Stefania Portaccio, dalla raccolta inedita “Waterloo”, nota di Laura Caccia

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Tra misura e dismisura

C’è un momento ben preciso, una cesura o una percezione del limite, che separa la piena espansione di sé, del sentire, del dire e la consapevolezza dello stato di esilio della condizione umana e della lingua che la esprime: il limite evidenziato dallo scacco e dalla sconfitta che attende al varco gli atti umani, sia esistenziali che poetici, e che Stefania Portaccio porta alla luce nella raccolta dal titolo emblematico Waterloo.

L’autrice ci parla “dall’orlo”, come evidenzia, fin dall’inizio, il titolo della prima sezione. Da un bordo che segna la misura precaria della condizione umana e, insieme, l’essenza più chiara del luogo poetico per eccellenza, tra lo slancio e l’erranza, l’impeto e l’abbandono, il desiderio e la stortura, la misura e la dismisura. Da un lato la passione, l’aspirazione a tendere a grandi cose, soprattutto lo spingersi a oltranza, come ben evidenzia l’autrice nella poesia dedicata a Marina Cvetaeva, nella cui libertà infuocata si riconosce: “una vita che so la dismisura”. Dall’altro lo sguardo sulla quotidianità, proprio su quelle piccole cose che sostengono in qualche modo le difficoltà di un vivere e di un dire esiliati: “tutto serve in mancanza / di un’estasi in cui sciogliersi / di un segno che ci scriva”.

Ed è soprattutto la riflessione sul dire poetico, o meglio sul mestiere di fare poesia, che pervade la raccolta: in particolare nella prima parte, l’autrice ci permette di condividere la sofferenza e lo sconforto, comuni a chi scrive, nel non poter esprimere appieno l’intensità del sentire, nel non riuscire a dare quella risonanza alla passione e alla ricerca espressiva così profondamente voluta, chiedendosi, da un lato, “come daremo conto della gioia / respiro luce pelle albero mano” e, dall’altro riconoscendone l’impossibilità: “solo non ho l’arte / di cantare gli incanti e dare nome / all’inclusione”.

Una difficoltà che, nelle altre parti della raccolta, coinvolge fortemente il rapporto amoroso, contrassegnando la vita in tutte le sue sfaccettature, dalla condizione esistenziale a quella poetica: “esserti limite esserti centro // epicentro del sisma farmi e smania / di confine // colmare con mia terra la forra / tra le lingue // volevo e sono caduta nel fossato - Waterloo”.

Una sconfitta, sia amorosa che poetica, che ci consegna all’erranza e all’esilio, nella ricerca di un senso che non si lascia approcciare, se non attraverso la scelta dell’inciampo e della stortura: “M’importa la faccenda storta”, dichiara l’autrice, “Scelgo lo sbaglio”.

Una sconfitta scelta più che subita, che caratterizza la condizione umana, come quella del fare poesia. Soprattutto del fare poesia, che costringe, per dirsi tale, a contemplare lo scacco come suo elemento di forza, intrinseco ed ineliminabile.

Stefania Portaccio ci ricorda infatti come ogni sforzo, sia esistenziale che poetico, per essere autentico debba far vivere, nelle piccole come nelle grandi cose, nella misura come nella dismisura, la sua passione e la sua impossibilità, la sua grandezza e la sua Waterloo.

 

Dalla sezione “Dall’orlo”

 

Per dare conto della reminiscenza

per preservare quello
che per dimenticanza andrebbe perso

che morirebbe senza

quello che a testa china vai
e senti alla bocca della mente

un sapore salino adolescente

oppure guidi e a vanvera sorridi


 

***

tutto serve pure i panni stesi

le sfumature lilla il segno nero

storto dei pini contro il cielo

tutto serve in mancanza
di un’estasi in cui sciogliersi

di un segno che ci scriva


 

Poi c’è la pace

a strappi, a tratti, breccia
tregua a scomparsa come
la linea di carico di un cargo

come la stella cadente e tu il cielo

la bianca bandiera e tu un campo

di contrasti sanguinanti rossi

(da O lost, di Thomas Wolfe)
 

Nota per il lettore:

Alcune poesie hanno in calce l’indicazione di un romanzo, perché è da quella prosa che è nata  


Stefania Portaccio è nata a Lecce e vive a Roma. Nel 1986 sue poesie appaiono nel volume collettivo 7 poeti del premio Montale (All’insegna del pesce d’oro); nel 1987 un’altra silloge nel volume collettivo Testarda Tregua (Sciascia) e nel 1993 venti testi sulla rivista Poesia (Crocetti), presentati da Milo De Angelis.

Nel 1996 pubblica Contraria Pentecoste (I Quaderni del Battello Ebbro). E’ del 2007 la seconda raccolta di poesie, Continenti (Empiria). Nel 2011 pubblica un nuovo libro di poesie, La mattina dopo (Passigli).

Nel 2016 pubblica, con Manni, Il padre di Cenerentola e altre storie, riscrittura di dodici fiabe dei Grimm, in forma di prosa e ballate, corredate da 12 disegni di Stefano Levi Della Torre.

Nel 2017 pubblica con Mimesis Pane per i denti, racconti di letture, raccolta di saggi narrativi intorno all’esperienza del leggere.

Sempre nel 2017 un suo racconto, Dortmund, riceve il premio InediTO - Colline di Torino, bandito dall’associazione culturale Il Camaleonte.