Patrizia Gioia, "Tita su una gamba sola", Mille gru 2012

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Patrizia Gioia “Tita su una gamba sola” Mille Gru, 2012

 

Come dinanzi a un teatrino si assiste a uno spettacolo per bambini che solo per finta è rivolto ai bambini. Non ci si faccia ingannare dal tono semplificato fino all’inclusione dell’errore grammaticale o dalla voce delicata che sembra per noi leggere i versi. Patrizia Gioia ci consegna assieme al suo effettivo candido sguardo, ma ripetiamo teatralissimo, con tutto ciò che questo paradosso comporta, la volontà ferrea di non accettare nulla come dato, e l’espediente per attuare ciò è appunto il consegnarsi alla propria voce, all’infanzia mai cessata e in perenne ribellione contro l’ordine costituito. Nulla resta indenne dalla verifica e dall’analisi, ma anche dal desiderio di credere possibili le favole, tant’è che la scelta di attraversare la valle dell’infanzia è a sua volta piena di trabocchetti e di sviamenti. Si avverte la necessità di far tutto quadrare, quello che si nota nell’esistenza e quello che raccontano i grandi, in assenza di una cornice di riferimento esclusivamente razionale: “e a proposito della fedina penale / che ci hanno spiegato ieri mattina a scuola / non ho dormito tutta la notte / perché non so più a chi chiedere / se la fedina è come l’ostia”. E apriamo qui una parentesi anche sulla “strana” educazione che si riceve sia a scuola sia dai genitori. Così la Gioia finisce per costruire un mondo a metà strada, sospeso nella propria credulità, mentre è così incline a dubitare, conquistato dalla magia di una soluzione analogica quanto più è consapevole della mancata relazione esistente fra le cose. Ci riagganciamo in questo senso al nostro incipit: si crede di assistere a una regressione infantile, ma si nota che è una lente a infrarossi quella messa in atto nei versi di Patrizia Gioia; si pensa di trovarsi innanzi a una personalità candida come sarebbe quella del Candido di Voltaire, ma solo per ravvedersene all’istante e notare che le cose non collimano, che nessuna corda o scotch può costituire il ponte attraverso cui unificare credenze e bisogni, divieti e fondamenti. (R. P.)

 

 

da Tita

 

***

io abito al primo piano

di una casa di ringhiera

sopra di me c’è un terrazzo

di fronte invece ancora due piani

perché non è mica tutta uguale

anzi ogni porta è diversa

come chi ci abita dentro

 

ci sono in cortile due negozi

uno che fa il droghiere

e uno che vende cose di lana

e un cane tenuto alla catena

bianco pieno di pelo

sempre un po’ sporco

ma non abbaia a nessuno

e mi pare contento

 

il giorno che mi piace di più

non è la domenica

ma durante la settimana

che ognuno fa qualcosa

sulla ringhiera

e arrivano tutti i profumi più forti

anche dalla pattumiera

 

 

da Tita su una gamba sola

 

***

io alla domenica

vado sempre in ospedale

 

certo che mi piacerebbe

di più andare a giocare

 

ma mio papà è là

e quando lo vedo

cerco di ridere

e di non fargli capire

che anche io sto male

 

perché mi sento come lui

e senza una gamba

come si fa a ridere e saltare?

 

***

come fare a dire le cose

se non riesci a trovare le parole

 

come fare a imparare a volere bene

se mancano le persone?

 

 

Patrizia Gioia, poetessa, artista e designer, è nata e vive a Milano. La sua creatività nel mondo della pubblicità è diventata parte dell’immaginario collettivo. La sua scrittura poetica è una ricerca tesa all’incontro con l’alterità, all’analisi del profondo. Tra i suoi libri di poesia ricordiamo Inutile fare trasloco (Milano, 1985), Tre storie in bianco e nero (Milano, 1997), Parole di passaggio (Milano, 2004).