Notizie dagli Autori e dagli Editori

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Notizie dagli Autori e dagli Editori

Performer vocale-gestuale e autore “fonografico”, tra i protagonisti della Mostra internazionale Living Theatre/Labirinti dell’Immaginario (Napoli, Castel Sant’Elmo, 3 luglio-28 settembre 2003), Massimo Mori è da oltre un trentennio sperimentatore solista della poesia visiva e fonetica con una particolare predilezione per la gestualità, la creazione di oggetti, l’”onomalingua” e lo psicodramma teorizzati e variamente attuati dal futurista Fortunato Depero (…).
Dalla presentazione di Stefano Lanuzza a “Performer” di Massimo Mori, Giubbe Rosse 2005

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Nel 2004 Ida Travi, redattrice di Anterem, ha pubblicato presso La Tartartuga, Baldini Castoldi Dalai Editori, l’atto tragico “Diotima e la suonatrice di flauto”, con prefazione di Luisa Muraro. Pubblichiamo alcuni estratti di recensioni.

Estratto dalla nota di Elisabetta Rasy
Corriere della Sera
Magazine -6 marzo 2005

“Nei film vengono definite comparse: figure che compaiono e scompaiono attraversando la scena per il tempo di una battuta, o un gesto solo. Per servire l’azione degli altri. Spesso nel cinema come in letteratura sono figure femminili decorative ma irrilevanti. Una poetessa italiana, Ida Travi, ha pescato o piuttosto ripescato una di queste umili stelle filanti in uno dei testi fondamentali della nostra cultura Il Simposio di Platone: nel celebre dialogo ambientato durante una festa, gli amici riuniti –tutti uomini- quando decidono di conversare sul tema dell’amore allontanano la suonatrice di flauto che fino a quel momento aveva rallegrato la serata. La flautista scompare nel nulla. Da questo nulla l’ha riportata in scena Ida Travi dedicandole un testo che è una concentrata tragedia tutta al femminile” (…)

Da l’Indice dei Libri
Estratto dalla recensione di Luisa Bistondi
(marzo 2005)

‘Ida Travi definisce il suo Diotima e la suonatrice di flauto un testo anomalo. Anomale perché cancella le distanze tra poesia e filosofia? Tra scrittura teatrale e filosofia? Poetessa Ida Travi dice che la poesia orale è la base da cui nasce il teatro e germina il pensiero (L’aspetto orale della poesia - Anterem 2000 -Selezione Premio Viareggio 2001)Ne consegue che questa sua opera npon è più così anomala, soprattutto se si pensa alla lezione di Maria Zambrano, la quale si è rivolta agli albori della nostra cultura, a quel ‘prima in cui poesia e filosofia erano uno, prima che poesia e filosofia diventassero due e fra loro molto diversi.

Estratti dalla recensione di Annarosa Buttarelli
Leggere Donna- gennaio febbraio 2005

(…) Siamo avvertiti: ciò che leggeremo nell’“atto tragico” non è il prodotto di un’esercitazione poetica, ma è una creazione poetica che permette a voci silenziate di farsi udire secondo la loro verità. La rivendicazione di verità è la stessa di María Zambrano quando ci assicura che è Sofocle ad avere sbagliato la conclusione della sua tragedia per difetto di pratica dell’ascolto.
    È la stessa rivendicata da Marguerite Yourcenar quando, in stato quasi estatico, ascolta e trascrive la voce dell’imperatore Adriano. Sono rivendicazioni di verità frequenti come gesti della differenza femminile che cerca di farsi largo nei contesti di occultamento o di negazione. Si tratta certamente di una necessità per la mente e anche per il sentimento di una certa giustizia. (…)

Il ricco saggio introduttivo di Luisa Muraro, In versi e in prosa, intercetta e sottolinea anche un aspetto non secondario dell’opera di Ida Travi, non facile da comprendere: è un atto tragico perché Anna, la suonatrice di flauto, alla fine si suicida, nonstante la cure amorevoli di Diotima e della nutrice. Perché? Luisa Muraro vede, in questa scelta drammaturgica, l’accettazione da parte della poetessa della legge canonica degli atti tragici: si deve finire con una o più morti.

Secondo la filosofa, Ida “è attratta dal fascino dell’Atto tragico con la sua caratteristica, di un agire che la casualità e la morte impediscono di fare arrivare alla sua compiutezza, e tuttavia non disperso, trovandosi tutto raccolto nello spazio peculiare del teatro greco”. Insomma, la mancanza del lieto fine onorerebbe il fatto che c’è il caso e c’è la morte che fanno deporre ambizioni di compiutezza rappresentabili con l’esito positivo della vicenda della protagonista. Lettura suggestiva che lascia aperta comunque una domanda sulla morte di Anna, la suonatrice di flauto, tanto più che Ida Travi in un’altro testo molto importante (L’aspetto orale della poesia, Anterem 2000 –Selezione Premio Viareggio 2001) prova a condurre la sua riflessione fino al “superamento del tragico”, dato che le interessa mostrare – non abbiamo dubbi al proposito – che “mettere al mondo, porre all’aperto, non significa solo mettere in pericolo”. (Annarosa Buttarelli)

Giancarlo Calciolari

Ida Travi in Diotima e la suonatrice di flauto. Atto tragico (La Tartaruga, 2004, pp. 82, € 10) legge le fiabe della filosofia e si trova a inventarne altre.
La restituzione in qualità del testo occidentale, senza più decostruzione né archeologia, non è facile. Occorre la scienza della parola che è sorta con il rinascimento sulla scia delle istanze dell'ebraismo e del cristianesimo, tra Gerusalemme e Roma. Non la scienza del discorso, che viene formalizzata a Atene, nel momento che sorge l'impero, con Alessandro allievo di Aristotele, sino a essere diventata oggi canone occidentale.

Come dissipare il canone e restituire il testo, che non è mai stato scritto? Infatti, se il più grande filosofo della fine del novecento è stato Jacques Derrida, è pur vero che il suo lavoro è consistito in una postilla a Platone, essendogli servito Heidegger per precisare questo aspetto.
(…)
Forse la modalità narrativa di Ida Travi è ancora filosofica? Ida Travi propone il terzo incluso o istruito, come Michel Serres, al posto del terzo escluso? Nell'incluso è dato il terzo? Tertium datur? Oppure la genealogia dell'esclusione e dell'inclusione toglie l'Altro scegliendo obbligatoriamente la morte. In effetti, l'atto è tragico. Obbligatoriamente. Nel senso che l'unica libertà prevista dal canone è quella di morire. Nel senso che la suonatrice di flauto muore. Si suicida e nemmeno poi tanto velatamente. Anche la suonatrice di flauto ha scherzato con la morte? Non era riuscita a formulare un progetto e un programma di vita, malgrado la guida di Diotima?
(…)
"Chi consegna alla vita consegna alla morte e lo fa per amore", scrive Ida Travi ne L'aspetto orale della poesia. Anterem 2000- Selezione Premio Viareggio 2001 ) Questo è il mito delle tre parche. Le parche, le fasi della luna? Il naturalismo? Il fatalismo naturale? Possiamo leggere in altro modo Atena, Afrofite, Era, Ecuba?

Estratto da ‘Il Segnale ’n° 71
Recensione di Giuseppina Rando

‘Come la filosofa Maria Zambrano la poetessa Ida Travi cerca nel mondo greco gli albori della nostra cultura, quel prima che unificava poesia e filosofia :’ ‘…le accomuna’ – scrive Luisa Muraro nell’Introduzione ‘ un tratto della scrittura che trascende ogni polemica. Entrambe inseguono una scrittura in cui prima della parola, viene l’ascolto: viene e si esprime nella scrittura styessa come una cavita….’ Questo discorso richiama un’altra importante opera della Travi (L’aspetto orale della poesia Anterem 2000- Selezione Premio Viareggio 2001) dove tra l’altro si legge ‘Nella sensualità del primo vagito, del peimo suggere un seno, nel primo abbraccio dopo la lunga emersione dal nulla si tesse una trama tragica :chi consegna alla vita consegna alla morte e lo fa per amore’

Estratto dalla recensione di Sara Zanghì
L’Immaginazione sett. 2005

‘Un libro avvincente formato da un’opera teatrale ‘Atto tragico’, da un racconto La Verità, e da un’appendice Ritratto di Anna che per le loro intrinseche corrispondenza si presentano come un testo unico.
(…) niente di meglio che citare qualche brano del saggio introduttivo di Luisa Muraro ‘Si tratta di uno stare o di un andare dentro/fuori rispetyto a una scena illuminata, popolata da personaggi di rango superiore, dei o filosofi, da parte di chi non appartiene a quel mondo e ci sta a disagio, o ne sta fuori, o ne va fuori perchè segnata- spesso è una donna, qualche volta è un uomo- da un ‘meno’ che apre un buco nell’orizzonte dell’autosufficienza, così che altro possa avvenire, un incontro, un dio, un testo…’
Una nuova forma d’invenzione. Per la quale è necesario ‘fare il vupoto’. Un buco, o una specie dio traforo. O: straforo, extraforo, scrive ancora Luisa Muraro e conclude: ‘La combinazione delle due figure femminili da lei (Ida Travi) inventata è ‘opera di straforo’nella cultura tradizionale.’
Lo è anche L’aspetto orale della poesia, della stessa autrice (Anterem 2000 – Selezione Premio Viareggio 2001), che si richiama direttamente alla Grecia arcaica, a un prima in cui la poesia fu un dono orale, un’enciclopedia del mondo, un’epica…..’

Una nota di Daniela Cabrini

Il libro di Ida Travi si situa in una ben precisa intenzione che muove un percorso creativo del 900.
Si tratta di ripensare figure del mito nel mito, riascoltarle, dare loro altra voce alla luce della storia e di una nuova consapevolezza poetica.
    Mi riferisco a Christa Wolf e alla sua Medea, a Maria Zambrano e alla sua Antigone, a Marina Cvetaeva e alla sua Fedra.
    Ida Travi in verità compie una doppia azione, un doppio attraversamento del dialogo platonico Simposio: dona altra voce a Diotima, e dà voce ad Anna, nome che Ida Travi attribuisce alla suonatrice di flauto che, pur invitata, viene allontanata prima che gli uomini invitati al simposio comincino a discutere su Amore e che nel Dialogo scompare con il suo allontanamento.
    Ida Travi ripensa Diotima, già degna di grande stima e riferimento da Socrate stesso, non solo figura della saggezza, ma figura della pietà e come nutrice, anzi nutrimento lei stessa, cosciente in queste nuove parole, che gli uomini “ dopo aver bevuto alla mia fonte si convincono che il merito sia loro che sono stati bravi a dissetarsi. Si scordano la fonte stessa”.
    Qui c’ è un salto temporale incrociato: nel Simposio Socrate racconta di un incontro con la sacerdotessa Diotima accaduto almeno venti anni prima, Ida fa comparire Diotima mentre il Simposio si tiene.
    Diotima è dunque la voce nel tempo, del tempo. È colei che accoglie, è la pietà senza tempo come “lei” stessa dice:
“E molte cose Socrate non sa sul mio pensiero (..). A volte ( ..) un’immagine viene (…) d’una Pietà vivente, una figura umana che ha il volto femminile della cura,”
    E’ con Anna che Diotima assume questa ulteriore voce: tiene sulle proprie ginocchia Anna, la accarezza, e nel suo voler trasmettere ad altra donna la propria conoscenza di donna, è nutrice.
    E’ con Anna che la storia si scrive nuovamente e si muove una nuova voce.
Anna racconta di essere rimasta – non vista- in ascolto di parte degli interventi degli uomini, e di essere poi fuggita in preda all’inquietudine mossa da pensieri e lontano da Aristide, uno fra gli invitati e padre della sua piccola figlia, prima che questi tenesse il suo discorso.
Anna vede e capisce che il peso più grande – essere madre ed esserlo sola – può essere rovesciato nel punto d’inizio, in quel punto delicato ma denso di possibilità che è l’accogliere la differenza, vivere proprio della mancanza.
    Ma la piccola figlia muore e ad Anna non resta che mettere fine alla propria esistenza “ debole è la madre che non basta a se stessa, debole la donna che aspetta troppo a lungo…. Adesso è tardi..”.
    E al poeta non resta altro che il canto e la tragedia come scelta autentica ed etica di resa di/a ciò che è successo e di rinnovo di una parola poetica iniziale che torni a raccontare.
Rari sono i libri in cui la narrazione è così vicina alla parola, in cui lo scorrere delle pagine sussurra il ritmo della storia stessa.
    La morte di Anna è necessaria ed è un rovesciamento, segna la differenza come il silenzio segna la voce. E la tragedia qui è la “giusta finzione”, è il ricorso al mito come racconto, così come Socrate stesso rinuncia al suo metodo di disputa dialettica per esporre la verità attraverso il racconto dell’incontro con Diotima.
Il mito-racconto come anima della tragedia nella sua forma poetica più antica.
    Questa aderenza alla parola originaria, caratteristica saliente della ricerca poetica di Ida Travi, viene qui sigillato al testo poetico dell’atto tragico, ma anche confessato dall’autrice stessa che, nella terza parte del libro “Ritratto di Anna”, conclude con “ Non posso più cambiare questa storia, però ve la racconto.”
    Si torni a raccontare perché è storia l’azione tragica, è storia ciò che accade e ciò che è storia è relazione, ponte fra le esistenze “ a cavallo del tempo, a cavallo del tempo”.
(Daniela Cabrini)

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Mara Cini, redattrice di Anterem, ha in corso di stampa presso una casa editrice della Svizzera italiana un libretto costruito in collaborazione con Rita Degli Esposti e il pittore PAM (Paolo Mazzucchelli: "Specchio convesso".

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Nell'antologia “Parola Plurale” edita da Luca Sossella nel settembre 2005, sono stati pubblicati, a cura di Giancarlo Alfano, alcuni testi di Rosa Pierno tratti dai suoi volumi "Buio e Blu", "Musicale" e "Arte da camera". Rosa Pierno è redattrice di Anterem.

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Sul primo numero del 2006 della rivista "La Clessidra” saranno pubblicate 10 poesie inedite di Giorgio Bonacini, redattore di Anterem. Sulla rivista “Capoverso” apparirà la recensione di Tiziano Salari al suo libro “Quattro metafore ingenue”, Manni 2005.
    Sul numero de “Il Segnale” uscito a novembre ha trovato spazio la recensione di Giorgio Bonacini ai sette volumi finora pubblicati nella collana “Opera Prima”, edita da Cierre Grafica e diretta da Flavio Ermini.