Gian Paolo Guerini, dalla raccolta inedita "Chiunque", nota di Laura Caccia

Versione stampabilePDF version

Il balbettio del senso

Tra visivo e sonoro, senso e non senso, apparenza ed equivoco, la costruzione poetica Chiunque di Gian Paolo Guerini appare pensata appositamente per depistare. O, meglio, per lasciare che qualcosa riesca a manifestarsi nel semplice accadere del testo.

Testimoni di un originale disperso, forse mai stato”, ci indica l’autore, sono Chiunque, che “non è detto che sia”, e Nessuno, che “non è detto che non sia”, che si rispecchiano, lungo i sedici duplici scritti che compongono la raccolta, di volta in volta in una stessa trama poetica, diversamente interrotta da cesure nei due testi bifronte e resa irriconoscibile nelle sue strutture grammaticali, sintattiche e semantiche.

Una rifrazione simmetrica e asimmetrica nello stesso tempo, tra le tante contraddizioni disseminate: poesie apparentemente illeggibili nel loro balbettio sonoro, una lingua franta e spezzettata non parlata da nessuno, l’originale che è e, insieme, non è disperso.

L’originale sarebbe infatti facilmente ricomponibile: basterebbero atti di paziente razionalità per rendere leggibili e comprensibili i testi, ma, seguendo le indicazioni dell’autore che richiede “un lettore che rinunci, fin dall’inizio, alla propria capacità di intendere. Accettante l’incompiutezza e abbandonato alla résonance de la langue e alla magia del terzo suono di Tartini”, è proprio nel lasciarci cullare dalla duplicità del balbettio sonoro che potremmo essere in grado di percepirne uno ulteriore. Come nel captare gli armonici sonori, dove nell’ascolto di due suoni ad un determinato intervallo, si produce la percezione di un terzo suono, che in realtà non esiste, così l’autore ci chiede di muoverci nelle duplici sonorità, contrapposte e sovrapponibili, al fine di cogliere quanto di assente e di oltre si celi.

Salvo poi farci scoprire, nel glossario al termine della raccolta, che l’originale in realtà non è disperso e che una nuova contraddizione ci attende al varco: poiché la trama poetica è colma non solo di risonanze, ma di un senso specifico che ci conduce ai testi sanscriti, ai loro principi e ai termini che li caratterizzano. Sono termini che fanno riferimento al principio e al trascendente, alle divinità vediche e alle realtà sensibili, al respiro e alla forza vitale. Così come alla sillaba sacra, alla parola creatrice.

Allora pare che Gian Paolo Guerini nella sua raccolta, insieme strutturata e colma di contraddizioni, lacerata e assetata di senso, non intenda tanto mettere in atto una ricerca sull’incompiutezza della lingua e sul valore dell’abbandono alla risonanza sonora, quanto piuttosto, diremmo, una narrazione inconscia dell’assoluto per suono e cesure. Protesa a far emergere quanto di unitario nasconda la frammentazione, quanto di profondo si celi nell’indicibile.

Del resto, cosa sarebbe la poesia se non accogliesse la contraddizione che la anima? E cosa se non contenesse in sé l’indicibile, l’inconscio, l'assente, riuscendo a parlare per frammenti, a fronte dei nostri vani tentativi di ricostruzione, e tentando di condurci, se pur umanamente votati allo scacco, verso il principio?

 

Nota dell’Autore: CHIUNQUE (voce a sinistra) e NESSUNO (voce a destra) sono i due testimoni di un originale disperso, forse mai stato. Si atteggiano a sordidi e adiafori personaggi di una commedia che tradisce le mute parole intese dall’occhio, per ridarcele in un balbettio implacabilmente e irrimediabilmente coniato e revocato. Non si può rimanere fedeli all’originale (in quanto disperso) né accontentarsi dell’ultima stesura (in quanto difficilmente decifrabile). Incurante delle attese della filologia, la commedia inarca una desinenza equivoca a sostegno di una cattedrale ormai in rovina: chiede un lettore che rinunci, fin dall’inizio, alla propria capacità di intendere. Accettante l’incompiutezza e abbandonato alla résonance de la langue e alla magia del terzo suono di Tartini.

 

1 CHIUNQUE

ciso no trat

tidina tura lezza

chen onposson o

esse reequi voca ti

si spe gneu nastel

lasi scuri sceuns ole

maun pas soè unpas so

chesi aav antiche

siaindi etro

no nhalas tessa

im portan zad

isa pere do

veanda re

mipo trai

trova requi

sene vica osene

vicaf orte

an cheinven tar

sidire mare

con troven tonel

labo naccia

 

1 NESSUNO

cis onot rattidi

natura lezza

cheno npos sono

esse re e

qui voca tisi

speg neu nastel

la si scuri sce un sol

e ma unp as soè unp

as soches ia avan

ti ches ia

indi e trono

nha las te ssai

mporta nzadi sa

pere do veanda

re mi potr ai

trov are qui se ne

vicao se ne vicafo

rte anche inven

tar si di re ma

recon troven tonel

la bonac cia
 


Gian Paolo Guerini è nato toro verso la metà del XX secolo in una piccola città equidistante da Milano, Bergamo, Brescia, Cremona, Pavia. Dopo studi disordinatissimi, non ha voluto laurearsi in teologia con una tesi su Þe Clowde of Vnknowyng. Si batte da sempre, estenuamene, per liberare l’arte dalla cultura. Non ha mai ufficialmente pubblicato, tranne sporadici quaderni autoprodotti destinati ad amici, per la maggior parte in 10 copie (ma alcuni, in un impeto di presunzione, fino a 30 copie). Qui si trova tutto: www.gianpaologuerini.it (o quasi).