Gian Maria Annovi, “ kamikaze”, Transeuropa 2011

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brilla corpo-kamikaze:

stella avariata

spunta le dita dei passanti

le falangi per aria

in un volo armato di

colombe

(tutto il mondo è bombato)

che nel balzo ti inclina

la schiena

che ti sbalza la pelle

di costole / di vertebre

che piombi acceso sul selciato

 

 

 

Il contatto tra un terrorista che accetti di suicidarsi per portare a termine la sua azione omicida e il singolo in un qualsiasi angolo del mondo che vi riflette avviene mirabilmente tramite il riflesso delle posate, come se il loro bagliore potesse essere un segnale, un decifrabile messaggio, quasi potesse valere come anello di collegamento.Flebilissima analogia che equivale a dire: nessun contatto possibile, e proprio mentre si subiscono indirettamente le conseguenze dell’atto terroristico. Una non accostabilità che però pretende un giudizio. E pertanto richiede il passaggio tra immagine mediatica e immagine interiorizzata, in un vano tentativo di acquisire quest’ultima come un dato d’esperienza. L’autore prova a immaginarsi quel che accade al corpo del terrorista mentre l’esplosione deflagra: fra brandelli di corpo e fili elettrici, letteralmente presta il proprio corpo all’altro e valuta quel che resta. E viene qui in mente il ruolo dell’immaginazione nella conoscenza esplorato da Cartesio e da Spinoza. Tra splendidi rottami di immagini sbranate dalla fiammata, Gian Maria Annovi inscena la contiguità di ciascuno con quello che accade nel mondo e si prova a imbastire punti di sutura con una storia che sembra trasvolare sulle nostre teste, che non ci appartiene e a cui pure partecipiamo. “Calcola il limite del credersi presente”: immerso nel farsi della storia è, in realtà, assente da se stesso nella maniera più propria: quella dell’alienazione. Schiacciato dalla macchina mediatica, “parla la lingua che non conosci / che non comprendi ma ha / senso”. Preciso come un laser Annovi inchioda con una definizione: “tu corpo-ostaggio / ostinato ostacolo a te stesso”. Corpo che trova un utilizzo soltanto nella macchina propagandistica dei mass media. Eppure non è prevedibile e chiusa questione: il doppio si rivela l’autentico, nel meccanismo che tutto distorce: “ma tu mi miraggi / e malamente mi raggiri”. Ancora nel corpo e attraverso il corpo: entrambi distorti (attentatore, fruitore mediatico) da una storia che non riconosce entrambi, se non parzialmente, se non temporaneamente. Non è che l’ansa di un gomito ed ecco che i due figuranti divengono fuscelli trascinati da un medesimo gorgo privo di direzione e scaricati in una fossa comune. Un unico appello e un unico strumento resta: la lingua. Attraverso la lingua si può comprendere ed evitare. Perché la lingua costringe al pensiero e il pensiero reclama il corpo come cosa non riducibile a esso. (r. p.)