Rossella Cerniglia, una prosa inedita, “Vicissitudini di Giovanni Drogo”, nota di Davide Campi

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“…la vicenda di Giovanni Drogo e degli altri, ufficiali e soldati, che presidiano la fortezza Bastiani, non è che una metafora della vita nei suoi termini più universali e drammatici.”

In questa non banale constatazione iniziale risiede il nucleo dell’analisi che questo breve saggio compie del romanzo “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati.

In particolare in esso, pure accennando puntualmente alla semplice trama generale del racconto, viene dedicata particolare attenzione alla parabola esistenziale del protagonista, dalla necessità imperativa delle sue scelte iniziali alla drammatica simbologia del finale.

Rossella Cerniglia, con la sua analisi, rende conto lucidamente dell’evoluzione di Giovanni Drogo, della progressiva incomunicabilità e impossibilità di condivisione delle sue scelte etiche nonché della sua crescente inconciliabilità con i valori normali e comuni, all’interno dei quali era peraltro nato e cresciuto; infine, del suo progressivo processo di allontanamento dalla normalità sociale, simbolicamente rappresentato dall’atteggiamento dello stesso Drogo verso la città durante le licenze.

Ne emergono tutti gli squilibri, le instabilità e le microfratture di questa lenta epopea esistenziale, fino all’evidente sproporzione fra il peso della scelta iniziale del protagonista e l’esito ultimo finale della storia.

 

Vicissitudini di Giovanni Drogo: l’attesa del sogno nella realtà

Così, in questa stasi del tempo, a un certo punto, Drogo sentirà gli anni pesare su di sé, quasi all’improvviso. E nel racconto è come se il tempo - prima fermo, stagnante - si fosse messo in moto, scorrendo più velocemente, depositandosi sulle cose con ritmo crescente: improvviso segnale che la giovinezza è finita.

Ed è così che sotto il peso degli anni che, quasi a sua insaputa, si sono accumulati sul corpo e sullo spirito del protagonista, nel cadere delle speranze e delle illusioni, il tempo riaffiora e riprende il suo corso, divenendo divoratore inesorabile: infatti, solo all’interno di una vita vissuta come necessaria ricerca di senso e di valore, espressa attraverso l’ineffabile luogo che è la Fortezza, il tempo ha una connotazione tutta interiore. Fuori, il tempo reale, quello che fluisce nella “dimensione cittadina” -da cui Drogo si allontana per scegliere la Fortezza- è invece sotterraneo, inesplorato ed incessante mutamento. La dimensione della Città e quella della Fortezza rappresentano, infatti, due modi possibili di vivere, anzi di affrontare la vita, ne sono i simboli: dissipato e superficiale l’uno; interiorizzato e profondo l’altro. Non per nulla, nel suo breve ritorno in città per una licenza, Drogo ne coglie ormai la distanza definitiva, irrecuperabile dal suo sé. Avverte la strana improvvisa lontananza da tutto, che lo avviluppa con un senso quasi fisico di malessere; ogni cosa gli appare perduta per sempre, inspiegabilmente estranea, persino la vecchia casa, la sua stessa stanza, la madre, la sua quasi-fidanzata. Tutto, allora, i mobili, gli oggetti che gli erano familiari, le voci e i gesti delle persone care, quanto era stato per lui assai intimo, gli diventa,

a un tratto, remoto ed estraneo; ed egli, dolorosamente, prende coscienza di tale estraneità come pure del fatto che egli stesso è divenuto distante ed estraneo agli altri.

Ed è proprio questo senso di estraneità e lontananza dalla vita degli altri, dalla vita comune, che gli fa compiere quella scelta radicale - e di per sé eroica – che è la vita nella Fortezza, col suo farsi giornaliero non meno disadorno e incolore di quello da cui prende le distanze, anzi ancor più marcatamente monotono e vuoto, ma più consapevole della solitudine e del mistero di esistere, e col miraggio lontano di una irraggiungibile pienezza e felicità.

Tuttavia, il sogno, per Giovanni Drogo non giunge, o giunge troppo tardi, a dire che la sua vita si consuma priva di senso, anche e proprio per colui che tanto lo aveva desiderato, tanto invocato, e la morte è lo straziante epilogo di tanta attesa.

Giovanni Drogo, che per Buzzati è il paradigma non solo di se stesso, non solo dell’intellettuale che si misura con la realtà insormontabile del destino, ma dell’uomo intero che vive entro una realtà inesplicabile, Giovanni Drogo morirà solo, reietto e oscuro, lontano dalla dimensione ideale che tanto aveva invocato. I Tartari, infine, muoveranno guerra, ma solo quando egli, debole e malato, non potrà più prendervi parte. E questo – sembra voler dire lo scrittore – è il destino dell’uomo quando si misura con cose che sopravanzano i suoi angusti confini, la finitudine dell’esistenza stessa: il “senso” di essa rimarrà imperscrutabile, trascendente, e all’uomo sarà consentito solo un sofferto e dignitoso accettare, nel momento estremo, l’inevitabile struggente sconfitta: il limite insopprimibile, connaturato alla nostra esperienza terrena.

 

Rossella Cerniglia è nata a Palermo, dove vive. Laureata in Filosofia è stata a lungo docente di materia letterarie nei Licei della stessa città. La sua attività letteraria ha inizio con la pubblicazione di Allusioni del Tempo (con presentazione di Pietro Mazzamuto), ed. ASLA – Palermo 1980; seguono Io sono il Negativo (con prefazione di Nicola Caputo), ed. Circolo Pitrè – Palermo 1983; Ypokeimenon (con introduzione di Elio Giunta), ed. La Centona – Palermo 1991; Oscuro viaggio, ed. Forum/Quinta Generazione – Forlì 1992; Fragmenta (con introduzione di Giulio Palumbo), Edizioni del Leone – Venezia 1994; Sehnsucht (con prefazione di Maria Grazia Lenisa), ed. Bastogi – Foggia 1995; Il Canto della Notte (con nota critica di Ferruccio Ulivi), ed. Bastogi – Foggia 1997; D’Amore e morte, stampato a Palermo nell’anno 2000; L’inarrivabile meta (con prefazione di Elio Giunta), ed. Ila Palma – Palermo 2002; Tra luce ed ombra il canto si dispiega (antologia e studio critico comprendente anche i testi di altri quattro autori palermitani, a cura da Ester Monachino), ed. Ila Palma – Palermo 2002; Mentre cadeva il giorno (con introduzione di Giorgio Barberi Squarotti), ed. Piero Manni – Lecce 2003; Aporia (con prefazione di Salvo Zarcone), ed. Piero Manni – Lecce 2006; Penelope e altre poesie (con prefazione di Pietro Civitareale), ed. Campanotto – Pasian di Prato 2009. In ultimo, nel giugno del 2013, per l’Editore Guido Miano di Milano, ha pubblicato un’Antologia che propone un breve saggio delle prime dodici sillogi poetiche, con disamina di Enzo Concardi. Altre opere sono in attesa di pubblicazione.

Nel 1999 ha, altresì, pubblicato il romanzo Edonè...edonè. Nel 2007, ancora per l’editore Piero Manni di Lecce, viene stampato il suo secondo romanzo dal titolo Adolescenza infinita e infine, per l’Editore Aletti di Villalba di Guidonia, il libro di racconti Il tessuto dell’anima.

Collabora ad alcune riviste, ha ricevuto favorevoli riconoscimenti e attestazioni da parte di numerosi critici e letterati ed è stata premiata in diversi concorsi letterari. Suoi versi e profili critici sono presenti in antologie e riviste letterarie, tra cui L’Altro Novecento (vol. II e III) a cura di Vittoriano Esposito edito da Bastogi, 1997; nella rivista Poesia dell’editore Crocetti di Milano; in Poeti scelti per il terzo millennio (2008),in Storia della Letteratura italiana (vol. IV, (2009) e in Poeti italiani scelti di livello europeo ( 2012), dell’Editore Guido Miano di Milano; più recentemente in Il rumore delle parole ed. Edilet, 2014, e in Come è finita la guerra di Troia non so, ed. Progetto Cultura, Roma, a cura, entrambi, di G. Linguaglossa, e più volte sulla rivista telematica L'Ombra delle parole, diretta dallo stesso G. Linguaglossa.