Fabrizio Bregoli, dalla raccolta inedita “Optoclastie”, nota di Laura Caccia

La rottura della visione

Il rispecchiarsi, nella silloge di Fabrizio Bregoli “Optoclastie”, di scienza e poesia, elementi di calcolo e parola, linguaggio tecnico e pensiero poetante pare mostrarci essenzialmente uno scarto: non tanto tra i diversi modi di esplorare il reale e di indagarne i sensi, quanto tra il reale e la necessità di aprirvi un varco, di violarne i confini.

Appare allora evidente l’esigenza di partire da atti di violazione e di rottura: la trafittura della materia, la profanazione della luce, la frammentazione dello sguardo e della visione, tese a spezzare l’apparenza, a penetrare l’oscurità, operando però non con la violenza del potere scientifico o della padronanza linguistica, bensì con un’azione di sottrazione e di scarnificazione del dire.

A premessa e conclusione delle due parti della raccolta, “Diario di Galileo” e “Eniac”, l’autore dichiara esplicitamente la sua scelta poetica: “Per questo scelsi minima / l’arte, perfetta / la sottrazione”, e il suo cammino teso a sfaldare il reale, proteso verso un oltre dove, come conclude, “per oscurità / fu se vi giunsi”.

È infatti un’opera di perforazione e di riduzione a caratterizzare la poetica della silloge, come precisa Fabrizio Bregoli, analogamente alla creazione dei supporti di registrazione nella prima generazione di computer, “Alfabeto di sottrazione. / Arte del togliere”, di natura sia linguistica che etica, per i linguaggi scientifici come per quelli poetici: passaggi stretti, angoli ridotti di visione, quasi un bucare la materia attraverso “minime crune di cannocchiale”. Per perseguire l’obiettivo di una parola chiara e netta: “un accento nitido / un asserire secco, senza chiasmo”, così come il “marchio a fuoco / di un idioma esatto: indecidibile”.

Un percorso irto di difficoltà, perché arrivare a tanto, cercare il calcolo come l’idioma preciso, è questione certo di ricerca, ma di una ricerca tesa ad una “voce primordiale”, per cui anche il calcolatore ci riporta ad “una sapienza antica”, ad “un idioma ruvido / dialetto dell’origine”.

E ciò a cui la ricerca poetica di Fabrizio Bregoli conduce non è sicuramente uno svelare significati, quanto piuttosto l’aprirsi ad una visione dissonante, a un diverso modo di approcciare il reale, la sua oscurità, il suo senso profondo, come leggiamo: “Non è d’atomo in atomo / un addensarne il plasma / un distillarne o concentrarne il senso, / piuttosto un chiuderne in un otre il vento / scioglierne in un bicchiere / la pastiglia di tenebre”.

 

Da “Optoclastie”

 

Dalla sezione “Diario di Galileo”

 

***

Da minime crune di cannocchiale

orbite, macchie o eclittiche celesti...

e tutto per ghermire la misura

d’un ordine, tutto nel calco esatto

di numero e compasso.

Campire la natura

coglierne in una smorfia il disegno del viso.

Farne un falso d’autore.

 

***

Non è d’atomo in atomo

un addensarne il plasma

un distillarne o concentrarne il senso,

piuttosto un chiuderne in un otre il vento

scioglierne in un bicchiere

la pastiglia di tenebre.

 

***

Quando in ipostasi si circonflette

l’orizzonte e d’antracite si sradica

il giorno, o in una trafittura docile

di nuvole quella luce artica... forse

allora hai scovato un cardias riottoso,

la biella da oliare, un glifo o una rosa

camuna su qualche rupe inviolata.

Il marchio a fuoco

di un idioma esatto: indecidibile.

 

***

Controverso se quando il buio

si maturò in materia, si scavò

il contorno d’uno spazio, vi fu

la pronuncia netta d’una sillaba

un verbo, il precipizio d’una luce.

Credo fu una corona di silenzio

a compitare la parola d’ordine

non lo scatto di qualche serratura. Qualcosa

più simile a un ronco quasi inudibile.

Di meno: un borborigmo.


Fabrizio Bregoli, nato nella bassa bresciana, risiede da vent’anni in Brianza. Laureato con lode in Ingegneria Elettronica, master in Marketing, lavora a Milano nel settore delle telecomunicazioni.

Ha pubblicato alcuni percorsi poetici fra cui “Cronache Provvisorie” (VJ Edizioni, 2015 – Finalista al Premio Caproni) e “Il senso della neve” (Puntoacapo, 2016 - Premio Rodolfo Valentino e Finalista ai Premi Gozzano, Merini, Saturnio). Ha inoltre realizzato per i tipi di Pulcinoelefante la plaquette “Grandi poeti” (2012).

Suoi lavori sono stati pubblicati in antologie di Lieto Colle, della Fondazione Mario Luzi e sulle riviste Euterpe, Alla Bottega, Circolo Pickwick e Versante Ripido.

Partecipa a letture poetiche, dibattiti culturali e blog di poesia. Ha preso parte ad alcuni eventi di azione poetica mito-modernista e alcune sue poesie sono state esposte congiuntamente a opere pittoriche in eventi organizzati dall’associazione Civico32 a Bologna.