Carmen Gallo, da "Paura degli occhi", L'Arcolaio 2014, nota di Rosa Pierno

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Il tema dello sguardo, del distinguere con gli occhi per conoscere, presente nella maggior parte delle poesie di questo volume è intrecciato indissolubilmente con un altro tema: quello della separazione e della fine che è poi quello dell'impossibilità di vedere. Vedere è dunque avere una relazione con un altro essere. Perdere una persona è come perdere gli occhi. Ma vi è anche un vedere con la sola mente, modo che si attiva quando nella perdita si ritrovano tute le immagini accumulate in precedenza. È solo a questo punto che la scrittura trova dichiarata necessità: "individuare uno ad uno / ogni grado di necessità / assegnare come un nome / una mappa affidabile di ogni tua / minuscola escoriazione". La scrittura ricostruisce l'immagine. Ne ricompone le fattezze con la sua tecnica restitutoria/restaurativa. Certo, appena consolatoria, ma necessaria. Essa consente di avere a disposizione un ulteriore spazio progettuale "abitare i soffitti cavi delle parole / e tendersi a raccogliere / solo i tempi imprecisi delle cose". La scrittura consente di allargare le maglie della visione, tessere relazioni tra i corpi del quotidiano e i corpi della storia mantenendo tutti gli avvenimenti sul piatto di un presente che, miracolosamente, è di nuovo sotto il nostro sguardo.

 

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Come abitare in un paese straniero

ogni notizia che giunga da te

abbatte aerei, rovina raccolti

costruisce mura intorno

a un cielo bucato


 

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Quanto basta a specchiarsi e riaversi

senza più attendere il nome delle cose

legare al letto ciò che non ci sopravvive

con la bocca sulla bocca difendere

ciò che non detto pure esiste

ma poi arriva

l’elenco necessario delle cose che hai

e non t’importa più di perdere

ciò che muto non ti somiglia


 

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Non restare buchi neri

fondi fedeli al vuoto

affilare la lama che separa

i lati bianchi della strada

nel paese che nasconde

il cielo nelle cave

essere terra non chiamata

invocazione senza nome

distanza da percorrere sottovoce


 

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Stringersi la gola e attendere

prima di respirare ancora

il tempo di cancellarsi la faccia,

il fiato, le rughe sulla fronte
 

 

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Nella gravità delle cose

che non cadono

sostenere lo sguardo

del disastro
 


 

Carmen Gallo è nata a Napoli dove insegna Letteratura inglese all’Università L’Orientale. Si occupa di poesia metafisica inglese, teatro elisabettiano, teoria del romanzo e critica angloamericana. È stata finalista due volte al premio Mazzacurati-Russo (2009-2010; 2011-2012), e ha ricevuto una menzione speciale al Premio Montano nel 2011. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati su blog (Poetarum Silva, Poesia di Luigia Sorrentino, Transiti Poetici, Carteggi letterari, Formavera, Interno Poesia, Nazione Indiana, Nuovi Argomenti), in antologie (Registro di Poesia #3, 2010 e Registro di Poesia #5, 2012, Edizioni D’If, Napoli), e su rivista (Smerilliana, Argo, e a breve L’Ulisse). Nel dicembre 2014 è uscito il suo primo libro di poesia: Paura degli occhi, per L’Arcolaio, Forlì. Alcuni testi sono stati tradotti in francese da Clement Levy per la rivista online Remue.net.

Dal 2015 cura, con altri colleghi, il Seminario di poesia comparata presso l’Università Federico II, e da quest’anno partecipa al Laboratorio di poesia in carcere della Fondazione Premio Napoli.