Alessandro De Francesco, “Ridefinizione”, La camera verde 2011

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ancora discendendo si immette giù per il tubo una

clessidra di vene e la sacca che potrebbe contenere

tutti ma prima è necessario liberare i fatti dalle cause

sta guardando il paesaggio dal treno in galleria

somiglia alla polvere come se fosse possibile tornare

nel vano scale bianco sul pianerottolo vuoto

passavamo dal parco premevamo l’interruttore

l’ingresso di finto legno illuminato a timer un

lavoro di emersione

 

 

 

Che in Alessandro De Francesco vi sia la necessità di partire da ciò che lo circonda, e in particolare dalla valutazione geometrica degli oggetti, la quale gli consente di collocarli in uno spazio misurabile e di conoscerne le distanze, quasi fosse l’unica cosa che se ne possa attestare con certezza, è fatto incontrovertibile di tutta la sua produzione poetica. D’altronde, se è vero come diceva Wittgenstein che “La verità non è nelle cose ma nel linguaggio”, e se: “come adesso che il pensiero non ha verità da / proporre la domanda e visto dal buio molto di quanto afferma le azioni che potremmo compiere sono una pellicola in un proiettore spento”, ciò equivale a dire che quando si avverte insufficienza nell’espressione, e per mezzo dell’espressione stessa, ciò implica che si stia di fatto agendo in una sorta di scatola chiusa, ambiente asettico in cui si può sperimentare quanto del linguaggio ci travolga anche in modo consuetudinario, ci trasporti alla deriva, ci privi di relazioni esperienziali. Il testo di De Francesco lo si può anche assumere come coincidente con tale esperimento e, di conseguenza, si potranno verificare i meccanismi di filtro messi in atto, le lacune lasciate volutamente aperte anziché provocarne l’occlusione con materiali incongrui, la verifica dei pesi e delle misure nella rete dei significati, lo scarto rivalutato a fronte del risultato atteso e forse trovare in questo, ancor più che in qualche definizione dogmatica, la consegna, il lascito di questo lavoro. Lavoro di raccolta delle differenze anche minimali, delle variazioni rispetto alla via prestabilita, contro la regola unificante, che trova un suo naturale limite nella biologia, forma fisica, di cui il testo è ricchissimo di riferimenti: “ancora discendendo si immette giù per il tubo una / clessidra di vene e la sacca che potrebbe contenere / tutti ma prima è necessario liberare i fatti dalle cause”. Come accennavamo in esergo, liberarsi dalle convenzioni, ad esempio di causa ed effetto, come humeiano dettato richiede, vuol dire inevitabilmente anche riposizionarsi in quanto soggetto, fosse pure un soggetto che rifiuta identità e che si forma solo tramite l’accumulo dei suoi momenti percettivi e ideativi. D’altronde, un tale soggetto, alla fine, quadratura del cerchio, non può che individuarsi attraverso le sue coordinate geografiche come recita l’ultima poesia: “fruscia / si sposta /esce”. (r. p.)