e a muso inerme
tra le corazze e gli armamenti vago
carcassa appesa al morso della fiera
eunuco consumato a fiamma casta
dal dogma mi distacco per scissione
e sguardo al cielo e membra tra le ortiche

a fior di pelle sbocciano vesciche
all’occhio s’addolora la visione
pupilla allucinata che sovrasta
sovranità dell’iride frontiera:
prisma dell’essere coscienza-imago
che tutto scinde e carne mi prosterne

 

Gabriele Pepe (1957) vive a Roma. Presente in riviste e antologie, ha pubblicato Parking luna (Arpanet, 2002), Di corpi franti e scampoli d’amore (Lietocolle, 2004), L’ordine bisbetico del caos (Lietocolle, 2007).