Giancarlo Pontiggia: Bosco del tempo, Guanda 2005

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Nota critica di Rosa Pierno

 

Domande insidiano il lettore, fin da subito. Sarà impossibile per lui restare inerte, leggendo “Bosco del tempo”. Già nel titolo gli viene data la chiave di lettura, la lampada per addentrarsi in questo folto testo di citazioni. Il tempo appare qui ramificato, vera e propria selva, labirinto, con enigmi diversamente ritmati, ove persino una cadenza non è oggetto a cui avvicinarsi con consuetudine. Domande che Pontiggia rivolge a entrambi, al lettore e a sé. Domande che nascono già prive di risposte. Poiché nulla può rispondere: né ente, né poeta: “Non cerco altri segni che voi, immoti,/ forti come una rima che si ripete eguale, come/ un nome quasi chiamato, e che ritorna/ salvo, tutelare”, ma solo poesia.

Pontiggia accoglie il lettore, allestisce per lui i suoi ricordi d’infanzia, con stanze scale, ombre, buio e vi si addentra insieme a lui. Sarà questo libro un dialogo incessante con il lettore e con la poesia, come per lui lo è stato il dialogo con i libri degli altri, lui stesso inderogabile lettore. Fa ingresso il tempo in quest’allestimento. Ingresso regale. Sarà suo lo scettro, sarà lui l’oggetto indeclinabile e declinato. Dapprima peso sulla nuca adolescenziale, poi elargitore di stupore. Nomi avranno in quest’ispezione, polverosa e sontuosa insieme, un ruolo ausiliario: “Eppure un cielo era sempre/ cielo/ e il nome della notte/ notte”. E intanto il tempo si dirama: quello che scorre glaciale e inarrestabile e quello delle scoperte: barbagli nel giorno. Ci sono più tempi anche nel presente, il tempo dei sogni, delle proiezioni, delle visioni e il tempo della disillusione, dell’accettazione dello stato attuale. E qui, lettura entra, gran regina. E’ lettura che vivifica il mondo, che gli dona sostanza. E viene anche il momento in cui tutti i diversi stati del tempo vengono a collisione: “Anche oggi, talvolta, ripensandoci,/ provo lo stesso senso docile, stremato/ di una vita sospesa in un suo strano/ suono, in un tempo semplice, inviolato”. Non può restare in questo idillico stato per molto. Disillusione è sempre pronta a cogliere il poeta nel suo stare al mondo. E non sarà solo perché i sogni delle vite degli altri ci lambiscono, ma non ci saziano. Saranno proprio i lettori l’arma a doppio taglio, ciò che è da temere. Sfida non è solo quella lanciata a sé stesso leggendo i grandi poeti. Brucia già solo la presenza di una probabile disfatta che il poeta sempre teme. Poiché la sfida che lui ha accettato è mortale. E se la poesia salva, la poesia distrugge. A tratti, un tentativo di fuga dal destino di poeta teso a raggiungere l’altro, la parte irraggiungibile di sé, quella presentita: “ad altro, che ignoravo,/ mi tendevo: in una buia/ stanza, in un tempo/ straniero”. Accedere a un’altra vita, “più strana, più romita”. Accedere a un tempo senza distinzione, che risale dai secoli, unica garanzia di un perdurare umano, di umane eterne parole: “Bel pastore - gli dicevano - / dì/ le parole d’oro,/ che dalla nera terra/ sorgono, da un tempo che non muore”. Scrivere, sarà allora come risalire il tempo: “giungi/ alla foce del tempo, alle soglie di un fiammeo/ niente”. No, Pontiggia non lascia sopire il lettore nemmeno ora: “Non servivano versi/ tra quei mari; erano loro, i mari/ liquidi e fulgenti, la stupefatta/ poesia del presente”.

 

Testi poetici

 

Tra queste isole, pensavo

Tra queste isole, pensavo,
perirà infine
l’elegiaco imperfetto.
Tutto è caldo, sublime, esatto: una colata
di presente immane,

intatto. Vero era il proposito; giusto
il suo concetto: ma solo chi torna
scrive; già al Pireo cedevo
al molle passato. Non servivano versi
tra quei mari; erano loro, i mari
liquidi e fulgenti, la stupefatta

poesia del presente.

 

Ultima sosta

Chiedo a voi, geni
di un tempo troppo dolce,
chi abiti in quelle
città turrite e sospese.

Rispondete: non voi, non più, lettori
devoti, smarriti: quel mondo
vola via, vedete, in cieli
scuri, innominati, in altre carte

invisibili, segrete.

 

Giancarlo Pontiggia (1952) vive a Milano. Traduce dal francese (Sade, Céline, Mallarmé, Valéry, Supervielle, Bonnefoy) e dalle lingue classiche. Tra i suoi ultimi libri, la raccolta poetica Con parole remote (Guanda, 1998, premio Montale), e il volume di saggi Contro il romanticismo. Esercizi di resistenza e di passione (Medusa, 2002).