Rinaldo Caddeo, una prosa inedita “Il silenzio dei deportati”, nota di Davide Campi

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Quando il poeta entra nella storia, da poeta, con tutti i sensi aperti, con tutte le parole portatrici di pensiero, con la conoscenza, riesce in un sussurro penetrante a dire con forza di tremendi silenzi.

Quasi sottovoce, in un lascito testamentario.

All’attenzione di questo coinvolgente saggio breve c’è il silenzio, qui analizzato e sviscerato come effetto del contatto con il puro male dell’esistenza. A questo proposito Rinaldo Caddeo inizia e chiude il suo testo con riferimento alle drammatiche testimonianze di Liliana Segre; e ne coglie inedite analogie (letterarie) e differenze (storiche, antropologiche, morali) con i versi inerenti Ugolino della Divina Commedia dantesca e con quelli delle poesie del periodo bellico di Ungaretti.

 

 

Il silenzio dei deportati

 

È dagli anni ‘90 che Liliana Segre fornisce una testimonianza orale della persecuzione degli ebrei (dopo l’emanazione delle leggi razziali fasciste) e dell’internamento nei lager nazisti dopo l’8 settembre ’43. Nel 2018 questa testimonianza ha trovato un’articolazione biografica scritta con La memoria rende liberi (BUR) e con Fino a quando la mia stella brillerà (PIEMME).

Fin da subito la sua testimonianza di tredicenne sopravvissuta ad Auschwitz risulta nitida e puntuale, aderente a un vissuto unico ed esemplare. Sul numero del 4-5-94 del quotidiano La Repubblica, nella rubrica milanese la città della memoria (p.VII), questa testimonianza offre un angolo visuale interno su di una fase, la deportazione, di solito trascurata.

Dice nell’intervista: “I vagoni vennero sprangati e piombati. Ci guardammo intorno, c' era solo un po' di paglia per terra e un secchio per gli escrementi, che ben presto si riempì debordando. All'inizio si sentiva piangere, gridare, alcuni chiedevano aiuto, i più fortunati pregavano. Nei giorni seguenti, invece, ci fu un silenzio solenne, si sentiva soltanto il rumore del treno, che implacabile ci avvicinava all' inferno a cui eravamo destinati e che ci allontanava sempre di più dalle nostre vite. Io e mio padre trovammo un angolino di parete a cui appoggiarci e, stretti una all'altro, non avevamo più bisogno di parlare: fu silenzio per sei giorni, gli ultimi della nostra vita insieme.

La mattina del 6 febbraio, il treno si fermò definitivamente alla rampa di arrivo di Auschwitz”.

Consegnata a Dante e a noi da Ugolino stesso, la "straordinaria umanità ed inumanità della storia di Ugolino", (Attilio Momigliano), non ha perso di intensità. Anzi, dopo sette secoli, riverbera un nuovo stigma euristico paradigmatico.

Entrambi i testi scandiscono le tappe di un viaggio nell’aldilà nella dimensione di una discesa agli inferi. Sia nella narrazione dantesca, sia in quella di Segre, si possono riconoscere quattro fasi: 1) l’atto della reclusione definitiva, 2) lo sguardo della fine, 3) il pianto, 4) il silenzio:

1) l'atto di una separazione ermetica e reclusione definitiva dal consorzio umano civile. In Segre: "i vagoni vennero sprangati e piombati".

In Ugolino: "e io senti' chiavar l'uscio di sotto/ a l'orribile torre".

2) L'atto di un guardare-guardarsi che identifica l’irreparabile.

In Segre: "Ci guardammo intorno".

In Ugolino: "ond' io guardai/ nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto".

3) il pianto della disperazione, l'invocazione dell'aiuto:

In Segre: "All'inizio si sentiva piangere, gridare, alcuni chiedevano aiuto, i più fortunati pregavano."

In Ugolino: "Io non piangea, sì dentro impetrai:/ piangevan elli”.

4) il silenzio. In Segre: "Nei giorni seguenti, invece, ci fu un silenzio solenne, si sentiva soltanto il rumore del treno, che implacabile ci avvicinava all'inferno a cui eravamo destinati e che ci allontanava sempre di più dalle nostre vite."
In Ugolino: "Queta'mi allor per non farli più tristi;/ lo dì e l'altro stemmo tutti muti;/ Ahi dura terra, perché non t'apristi?"

Silenzio sillabato dal rintocco meccanico delle rotaie nel carcere mobile del vagone piombato. Scandito, nella torre della muda, dall'alternarsi impassibile del giorno e della notte. Non è soltanto un silenzio provocato dall'esaurimento delle forze, c’è un silenzio più profondo. Un silenzio abissale che avvolge tutto e tutti. Un silenzio che toglie l'ultima parola rimasta in gola. Il silenzio dell'implacabile. Dante, con la bocca di Ugolino, dice: stemmo tutti muti. Nel mutismo c'è il sigillo di una chiusura senza scampo. Nella testimonianza della Segre il silenzio assume un senso ulteriore, che apre un'altra possibilità: “Io e mio padre trovammo un angolino di parete a cui appoggiarci e, stretti una all'altro, non avevamo più bisogno di parlare: fu silenzio per sei giorni, gli ultimi della nostra vita insieme”. Un silenzio ambivalente. Quando tutto diventa segno di morte e annuncia morte, ogni grido o parola consumati, non resta che la rinuncia a ogni segnale, il ritrarsi in un guscio interiore, in un ultimo, concavo, ricettacolo di sopravvivenza: il silenzio di un risparmio vitale, avvolto da un tutto fatto di morte, ultimo barlume di speranza. Silenzio della soglia tra vita e morte. Sigillo dell'assoluto, da salvaguardare nello scrigno più remoto e profondo di sé. Silenzio solenne, lo definisce la Segre. Silenzio auto-difensivo e sacro-rituale, rito di passaggio da un mondo a un altro mondo, con altre regole, altre segnaletiche, altri significati. Ne parla anche De Benedetti: "Il treno si mosse alle 14. Una giovane che veniva da Milano per raggiungere i suoi parenti a Roma, racconta che a Fara Sabina (ma più probabilmente a Orte) incrociò il «treno piombato», da cui uscivano voci di purgatorio. Di là dalla grata di uno dei carri, le parve di riconoscere il viso di una bambina sua parente. Tentò di chiamarla, ma un altro viso si avvicinò alla grata, e le accennò di tacere. Questo invito al silenzio, a non tentare più di rimetterli nel consorzio umano, è l'ultima parola, l'ultimo segno di vita che ci sia giunto da loro." (Giacomo Debenedetti, 16 ottobre 1943, Sellerio, Pa. 1993, p.63).

 

Di silenzio ci parlano altri capitoli della testimonianza di Liliana Segre sia in La memoria rende liberi, sia in Fino a quando la mia stella brillerà. C’è il silenzio dell’indifferenza degli spettatori, di chi si volta dall’altra parte, c’è il silenzio dell’angoscia senza scampo degli internati nei lager. È il silenzio nullificante degli uomini fantasma di cui si parla nel film Shoah di Claude Lanzmann e di cui parla Levi, all’arrivo ad Auschwitz: “Tutto era silenzioso come in un acquario e come in certe scene di sogni. “ (Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, To. 1958, p.26).

C’è il silenzio, dopo la fine della guerra, di chi non vuole più sentir parlare di atrocità.

C’è il silenzio dell’ebreo errante come un tacere, di cui Celan in Conversazione nella montagna dice: “nessuna parola è stata soppressa e nessuna frase, è semplicemente una pausa, è una lacuna di parole, è un vuoto, tu vedi tutte le sillabe sparse intorno” (Paul Celan, La verità della poesia, Einaudi, To. 1993, p.43).

C’è il silenzio di Ungaretti.

Poesia: "[...] Quando io trovo/ in questo mio silenzio/ una parola/ scavata è nella mia vita/ come un abisso". Veglia: "Un'intera nottata/ buttato vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca/ digrignata/ volta al plenilunio/ con la congestione/ delle sue mani/ penetrata/ nel mio silenzio/ ho scritto/ lettere piene d' amore// Non sono mai stato/ tanto/ attaccato alla vita": è nel silenzio interiore che la parola poetica attinge nuova linfa di amore e vita.

 

Ugolino è un personaggio della Commedia, collocato da Dante-autore nel lago di Cocito dei traditori a divorare per l’eternità il cranio del suo carnefice, l'arcivescovo Ruggieri. Davanti al Dante-attore del viaggio nell' oltretomba, Ugolino racconta, mosso da pietà e da vendetta, la sua storia che termina con l’ambiguo endecasillabo: "poscia, più che 'l dolor, potè 'l digiuno”. La vivida testimonianza di Liliana Segre, invece, risarcisce anni e anni di silenzio, con carità, senza spirito di vendetta.

 


Rinaldo Caddeo ha pubblicato quattro raccolte di poesie (Le fionde del gioco e del vuoto, Narciso, Calendario di sabbia, Dialogo con l’ombra), una raccolta di racconti (La lingua del camaleonte) e una di aforismi (Etimologie del caos). Ha inoltre pubblicato Siren’s Song, selected poetry and prose 1989-2009, una raccolta antologica di testi in italiano con testo a fronte in inglese.

I suoi aforismi sono apparsi sulle antologie: Nuove declinazioni (2005) e, tradotti in inglese con testo a fronte, The new italian aphorists (2013).

Ha pubblicato saggi critici, recensioni, racconti, aforismi, traduzioni e poesie su diverse riviste.

I suoi due saggi più lunghi sono stati Ombre e impronte intertestuali in Buzzati e Gli animali e il mimetismo in Giampiero Neri, apparsi in due volumi di critica: L’attesa e l’ignoto su Buzzati, e Memoria, mimetismo e informazione su Neri.