Adriano Padua, da “Still life”, Miraggi Edizioni, 2017, nota di Rosa Pierno

“Still life” di Adriano Padua nasce dal considerarsi immersi in una realtà metropolitana che provoca un immediato viraggio elettrico. La notte in una città non è mai buia. E per lampi si compone un collage di pezzi incongruenti. Il linguaggio è convocato come teste a cui inutilmente si chiede una deposizione: “martirio in assenza di corpi mediato in sistema di segni”. I segni non producono il nuovo, non reagiscono, si fanno complici o relitti del già avvenuto. La versificazione ritmata, anche nelle lasse in prosa che sono alternate alle poesie, ci ricorda la presenza di uno scorrimento filmico oltre che musicale. Nella sequenzialità che funziona come nastro trasportatore se non c’è speranza di uscire dal tranello esistenziale, vi è però possibilità di progettare una fisionomia personale che non venga schiacciata al pari di un’ombra, pur se “non c’è più nemmeno il luogo” nel quale esercitare un‘esistenza: “preghiere senza dio / per dirti che io sono come te / ma mi distruggo meglio ad armi pari”.

“Ancorati a un continuo tornare, dispiegandosi attorno a confine lo scarno paesaggio assediato, senza inizio di sorta, gli occhi in preda a una notte sepolta, perduranti e fissate vedute, campi neri infiniti, spazi aridi e oro di luce. Una storia che si contraddice, voce onda di cose descritte e di azioni narrate in sequenza, mentre l’oscurità scaturisce, liquefatta e s’inerpica su per il corpo contratto, incastrato nell’aria e lo arresta, di scatto. Questo niente racconto, o non te lo diranno, le parole coltelli tra i denti, un morire e rinascere muto, il silenzio tiranno, un tessuto intrecciato di stelle inesplose e splendenti, versi immersi a bruciare, nel bagliore che fanno.

 

1.1

poesie sbandate della bestia nera

parole torte a replicare demoni

linee precise che formano scheletri

pensieri all’universo senza senso

come scanditi in silenzi elettronici

diffusi a scosse tra le cose perse

 

tuoni che spezzano le ossa al cielo

visi smarriti in contorni dissolti

pioggia battente a gocce d’inchiostro

casa crollata di vive macerie

respiro pieno mozzato dal vuoto

buio deserto di città teatrale”

 


Adriano Padua (Ragusa 1978) vive a Roma. Laureato in Sociologia della Letteratura a Siena, lavora nel campo della comunicazione e dell’informazione. Ha pubblicato numerose opere poetiche tra cui Le parole cadute (d’if 2009), Alfabeto provvisorio delle cose (Arcipelago 2009), La presenza del vedere (Polimata 2010), Schema. Parti del poema (d’if 2012). Esegue performance in collaborazione con musicisti e videoartisti.