RicercaCarte nel VentoSostieni la poesia Indica il Tutti i tag di Anteremtags in Carte nel ventoMarzo 2008, anno V, numero 9
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Il nuovo libro di Flavio ErminiNovità editorialiSono stati pubblicati da QuiEdit gli Atti della giornata di studio dedicata dalla Biblioteca Civica di Verona e da Anterem a “Lorenzo Montano e il Novecento Europeo. Gli interventi qui riuniti sono di Giorgio Barberi Squarotti, Flavio Ermini, Gio Ferri, Claudio Gallo, Maria Pia Pagani, Tiziano Salari. Curatore degli Atti è Agostino Contò, a cui si deve l’introduzione al volume. Viaggio attraverso la gioventù di Lorenzo MontanoViaggio attraverso la gioventù di Lorenzo Montano viene edito per la prima volta da Mondadori (1923). Successivamente l’opera sarà pubblicata da Rizzoli nella collezione B.U.R. (1959), con un saggio di Aldo Camerino (1901-66). Tale saggio viene riproposto in questa terza edizione, che si presenta arricchita da una biografia e una bibliografia aggiornate, a cura di Claudio Gallo, oltre che da una riflessione interpretativa di Flavio Ermini. Premio speciale della giuria Lorenzo MontanoNell’ambito del Premio Lorenzo Montano XXVIII edizione il Premio Speciale della Giuria "Opere Scelte - Regione Veneto" è stato attribuito dalla Giuria del Premio a Luigi Reitani La poesia del pensieroIntervista con Flavio Ermini a cura di Antonio Ria Flavio Ermini è stato intervistato da Antonio Ria il 15 gennaio 2013 negli studi di Milano della RSI / Radiotelevisione svizzera – Rete 2. Nuclei centrali dell’intervista sono stati: il suo ultimo libro Il secondo bene (Moretti&Vitali, 2012) e la poetica della rivista “Anterem”. Contenuti più vistiChi è on-lineCi sono attualmente 0 utenti e 6 visitatori collegati.
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Giovanni Infelìse, L’alfabeto sepolto, con una nota di Marco FuriaLa cadenza infinita
Con “L’alfabeto sepolto”, Giovanni Infelíse presenta una sequenza di versi la cui vivida compostezza pone in essere affascinanti armonie prive d’inizio e fine. Dove comincia l’arcobaleno? Dove finisce? Si può soltanto prendere atto della sua rara, leggiadra, presenza. Così, i versi del Nostro non iniziano, paiono seguenti ad altri, né finiscono, perché alludono ad altri che arriveranno. Arriveranno o arrivano? “Arriveranno” se ci fermiamo al punto, “arrivano” se immaginiamo una continuità ininterrotta. Qualcosa induce a proseguire, a continuare: questo qualcosa è già poesia? Sì e no. No, se vogliamo restare legati al dato concreto, sì, se intendiamo non trascurare quel senso d’armonia che ci accompagna, che non ci abbandona. Come la vita, la poesia può essere, certo, misurata, ma siffatta misura coglie soltanto alcuni dei suoi infiniti aspetti: il poeta, mostrando certe inedite fattezze, apre immensi spazi in cui ogni individuo, anche se non scrive versi, può riconoscere se stesso e i suoi simili raggiungendo maggiori consapevolezze. L’umana esistenza incontra limiti temporali, ma, quanto a profondità, a intensità, il campo è libero e immenso. Giovanni, con pregnante compostezza, ci invita a esplorarne qualche parte secondo cadenze semplici eppure complesse, sempre memori di un “alfabeto sepolto” che spetta al poeta, come a chi lo ascolta, disseppellire con quella cosciente assiduità capace di non cadere mai nel solipsismo o, peggio, nell’arroganza. Il buon poeta, insomma, è la sua lingua, ma anche quella di tutti. Marco Furia
L’alfabeto sepolto Dividere in segni le dune del corpo sempiterne lune a privarsi di un carattere a esibirsi affisse a un sipario a un colore disabitato a un inquieto geroglifico della mente al suolo di un buio immortale alla traiettoria di un volo trafitto da mute lingue da un eccesso di sonorità selvagge dall’aria di contrade malsane dalle mani avverse di chi cadde dalla forca senza l’abito del proscritto senza l’acredine dello smemorato sul cuore che resta sedizioso se resta un insolubile dubbio che una verità sia a nutrire scritti e silenzi da baciare al principio lambendo e disdegnando il termine degli uni e degli altri fogli e fardelli come fratelli inchiodati al ventre di una ballata di un solitario cane di un’introvabile coscienza talvolta di un legame di un folle canto che a spasso raschia la terra aspra umida di anime – di chi era la parola legata all’oscenità e alla bellezza senza esistenza né ombra? Un desiderio di suoni una prospettiva e uno strumento taglia figure e concetti di paese in paese dominando luoghi senza origine un mare cifrato di foglie un pianto come stecco infisso in gola parole di una stanza eterna ormai perduta nell’insopportabile sete d’amare. L’eco ha un’infanzia la solitudine l’età di un destino antico che piove polvere dai righi accesi sui lucernari tra ferite e feritoie oscure. Una volta consumata l’illusione la morte che commuove porta con sé l’alfabeto sepolto le sue lettere la sua quiete il suo monito… rem tene, verba sequentur … lascito di una fine che ha nello stillicidio dell’acqua l’eco di uno sguardo recluso in una rambèrga di incognite reali che naviga ormai naviga senza rotta né brezza né sillabe da intagliare o dipingere sulla bocca al termine del viaggio.
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