In principio erat verbum di Rinaldo Caddeo

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La parola, non il termine (Leopardi). La parola non solo il linguaggio. Il linguaggio, la comunicazione, con molte altre cose, lo condividiamo con gli animali, api incluse. La parola da dire, no. Il dire, ha il potere di racchiudere in sé suono+immagine+tatto+olfatto+gusto. Testo di voci-colori-odori-sapori: parola. Textus: tessuto, intreccio, trama, concatenazione, narrazione. Tessuto organico: pelle, sangue, muscoli, ossa, corpo, biologia. La parola da dire è dramma e gesto, incisione che risale alle iscrizioni cavernicole, dunque scrittura. La parola è sogno da dire. Nel sogno, spesso, una persona ha preso il posto un'altra persona, una parola ha preso il posto di un'altra parola che ha preso il posto della persona che la dice. Il poeta dice quella parola, la parola di un altro.

Si fa una sostituzione, è al posto di. È potenza immane e infinita miseria. Nasce dalla deprivazione o dall'eccesso e ci restituisce il mondo, ma non è il mondo. La parola è la prima realtà virtuale inventata dall'uomo. Nelle parole ci sono le cose e la loro privazione. L'uomo che le percepisce e la sua distanza incolmabile dal mondo, da sé e dagli altri. Il tempo e il niente, lo spazio e il vuoto. In questo scarto: lacerazioni, estraneità e una lontananza dolorosa ma che può anche essere ricompensa e, come per i romantici, ironia e gioco. Nella parola c'è la vita e c'è la morte. In principio erat verbum. All'inizio dell'umanità, della storia dell'uomo, della precaria condizione umana, condizione di un particolare tipo di sofferenza, è la parola. E in fondo, alla fine e au fond, c'è la scrittura. La parola-immagine, un pugno di cenere. La poesia è la fenice che rinasce dalla sua cenere, questo inesauribile principio senza fine e senza inizio.

Chi sei, quando, da dove vieni? Ai confini del tempo, ai limiti dello spazio, sui margini, lungo i bordi, tra le lingue: «se pareba boves/alba pratalia araba/albo versorio teneba/negro semen seminaba» (Indovinello veronese, VIII secolo). Che cos'è, che cosa vuol dire questa scrittura meticcia, confinaria, reclusa nella polvere di una biblioteca per secoli? Significa scrittura, il suo gesto, i suoi attori: le dita (boves), la penna (albo versorio), l'inchiostro (negro semen), la sua scena, la pagina bianca (alba pratalia). Così ri-nasce una letteratura da una catastrofe politica, economica, sociale, linguistica, fondandosi sulla sua misera ma inestirpabile, autobiologica tautologia: ai confini dell'età di mezzo (media tempestas), ai confini del latino e dell'italiano (né l'uno né l'altro, sia l'uno sia l'altro), con un indovinello metalinguistico, dotto e infantile, una domanda su che cos'è. La risposta è il dire del suo farsi nel fare nel suo dirsi: gesto del contadino che ara e semina.

La parola affiorata, letta, ri-scritta, che prima o poi precipita e affonda nel bianco naufragio della pagina, nel silenzio dell'afasia, una parola svestita, scandalosamente nuda, sola davanti a se stessa, vuota come conchiglia, leggera come piuma o pesante come sasso: «cette blancheur rigide/dérisoire/en opposition au ciel». (Mallarmé, Un coup de dés jamais n'abolirà le hasard).

Ritorna come gesto primordiale, l'atto elementare e fondante della creazione, tracciare con un dito una striscia che diventa vena, arteria, torrente, fiume, mondo: «In quel muro in quel foglio/nell'area bianca che la tua mano cerca/il mignolo bagnato nell'inchiostro/sopra strisciato con fiducia/azzurro corso d'acqua rapinoso/vena arteria in cui scorre/a occhi chiusi il mondo». (Creazione, Bartolo Cattafi, Segni, Scheiwiller, Milano 1986, p.19).

«Foglio bianco/come la cornea d'un occhio./Io m'appresto a ricamarvi/un'iride e nell'iride incidere/il profondo gorgo della retina./Lo sguardo allora/germinerà dalla pagina/e s'aprirà una vertigine/in questo quadernetto giallo». (Valerio Magrelli, Ora serrata retinae, Feltrinelli, Milano 1980, p.49). Con Magrelli la scrittura incide lo sguardo nella pagina che scrive. La possibilità di vedere innesca un risucchio, gorgo del caos e di una ri-nata vita della parola da dire, pronunciare.

Orazio: ut pictura poiesis. Leonardo: «La pittura immediate ti si rappresenta con quella dimostrazione per la quale il suo fattore l'ha generata, e dà quel piacere al senso massimo, qual dare possa alcuna cosa creata dalla natura. E in questo caso il poeta, che manda le medesime cose al comun senso per la via dell'audito, minor senso, non dà a l'occhio altro piacere che s'un sentissi raccontare una cosa. Or vedi che differenzia è da l'udire raccontare una cosa che dia piacere a l'occhio con lunghezza di tempo, o vederla con quella prestezza che si vedeno le cose naturali.» (Leonardo da Vinci, Aforismi, Giunti, Firenze 2004, p.134).

Pittura, società delle immagini e dello spettacolo (cinema, tv, internet) = immediatezza, istantaneità, presente. Poesia = lunghezza di tempo, mediazione vista-udito. Un'altra lingua: «Writing was to build on paper;/To speak was to make things out of air,/To see was to take light, and shape it/Into something that was never there». (Another Language, Patrick McGuinness, in Poesia n.213, p13). Tradotto da Giorgia Sensi: «Scrivere era costruire su carta;/Parlare era fare cose con l'aria;/Vedere era prendere la luce, e darle forma/Di qualcosa che non c'era mai stata». (Un'altra lingua, ibidem).

Si chiede Celan: «Forse - è solo una domanda - forse la Poesia, come l'Arte, raggiunge assieme a un io dimentico di sé quell'alcunché d'arcano e straniato, e si rende - ma dove? ma in che luogo? ma con che cosa e in quanto che cosa? - si rende nuovamente libera?» (Paul Celan, La verità della poesia, Einaudi, 1993, p.11). E riallacciandosi al Lenz di Büchner, Celan trova una risposta nel respiro, cioè ritmo che va e viene, voce che si ferma e si protende in avanti, e nella figura, luogo di tutte le metafore. In questa direzione «il poema tende a un Altro, esso ne ha bisogno, esso ha bisogno di un interlocutore. Lo va cercando; e vi si dedica. » (Celan, idem, p.16). La poesia scrive il poeta (Barthes). Attraverso questo sguardo le immagini si staccano da sé. Come nella gnoseologia epicurea, ci vengono incontro, non siamo noi a vederle, ma loro a catturarci: "guardano nei nostri sguardi". E viventi parole-simbolo ci «observent avec des regards familiers» (Baudelaire, Correspondances). Parole profumate «comme des chairs d'enfants/ Doux comme les hautbois, verts comme les prairies».

L'Altro significa «il sin qui taciuto» ovvero «l'antiparola, la lingua muta delle cose» (Flavio Ermini, Antiterra, I libri dell'Arca-Joker, Novi Ligure, 2006, p.27). Il partito preso delle cose (Ponge) che ci apostrofa. «È così che accade: il poeta è chiamato a incidere il respiro nella parola scritta, a seguire il respiro in cui la sua parola nasce e nascendo non è più sua, come egli non è più l'io, ma l'Altro.» (ibidem, p.28).

Il testo come anamorfosi, de-formazione in cammino: il senso cambia, a seconda del punto di vista, come il teschio ai piedi dei due diplomatici di Holbein. A sinistra è confusa tavolozza piatta, piena di colori, di luci e di ombre insensate, a destra diventa un teschio, simbolo della vanitas. Significazione.

Sotto la superficie, covano altre forme.