Miro Gabriele, Le rose di Porto

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Miro Gabriele, “Le rose di Porto” [1] [2]

Nota critica di Marco Furia 

Una limpida offerta 

“Limpida” davvero l’ “offerta” di Miro Gabriele che, con “Le rose di Porto”, presenta un articolato componimento in cui allusive scansioni mirano a porre in essere un’ “astratta geografia”, affascinante per la capacità di suggerire immagini interne ed esterne nel contempo, esiti evidenti di profondi rapporti di empatia con il mondo. 

Gabriele, sapiente e tenace costruttore di versi, ossia di autonomi linguaggi, si mostra ben conscio delle peculiari potenzialità di un’ opzione artistica, quale la sua, particolarmente ricca di attitudine espressiva. 

Siamo in presenza di una salda fiducia nel farsi poetico, di una conferma della tipicità d’ una lingua in grado di offrire non soltanto eleganti tratti descrittivi, ma anche di promuovere un leggere inedito, dalle molteplici possibilità e aperture, secondo orchestrazioni che non costringono entro rigide sbarre, invitando, al contrario, a servirsi dei paradigmi verbali con rinnovata sensibilità. 

Con toni armonici, evocativi, contraddistinti da una vena espressionista poco esibita, quasi implicita, eppure intensa, trattenuta da parole che, proprio in virtù di tale scelta , riescono ad assorbire maggiore energia, senza mai cedere alla maniera dello scrivere semplice e comprensibile a tutti i costi, il poeta ci fa dono di una “luminosa pietà”, di un’ affettiva partecipazione all’ umana vicenda secondo accenti il cui “disegno”, “aperto” ma composto, testimonia di una equilibrata cifra stilistica. 

Uno “sguardo” “netto”, senza dubbio.