Album feriale. Impressioni di lettura.

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“… e sparire. Ha parole il tempo, come l’amore” (P. Eluard)

La terza e ultima parte del nuovo libro di Maria Pia Quintavalla, Album feriale, Archinto, 2005, ha come interlocutore un’anima che si protende a un volontario colloquio “per cenni e suoni” con altra anima. I “legami del mondo” sono accantonati mentre appaiono l’immagine e l’immaginazione che rendono “più viva dei viventi” la madre defunta. Ma il “rumore dei vivi” minaccia l’interruzione dell’incanto che vede la madre-aria farsi il luogo stesso in cui la figlia la accoglie; e sono rumore “spemi e rimorsi”, “gesti che mai avrebbero cessato di comandare sui cuori”. E’ invece fatto di silenzio il conversare delle due essenze che si toccano “col pensiero, e desiderio tutto, a lasciare sprigionare gli incontri che sarebbero fluiti.”

Colpisce, alla fine dell’opera, l’uso di questo verbo, fluire, così indissolubilmente legato all’incipit del libro dove, a fluire come il fiume che descrivono, sono i versi stessi. Certamente il grande fiume al quale si riferisce Maria Pia Quintavalla è il Po’, chiaramente un simbolo, come annota Franco Loi nella Prefazione: della vita che scorre, del sorgere di uno spirito che può farsi poesia. Dunque fluisce un fiume maschile al punto da essere “grande padre”, e fluiscono gli incontri con l’anima della madre.

Purgatoriale è l’ambientazione dichiarata a contatto con la madre. Il medesimo aggettivo non potrebbe essere usato per il fiume padre, che non sfugge, non deve essere fermato, non ha varco da superare. Il contatto con lui, a considerarlo presenza ordinaria della realtà, sarebbe concreto. Eppure del Purgatorio anche questo fiume ha le caratteristiche: “prepari / e r i p a r i / parole colpe, opere e omissioni”.

Del fiume non si coglie infatti l’oggettività, ma la sostanza nascosta. Alla poetessa occorre un gesto per appropriarsene: il sentire “l’aria fine che fa libero / il cuore”; così come un gesto, un fare qualcosa: “Cosa sarebbe accaduto di lì a poco, se non avessi fatto qualcosa come l’antico prenderti per mano, un afferrarti al volo come un tempo”, è necessario per non dissolvere se stessa e la madre.

E’ certo individualistica, privata, la dimensione di Album feriale, uno scandaglio del sé, direbbe Saba. Così, tra il fiume padre e l’aria madre, si ha lo svolgimento di una narrazione che ha per oggetto l’anima stessa, i suoi conflitti interiori, i colpi che subisce nel confronto con la realtà: il prendere ad esempio atto di non potere parlare, non potere chiedere testimonianza, alla bambina della foto, perché “io ‹‹sono quella bambina››”.

Senso e salvezza alla vita sono dati dalla scrittura. Vengono in mente i versi famosi di Fortini, in “Traducendo Brecht”: “La poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi”; “Se Dio mi ama io scrivo e se non scrivo muoio, peggio beccheggio” afferma la poetessa, quasi in tono da confessione.

E dalla sua scrittura traspaiono alcune sue letture. Gozzano de La via del rifugio: “bianca la sella / bianca la donzella” corrisponde a “Bianche calzette bianche” di pag. 47; ma da Gozzano Maria Pia Quintavalla ha derivato soprattutto il senso della grazia delle bambine sorelle, così come, probabilmente, anche il tema dell’ineluttabilità della morte. Scrive Gozzano: la morte “E’ una Signora vestita di nulla e che non ha forma. / Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.” Ma a livello tematico non vi è analogia. Se la cartolina, se “ciò che è stato e non sarà più mai” all’uno servono per non partecipare alla vita, l’album della seconda restituisce, quando è possibile, la vita: “a semicerchio cantano un refrain in sordina / che dice ben tornata notte, / e buongiorno, piccolina.” Una vita che, è nel libro di fondamentale importanza, è più volte definita “futura”.

“Intanto cresce l’erba piano / intorno a noi” sono le parole che, più degli elementi esplicitamente dichiarati, fanno pensare a Pascoli, a quell’immagine dell’erba che cresce sopra le fosse, ne “Il gelsomino notturno” o a quando in “Non gridate più” scrive: “Non fanno più rumore / Del crescere dell’erba, / Lieta dove non passa l’uomo”.

Oltre a “futura” e a “cammino” altri ancora sono i termini ricorrenti. Certo ognuno ha una complessa significanza. Si vuole comunque sottolineare la ricorrenza della parola “sparita”, sicuramente di medievale rimembranza che “cozza” con termini come “tegola”.

Meriterebbe anche attenzione la scala dei colori: tranne una volta il rosso, le tinte sono tutte pastello: grigio, turchino e rosa. Insomma i giusti toni per un …album feriale.

Un libro complesso e riuscito, questo Album feriale in cui oltre al tema, tanto conta il livello fonetico. La trama dei suoni, –si prenda la prima lirica-, la loro orchestrazione, il loro suggestivo disporsi, si ha mediante le allitterazioni (prepari, ripari, parole …; parole, colpe, lieto, zampilli…; festeggi, fianco, fiume, affondi…), le rime (fiume-spume-brume-lume-fiume), le ripetizioni.

Piace anche l’uso del quinario, primo emistichio di tanti endecasillabi (Oh grande fiume; parole colpe; parole fiume; oh fiume lieto; io qui seduta; il cuore, e le sue; pupille lume; di notte affondi) che si alterna a un solo settenario (che zampilli e festeggi), mentre due versi (l’aria fine che fa libero; la tua seta come mano) giocano con il doppio quaternario.

Il tutto a dimostrare come davvero Maria Pia Quintavalla sia riuscita nell’intento di fare fluire… un fiume, un colloquio, un ricordo, un cammino, un futuro, un giardino…
…vi sia infatti “un bel giardino” oltre il “mistico morire” , sia pur quello di una piantina.

Il finale di un libro che si avvale di una citazione di Gianni Celati non lo si può infatti presupporre che luminoso e lieto. Di Celati si ricorda infatti, in Narratori delle pianure, il personaggio del farmacista ormai vecchio e dimentico persino del cibo che, non tollerando le conclusioni tragiche, si dedicò “a riscrivere il finale d’un centinaio di libri”.

Norma Stramucci