Per Giorgio Celli: lode al DNA

Versione stampabilePDF versionDi Federico Leso, Michele Martini, Matteo Matteucci, Zeno Montagnani, Enrico Nicoletti, Paola Spola, Stefano Zamboni

Su Giorgio Celli, Lode al Dna


La poesia “Lode al DNA” è unica nel suo genere in quanto unisce in sé due tipi di linguaggio diametralmente opposti: quello della poesia e quello della scienza. Anche se l’accostamento può sembrare azzardato, Celli potrebbe essere collegato a Catullo, per come usa un linguaggio diverso da quello poetico. Come Catullo mescolava linguaggio alto e il “sermo plebeius”, Celli mescola quello poetico con quello scientifico. Il poeta però, non ha inserito la scienza nella poesia solo usandone i termini specifici ma, come ha detto, utilizzando anche metafore che, allo stesso tempo, hanno creato questa “varietas” e hanno mantenuto in trasparenza le origini etimologiche dei termini. La poesia risulta di difficile comprensione non per il modo con cui viene espressa la lode al Dna, ma per i termini usati, così specifici da non essere accessibili a tutti.
Il testo presenta una struttura poetica molto semplice e atipica rispetto alla poesia classica. L’uso delle strutture poetiche tradizionali è limitatissimo; infatti non vi sono rime e i versi sono liberi; ampio invece l’uso delle metafore presenti in grande numero. In che cosa consiste, allora, l’aspetto poetico? Per rispondere dobbiamo scrollarci di dosso la visione romantica della poesia: non serve la commozione per cogliere la bellezza di immagini come “pallottoliere di noumeni” o “hai sognato di me, di me nell’ameba” ( a proposito, qui c’è un’anafora), ma si può rimanere colpiti dall’arditezza di questi accostamenti logici. Dove abbiamo trovato questo modo di poetare? La risposta, per noi studenti di terza liceo scientifico, è facile: in Dante, in quello del viaggio di Ulisse, dove si descrive la poesia della ragione.


Riflessioni su “Lode al DNA” di Giorgio Celli
di Matteo Azzini, Alessia Fedrizzi, Luca Aloisi e Nicola Salvagno

Si possono conciliare scienza e poesia? Giorgio Celli, poeta (ha fatto parte del “Gruppo 63”, caposcuola dell’avanguardia poetica degli anni Sessanta in Italia, cercando nuovi linguaggi per la poesia del suo e nostro tempo), e etologo-naturalista, a questa domanda risponderebbe di sì. Anzi risponde con il recente volume intitolato “Percorsi”.
Ma come si conciliano in Celli scienza e poesia? Per rispondere a questa domanda analizziamo quella che riteniamo la più significativa delle sue poesie “Lode al Dna”. In questo testo, alcune immagini sono molto significative per spiegare questo accordo.
Ad esempio, il dna “che fa danzare l’ape nel suo bugno” è particolarmente efficace, poiché l’accostamento di termini scientifici con l’immagine stilisticamente raffinata dell’ape che danza, crea toni molto suggestivi. Ma questo testo non va letto come una poesia del “cuore” e non va interpretato in chiave romantica, ma come “poesia della ragione”.
In questo componimento, Celli mette in evidenza il ruolo del dna, nella nascita, nell’evoluzione, nell’intelligenza dell’uomo. E ci dice tutto questo usando termini scientifici, lontani dal linguaggio poetico romantico. Del resto, anche Dante nella Divina commedia introduce il linguaggio teologico, e Catullo, ancora prima, ha messo nelle sue poesie d’amore termini del linguaggio dell’economia ed espressioni del sermo cotidianus. Insomma, un lessico apparentemente anti-poetico. Così come Celli fa poesie sulla scienza con il linguaggio della scienza. In questo sta il talento del poeta.
In “Lode al Dna” troviamo espressioni come “Algoritmo della vita”, “Spartito del carbonio” e “Pallottoliere di noumeni”, ma anche termini come echinodermi, eone, pterodattili, anomia, inferenza, entropia.
Una parola come echinodermi può entrare in un testo poetico? Celli ci mostra che è possibile, e noi scopriamo che si può, perché questo lessico nelle poesie serve come evocazione, come richiamo. Cosa c’è di più lontano dalla poesia del lessico scientifico? Niente, avremo risposto prima di leggere le poesie di Celli. Ma, dopo aver conosciuto i suoi testi, abbiamo scoperto che qualsiasi termine scientifico può diventare poetico.