Alice Pareyson, prosa inedita “Verità (s)coperta”, nota di Flavio Ermini

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Parlare di filosofia affidandosi alla narrazione è ancora possibile. Alice Pareyson lo dimostra con questo racconto, che ha come protagonista un giovane Schopenhauer qui alle prese con una serie di esperienze che nel 1819 lo condurranno a scrivere un’opera che influenzerà fortemente, tra gli altri, Nietzsche, Freud, Jung: Il mondo come volontà e rappresentazione.

Attraverso un colloquio con la madre e sulla base di elementi simbolici quali una tenda di raso rosso e un vestito vermiglio, il giovane Schopenhauer scopre che i fenomeni non hanno un valore in sé, ma solo in rapporto all’essere umano, come mezzo della volontà. Scopre che il fenomeno è solo apparenza.

“Il mondo è una mia rappresentazione” registra il giovane a conclusione del racconto. Infatti il mondo lo veniamo a conoscere proprio come una rappresentazione che risulta composta da un soggetto rappresentante e un oggetto rappresentato.

Il soggetto in definitiva conosce con le forme a priori, le quali tuttavia distorcono la sua visione, tanto che possiamo definire la vita come un sogno. Ma è un sogno che talvolta ha i connotati della realtà, e dunque ingannevole (pensiamo, per esempio, alla conturbante figura del padre morto “in una pozza di sangue”).

È necessario imparare a guardare nel non-appariscente. Infatti, la realtà non è come ci appare. È necessario andare oltre. Quell’oltre che si trova in noi stessi. Ecco perché solo guardando in noi stessi possiamo trovare l’altra realtà: la volontà.