Mario Fresa, Separazione dalla luce

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Mario Fresa 

Separazione dalla luce 

Testo poetico 

*

Così tu segui i portentosi rulli di luce

intervenire su di un sorriso nuovo.

Ma inventare si può

soltanto nell’ingrato seminare di orologi

che preparano discordie: 

le rose ti consumano la vista. 

*

L’anima cade nella vetrata quando muoiono, d’incanto, le

parvenze. Una semplice arena che cresceva notti lunghe:

era il poema violento della vista,

ma ti accorgevi allora di non essere che un inesatto

gesto, un sonno tutto lieve che scuoteva le dimore. 
 

Nota critica di Giorgio Bonacini 

Ciò che contraddistingue fortemente la voce e la scrittura di Fresa è l’andamento costantemente evocativo della sua parola poetica. Ma l’evo- cazione non è mai il segno, per così dire, di una scaltra poeticità dove l’alto livello linguistico è solo un artificio di distanza dalle cose basse; no, qui la lingua stra-ordinaria affiora in un corpo dove “non ci sono amarezze nelle parole divenute/incandescenti...” perché la sua voce “è una severa fuga”. Ed è in questo modo che vediamo affiorare vaste foreste di sentimenti: in forme di sogni, desideri, accenni indistinti a un tu sempre presente ma mai afferrato; e ciò in virtù proprio della consapevolezza, ben ferma nel nostro autore, di chi sente la poesia come un rincorrere costantemente una conoscenza diversa, tesa e lacerata, in cui, leopardianamente, ci si sente parte di un reale, concretamente vitale, di leggerezza e sofferenza, di precarietà e bisogni, di forzature e strappi.

   Nei testi di Mario Fresa la metafora non è più un piano sovrapposto a quello della lingua normale, ma è la lettera precisa della sua pronuncia e della sua esistenza. E questo perché, paradossalmente, “il linguaggio è co- mune, sempre”, in una sorgente di figure e di significazioni dal tratto tal- mente sensuale da renderle quasi visionarie: tese a dare luce a una condi- zione di opacità e indistinto.  Ciò non toglie, però, che la poesia sia sempre  pensiero e lingua di precise attenzioni (anche quando è immersa in una pe- nombra sfumata e sfuocata), in un gioco fisico in cui “accecamenti chiari” e “segreti incoronati al buio” lasciano intendere, ma non svelare, la materia con cui la coscienza poetica diventa la forza dei sentimenti e dei sensi.

   D’altra parte la ricerca del senso è certamente la prima intenzione che un autore come il nostro mette in campo: con capacità e conoscenze letterarie, ma più ancora facendo vibrare le corde di un io lacerato che sa quanto il poema possa essere violento e ferire. Ma non ci si può sottrarre da questa condizione, perché “Il pianto ha una mano che ha una solenne forza” e chi fa poesia sa quanto ogni gesto sia sempre all’inseguimento, sempre sul- l’orlo di un precipizio dove anche il suono ha odori e lamenti.

   Per Fresa la poesia costituisce veramente una presenza interiore che fuoriesce in una sillabazione di lampi, in cui la scansione dei versi, pur fortemente allusiva e a volte inafferrabile,  non è mai sottratta al controllo tecnico. Attenzione, questa, presente ma in disparte, perché “Il libro è la terra” “...sotto un albero di verbi”. E sappiamo che chi calpesta questa terra, ricevendo ombra da questo albero, vive in un felice stadio di assedio e di tensioni, nella mente e nel corpo di ciò che chiamiamo poesia.