Bianca Battilocchi intervistata da Giorgiomaria Cornelio a proposito di “Una musa indiscreta” (quattro saggi su Emilio Villa)

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Musa

INTRO di Chiara Portesine 

Nell’ambito di una contingenza di occasione - il Convegno «I Verbovisionari. L’altra avanguardia tra sperimentazione visiva e sonora», svoltosi nelle giornate del 24 e 25 novembre 2016 presso la Scuola Normale Superiore di Pisa - e a partire da settori di ricerca consolidati e felicemente paralleli, gli autori di questi saggi hanno cercato di mantenere una direttrice comune, all’insegna dello sconfinamento e della sfida costante che l’opera villiana richiede di mantenere aperta e operativa, al di là e al di fuori di rassicuranti soluzioni definitive. Il risultato è questo prisma conoscitivo, che offre al lettore un caleidoscopio di prospettive divergenti, se guardate con la lente della microscopia, ma che regalano una coerente visione d’insieme, non appena si abbia il coraggio di indietreggiare di qualche passo e concedere alla lettura uno sguardo d’insieme. Al di là degli approcci e del bagaglio metodologico dei singoli autori, il collante che unifica gli interventi è l’idea di forzare i confini del perimetro villiano, aprendo nuovi territori di intersezione e di intertestualità –ravvicinata (Costa) o a distanza (Joyce)–, oppure dilatando e andando a verificare in profondità gli esiti di alcuni macrotemi (i tarocchi e il «gesto» artistico).

G Bianca Battilocchi, che cosa segnala a tuo avviso la pubblicazione di questo nuovo volume di studi villiani?

B Penso che Una musa indiscreta sia un segno concreto di quanto stia accadendo in Italia e all’estero negli ultimi anni, ovvero un avvicinarsi sempre più e sempre più numerosi ad un autore così imprendibile e spesso ignorato in sede universitaria, ma ammirato da molti poeti (da Zanzotto a Raboni, da Spatola a Vicinelli). Il volume raccoglie infatti gli interventi ospitati in una cornice prestigiosa che ha finalmente dato meritevole spazio ad argomenti solitamente pochissimo frequentati dall’accademia italiana. Si è dato voce a Villa e ad altri autori ‘verbovisionari’ a lui vicini, James Joyce, Carmelo Bene, Corrado Costa, Adriano Spatola… come aspirando a quella “comunità di artisti dedita alla creazione e al recupero di una diaconia dell’immaginario” progettata dal poeta stesso: “Oggetto indefettibile della ‘diaconia’ che proponiamo, è l’IMMAGINARIO rilevante / rivelante; l’IMMAGINARIO da sorprendere come immanente / transmanente; e di conseguenza, l’IMMAGINARIO come illimite depuratore e depositario dell’INIMMAGINABILE.” Questi versi programmatici fanno luce su un immaginario proposto e sempre ricercato che è totalmente distante da quello imposto dalla società vigente, dal mondo dei mass media così come, in buona parte, da quello dell’arte e della cultura, soffocate da una mentalità conformista, all’inseguimento di trend o di baroni pronti a elargire ‘lasciapassare’. Tuttavia, chi si interessa a Villa sta facendosi sentire con più voce, dentro e fuori i circuiti accademici, con tesi di dottorato, pubblicazioni ed eventi interdisciplinari di varia natura, soprattutto in Italia, ma anche in Irlanda, negli Stati Uniti e in Brasile.

G Emilio Villa scrive “Ogni incontro o urto … sarà un contagio reciproco”. Credo che questo volume indichi soprattutto una strategia, una pratica di ribaltamento rispetto alle divisioni in parti, alla cronologia, ai pesi del genere o dei ‘generi’. È possibile pensare ad un’attività critica che, nel rispetto di questo scarto, sappia comunque rivelare il carattere della poesia villiana?

Io credo che sia necessario fare ricerca in questo senso, così come lo è stato a partire da Joyce, grande modello di un linguaggio inaudito per Villa. Come ci spiega Tagliaferri nel suo eloquente saggio, circa gli intrecci profondi e la “dipendenza agonistica” del secondo rispetto al primo, si tratta in entrambi i casi di una “letteratura come via d’accesso a una libertà assoluta, come presidio estremo in difesa del reale”. Villa scriveva per il futuro, era cosciente che ciò che stava producendo sarebbe stato fruito con più consapevolezza dai posteri, e in effetti oggigiorno sembrerebbe che le possibilità ci siano, considerando l’attenzione per l’interdisciplinarità, il focus sulla congiunzione di immagine e testo, e dunque sui binomi scrittori-pittori, poeti-teatranti, ecc. Certo Villa richiede più energie e collaborazione tra competenze disciplinari diverse per poter comprendere fino in fondo la natura del suo agon poetico, soprattutto richiede l’abbandono di appigli sicuri (“poetare è produrre crepe”). Il potenziale e l’attualità villiane sono enormi, Fracassa ne ha rivelato ad esempio le implicazioni con la neuroesterica a proposito dello stile e del contenuto dei testi raccolti negli Attributi dell’arte odierna, in particolar modo quelli dedicati all’arte-azione, del “gesto come fatto interno, pensoso”. Tagliaferri ha setacciato l’ancora inesplorato campo di convergenze, distanze e oltrepassamenti tra Joyce e Villa, pedinando le conseguenze testuali di un’“affinità elettiva” le cui premesse e punti di contatto costituiscono un bacino potenzialmente inesauribile di suggestioni. Portesine ha aperto uno stimolante caso di studio sulla positiva relazione tra il poeta e Corrado Costa, un esempio di collaborazione e ispirazione necessario per comprendere la nascita e il successo di tanti artisti che hanno gravitato intorno a Villa e che ne confermano l’autorità di ‘Padre’, come nel caso di Adriano Spatola o Patrizia Vicinelli.

G Quali sono secondo te le remore da valicare per poter dedicare maggior spazio a questo autore e alla sua opera?

B Gli ostacoli al momento sono differenti, per tanto tempo il principale è stato la reperibilità delle opere. È in circolazione fortunatamente da qualche anno l’Opera poetica a cura di Cecilia Bello Minciacchi, e stanno fiorendo le pubblicazioni di studi villiani, la nuova biografia del poeta per mano di Tagliaferri, differenti studi comparati, eloquente il caso Villa-Zanzotto ben delineato da Portesine. Quanto al resto dell’opera che comprende preziosi scritti sull’arte non più in commercio, traduzioni e vari altri testi poetici inediti bisogna rifarsi a specifiche biblioteche, se non direttamente agli archivi o, nel peggiore dei casi ai privati, che raramente aprono le porte. Un secondo problema, soprattutto nel ‘Bel Paese’, è l’interdisciplinarità villiana, il fatto che l’autore non sia catalogabile o accostabile a nessuna corrente letteraria precisa ma che le mescoli o meglio che ne tragga ispirazione per poi scavalcarle tutte; che tiri in causa al contempo le letterature semitiche e gnostiche, la filosofia presocratica, le arti preistoriche, le diverse avanguardie e neoavanguardie artistiche (tra i primi Breton, Duchamp, Bataille e Artaud), mirando sempre a non farsi soffocare da nessuno stile ma conquistando terreni sempre nuovi e fertili, distinguendosi nella sua magmatica unicità. Villa ha bisogno di questi “nodi” in quanto “ordigni”, strumenti necessari per le sue indagini che vogliono scuotere e fecondare l’“Immaginario” labirintico, per andare oltre al già visto - il dialogo avviene all’interno come per Carmelo Bene - e aspirare a epifanie, a una “revelation où rêve élation”.

G Nel titolo del tuo saggio parli di ‘perdita’ e di ‘riscatto’. Quale legame congiunge queste due parole?

Il mio titolo vuole riassumere l’invito poetico ad abbracciare il reale, nella accezione lacaniana elaborata da Tagliaferri nel suo confronto tra la poetica di Joyce e quella di Villa: abbracciare dunque il labirinto interno della mente e respingere la realtà esterna, giudicata gnosticamente come trappola, prigione. Aprirsi all’interno comporta il contatto con una dimensione illimitata che ci connette a qualcosa di superiore che in Villa equivale all’‘Eternità’, luogo-non luogo in cui ricercare incessantemente risposte, segni, come attualizzazione di un leitmotiv eracliteo: “Incontro è legare, e insieme, per slegare, slogarsi per logarsi”. I Tarocchi villiani, composti a fine carriera, sono un esempio di una poesia di segno apotropaico, che distrugge il conosciuto percependolo come limitato e limitante, e che costruisce senza posa nuove possibili vie d’uscita.

 


Bianca Battilocchi ha studiato all’Università di Parma, alla Sorbonne Nouvelle (Paris 3) e attualmente sta terminando un dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Studi Italiani a Trinity College Dublin. Il suo progetto di studio vuole offrire una prima edizione critica degli scritti inediti di Emilio Villa dedicati ai Tarocchi. Partendo da un primo focus sulle Diciassette variazioni (1955), ha discusso e pubblicato a proposito di Villa in Italia e all’estero, con un approccio di analisi testuale comparativo che mira a far luce sulla performatività e magmaticità della poesia villiana, i suoi legami ad esempio con l’opera di Antonin Artaud e Carmelo Bene. Recentemente ha pubblicato per «Engramma-La tradizione classica nella memoria occidentale» (n. 145, Maggio 2017) e un suo saggio è uscito per il volume di studi villiani Una musa indiscreta, edito dall’Archimuseo Adriano Accattino.