Zio Vanja di Cechov tra Lorenzo Montano e Raissa Olkienizkaia Naldi

PDF version
di Maria Pia Pagani
Zio Vanja

Con la sua signorile classe, Lorenzo Montano diede anche un silenzioso ma importante contributo nella conoscenza del teatro russo in Italia negli Anni Venti. La sua esperienza e la sua conoscenza del panorama editoriale italiano furono infatti preziose per Raissa Olkienizkaia (1886-1978) – colta e sensibile ebrea pietroburghese sposata al giornalista Filippo Naldi (1886-1972). Il loro dialogo culturale coinvolse la redazione de «La Ronda» e conoscenze comuni quali Giovanni Papini, Emilio Cecchi, Sibilla Aleramo, Olga Resnevic Signorelli.

Tra il 1919 e il 1922, Raissa Olkienizkaia Naldi riuscì a sottoporre a «La Ronda» la sua traduzione di Zio Vanja: il suo lavoro, però, rimase allo stadio di bozze poiché erano nel frattempo uscite le traduzioni di Ettore Lo Gatto (Napoli, Editrice Italiana, 1919) ed Odoardo Campa per «Comoedia» (portata in scena dalla Compagnia Drammatica diretta da Uberto Palmarini al Teatro Niccolini di Firenze il 3 maggio 1922). Tuttavia, nel 1924 – mentre il Viaggio attraverso la gioventù stava cominciando a ottenere i primi consensi – la traduzione cechoviana di Raissa Olkienizkaia Naldi inaugurò la pregevole collana “La Collezione del Teatro” delle edizioni Alpes di Milano, celebrando così il ventennale della morte di Cechov (1904-1924). Con ogni probabilità, fu sempre Lorenzo Montano a suggerire all’amica di usare lo pseudonimo Raissa Folkes per tradurre, con Cesare Castelli, La moneta falsa di Gor’kij per la “Collezione Teatrale Mondadori” nel 1927 (poi portato in scena da Tatiana Pavlova) e I giovani di Andreev nel 1928 nella collana teatrale appositamente dedicata a questo autore da Sonzogno.

Zio Giovanni
ZIO VANJA TRA LORENZO MONTANO
E RAISSA OLKIENIZKAIA NALDI
Maria Pia Pagani

«Sai tu che cosa vuol dire: talento?
Vuol dire coraggio, testa libera, gesto largo»
Zio Vanja (trad. di R. Olkienizkaia Naldi), atto II.

Nel 1955, nella sezione “Luoghi e costumi” di Carte nel vento, Lorenzo Montano presenta uno scritto di cui non ricorda esattamente l’anno, e che attribuisce al 1920: Balli Russi al Costanzi 1. Si tratta di un testo alquanto singolare poiché, come egli spiega nelle “Aggiunte”, fu pubblicato dal quotidiano romano “Il Tempo” non con la sua firma, ma con quella dell’amico rondista Bruno Barilli (1880-1952)

Risparmiargli, una sera di stanchezza o di nausea per il mestiere, il “pezzullo” e darglielo fatto perché lo potesse firmare, era uno di quei favori usati a Barilli la cui ricompensa, più che nella poltrona gratis, stava nell’averglieli potuti rendere. Senza contare che era questo il complimento più grosso che egli poteva fare a un amico, e lo faceva a pochi 2.

Con questo favore fatto a Barilli, Montano visse una brevissima parentesi come critico teatrale e, attraverso la redazione de “Il Tempo”, entrò in contatto con Filippo Naldi (1886-1972) 3 – uno dei più influenti giornalisti dell’epoca. In Dopoguerra romano (1919 e oltre), Montano ricorda:

Sorse un nuovo quotidiano, Il Tempo, ad opera di Filippo Naldi, con la terza pagina più brillante che si fosse vista dopo il Fanfulla, diretta da Giovanni Papini. Caldarelli vi teneva la critica drammatica, Bruno Barilli quella musicale, e vi collaboravano scrittori scelti tra i più vivi e promettenti. Il Naldi era insieme con altri due emiliani, Nello Quilici e Mario Missiroli, uno dei tre giovani direttori di giornali di cui si diceva che un giorno sarebbero arrivati al sommo della loro professione. Naldi era un uomo dalla faccia di gatto, il quale turbinava in un par di basette rossigne, cappelluccio verde e giacca a falde svolazzanti, preciso un equilibrista finanziario appena uscito da una commedia francese senza nemmeno struccarsi 4.

Filippo Naldi fondò a Roma “Il Tempo” nel 1917 e ne tenne la direzione sino al marzo 1922 5; gli subentrò Tomaso Monicelli (1883-1946) – autore drammatico, direttore dell’Istituto per i Drammi di Gabriele D’Annunzio e della rivista di cinematografia «In penombra», figura di spicco nella storia della casa editrice Mondadori.

La recensione a uno spettacolo della celebre compagnia guidata dall’impresario Sergej Djagilev (1872-1929) avvicinò Montano anche alla colta e sensibile Raissa Olkienizkaia (1886-1978), nata a San Pietroburgo in una ricca famiglia di farmacisti ebrei originari di Odessa, sposata dal 1907 con Filippo Naldi e madre di tre figli: Gregorio (Berna 1909 – Roma 1963), Giovanna (Roma 1912 – Roma 1996), Elisabetta (Bologna 1916 – Viriat 1984) 6.

Mentre ancora la famiglia Naldi risiedeva a Bologna per gli impegni di lavoro di Filippo, dal 1913 direttore generale della Società de “Il Resto del Carlino” 7, Raissa espresse a Giovanni Papini (1881-1956) – importante collaboratore del quotidiano bolognese e poi de “Il Tempo” – il desiderio di avere, tramite la Libreria della Voce di Firenze, i volumi russi degli autori che la interessavano maggiormente: «Se si trovasse Ciechov o Dostoievski o i racconti di Tolstoi in russo – li prenderei, altre cose no salvo modernissime» 8. E, ancora nel 1917, ella raccomandò all’amico: «Faccia tradurre altre novelle di Cecov: io non ne ho sottomano» 9.

Da Roma, nel 1919, Raissa Olkienizkaia Naldi scrisse a Papini rivelandogli di essere seriamente intenzionata a pubblicare un testo teatrale russo meritevole di essere presentato al pubblico italiano:

Io sarei per Zio Vania di Cechov che sto traducendo con molto amore e che è una perla fra le perle del teatro cechoviano. […] Mi scriva. Nella letteratura russa ci sono tanti scrittori che sarebbe bene far conoscere: dei minatori coscienti, dei cercatori d’oro pazienti e fortunati. […] Mi raccomando Zio Vania: è bellissimo. Il dramma forse più vissuto, più denso, più sofferto di Cechov: pieno d’accenni importanti alla psicologia sua e russa in genere. C’è dentro anche il sogno di Cechov: il mondo nuovo che sarà tra 100 anni. E tante altre cose. Sono 4 atti o scene di vita in campagna: i soliti proprietari di terra, amore-nostalgia, tipi ecc. 10.

I contatti tra Raissa Olkienizkaia Naldi e Montano furono sempre caratterizzati da quell’attenta amichevole discrezione di cui il “pezzullo” per i Balletti Russi fu un’emblematica testimonianza.

Con ogni probabilità, fu proprio grazie al silenzioso aiuto di Montano che Raissa Olkienizkaia Naldi riuscì a sottoporre a «La Ronda» la sua traduzione del dramma cechoviano, che però rimase allo stadio di bozze 11. Questo sfortunato contatto ebbe luogo negli anni tra il 1919 e il 1922: tale, infatti, è la datazione con la quale le bozze sono oggi conservate a Roma, presso la Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (Archivio «La Ronda»).

L’interesse dei rondisti per il teatro cechoviano è attestato, ad esempio, da una lettera di Emilio Cecchi (1884-1966) a Olga Resnevic Signorelli (1883-1973) 12 del 1° aprile 1920, su carta intestata de «La Ronda» 13:

Cara Signora,

Lei non ha mica, per caso, il libro di Alexandr Bakshy, The path of the modern Russian stage, London 1914, o qualche altra opera, inglese o francese, sul teatro russo? Ho visto l’ultima traduz. dello Zio Vania, ora uscita; e siccome conosco tutto il resto di Cecof, scritti pel teatro, e credo che la maggior parte delle sue novelle (in trad.ni inglesi: in Inghilterra per Cecof sono fanatici e l’hanno tradotto tutto), vorrei scrivere su lui un articolo: ma avrei bisogno di rinforzare un po’ la mia conoscenza di ciò che gli altri possono avere scritto intorno a lui. Se Ella Ha qualche libro o qualche indicazione da darmi, mi aiuti; e Le sarò grato.

Il suo aff. dev.
Emilio Cecchi

Il coinvolgimento di Raissa Olkienizkaia Naldi nella traduzione del testo teatrale cechoviano per i lettori de «La Ronda» trovò concordi Cecchi e Montano, la cui frequentazione romana è attestata, ad esempio, da una lettera della pittrice Leonetta Cecchi Pieraccini (1882-1977), che il 26 dicembre 1921 scrisse a Sibilla Aleramo (1876-1960) – comune conoscenza dei Cecchi, dei Signorelli, dei Naldi e di Montano – alloggiata al Parker’s Hotel di Napoli: «Abbiamo veduto Lebrecht che è venuto a Roma» 14.

La mancata pubblicazione della traduzione di Raissa Olkienizkaia Naldi è comprensibilmente legata al fatto che, nello stesso periodo, altri intellettuali avevano avuto la medesima idea: nel 1919 era uscito a Napoli, nella “Collezione di Autori Stranieri” dell’Editrice Italiana, Lo zio Vania 15 nella traduzione di Ettore Lo Gatto (1890-1983) 16 e della moglie Zoe Voronkova; nel settembre 1922 la rivista «Comoedia» pubblicò Zio Giovanni 17 nella traduzione di Odoardo Campa (1879-1965), fratello dell’attore e impresario teatrale Pio Campa e cognato dell’attrice Wanda Capodaglio 19.

Sia la traduzione di Lo Gatto che quella di Campa – che, tra l’altro, «Comoedia» pubblicò dopo la prima rappresentazione del dramma cechoviano, al Teatro Niccolini di Firenze il 3 maggio 1922, realizzata dalla Compagnia Drammatica diretta da Uberto Palmarini 20 – finirono inevitabilmente per sovrapporsi al piano editoriale rondista, e bloccarono il progetto al quale Raissa Olkienizkaia Naldi stava lavorando con tanto impegno e passione.

Sempre in quegli anni, inoltre, l’editore Vallecchi avviò la pubblicazione delle opere cechoviane nella traduzione di Carlo Grabher (1897-1968), che della produzione teatrale del medico scrittore russo scrisse nel febbraio 1923:

 

Il teatro di Cecov di potrebbe definire come il dramma di tutte le impossibilità, eccettuata una forza dura, ferrea, che costringe a vivere ancora la vita, e a subirla nel suo tragico quotidiano: forza che non è poi la più tirannica debolezza, come quella che impedisce perfino di semplice soluzione di distruggere una vita di fallimento, su cui non brilla una certezza qualunque, una vera fede o celeste o terrena, che valga a sostenerla e a giustificarla. […] Allo Zio Vania, a cui tutto è fallito nella vita, appare forse uno spiraglio di luce, quando la dolce figura di Sonia gli sussurra, cuore contro cuore, disperazione contro disperazione, un conforto che non sarà di questo mondo, un riposo che non sarà di questo mondo? […] Nel teatro di Cecov non si può parlare di protagonisti nel senso consueto della parola, poiché piuttosto che costruire delle “figure” drammatiche egli crea il suo dramma in un blocco solo come risultato di un vasto senso di vita per la cui espressione è necessario tutto un ambiente. È questo il fatto che determina la grande difficoltà di rappresentare compiutamente i lavori di Cecov. Poiché in essi nulla deve essere trascurato e nulla sforzato o sottolineato eccessivamente, nemmeno un gesto o una pausa; senza dire che occorre un complesso di attori ottimi, giacché, in questa assenza di “protagonisti” tutti sono un po’ protagonisti 21.

 

La poesia fu, oltre al teatro, uno degli argomenti principali nel dialogo intellettuale tra Montano e Raissa Olkienizkaia Naldi. Di quest’ultima, «Il Desco» 22 – una rivista di arte e letteratura diretta dal poeta Mario Blasi (1894-1977) e pregevolmente illustrata da Bruno da Osimo (Bruno Marsili, 1888-1962) – pubblicò nel 1920 alcune liriche che poi (con varianti) confluirono nella raccolta Lo specchio 23 del 1923, da cui Alfredo Casella (1883-1947) trasse due liriche per canto e pianoforte 24.

Forse, fu proprio grazie all’intervento di Montano che l’uscita di questa raccolta fu segnalata da «La Ronda» nella sezione dedicata alle novità editoriali. E, forse, fu ancora Montano a incoraggiare l’amico rondista Cecchi a scrivere una positiva recensione per la rubrica “Libri nuovi e usati” de “La Tribuna” del 5 gennaio 1923 25.

La traduzione cechoviana che Raissa Olkienizkaia Naldi non riuscì a ultimare per «La Ronda» fu alla base del volume che, nel 1924, inaugurò la collana “La Collezione del Teatro” delle edizioni Alpes di Milano 26: essa fu attiva negli anni 1924-1930 e fu particolarmente apprezzata da Angelo Fortunato Formiggini (1878-1938), che nel 1928 la menzionò nel suo Dizionarietto rompitascabile degli editori italiani.

Raissa Olkienizkaia Naldi divenne l’anima di questa apprezzata serie teatrale: basti pensare che firmò le traduzioni dei primi 7 volumi – usciti tutti negli anni 1924 e 1925 (vedi appendice) – dando un notevole impulso alla diffusione del teatro russo in Italia 27. Lo zio Vanja, acquistabile al prezzo di 4 Lire, fu il primo volume: dietro a tale scelta editoriale, forse, si celava anche il desiderio di celebrare il ventennale della morte di Cechov (1904-1924) e di omaggiare il Teatro d’Arte di Mosca. Già nel dicembre 1901, considerando Zio Gianni il miglior dramma cechoviano, Vladimir E. Žabotinskij (1880-1940) scrisse in un saggio pubblicato da «Nuova Antologia»:

Per comprender bene l’arte di Cekhof, bisogna vedere i suoi lavori drammatici. Non credo che essi possano incontrar fortuna, per esempio, in Italia. Il teatro italiano domanda un intreccio, per quanto semplice, completo e ben condotto, cioè unità d’azione; Cekhof dà soltanto l’unità d’accordatura, unità di quella nota principale su cui basano tutte le melodie dei suoi drammi. Cekhof cerca di avvicinarsi quanto possibile all’illusione della vita, e la vita non presenta intrecci regolarmente condotti dal principio alla fine. Infatti, come illusione scenica, i drammi di Anton Cekhof sono indiscutibilmente superiori a tutto quello che del genere si sia mai fatto finora, in Russia od altrove. I personaggi parlano, sbadigliano, canterellano non per svolgere l’intreccio – regola sin oggi di ogni arte drammatica – ma così come si parla e si sbadiglia nella vita, a caso, senza alcuna visibile dipendenza dal momento in cui si trova l’azione. Vi sono scene e dialoghi che sembrano affatto staccati dal tronco principale del lavoro; ma tutto, ogni parola, ogni gesto, serve ad accumulare l’impressione, e a perfezionare l’accordatura. I drammi di Cekhof hanno indotto lo scrittore Nemirovich-Dancenko e l’attore Stanislavski a fondare a Mosca un nuovo teatro, quasi esclusivamente dedicato, oltre all’autore di Zio Gianni, ad Ibsen e ad Hauptmann. Questo teatro deve considerarsi come unico nel suo genere per la perfetta illusione scenica che dà. Gli attori hanno abbandonato qualsiasi convenzionalismo sinora proclamato come necessario: non si recita, ma si vive. Il primo amoroso e la minima comparsa debbono ugualmente curare l’illusione. Non vi son più parti di maggiore o minore importanza. I singoli esecutori scompaiono nel concerto dell’esecuzione. «Il nostro ideale – disse una volta Nemirovich – sarebbe di non dover più mettere nel manifesto i nomi degli attori». E questo paradosso vi spiega meglio di tutto la tendenza e l’idea ispiratrice dell’impresa: si vorrebbe far del teatro una specie d’orchestra. Anche la messa in iscena vien informata alla più perfetta illusione. Non c’è l’inutile lusso dei famosi teatri del principato di Meininghen, ma nessun dettaglio che possa dar impressione di vita è omesso. Persino le tendine delle finestre si agitano al soffio del venticello 28.

 

E, pur ammettendo la difficoltà di riassumere la trama di Zio Gianni, così scrisse Žabotinskij:

 

Siamo in estate, in un villaggio della Russia centrale. Il villaggio appartiene ad un vecchio professore dell’Università di Mosca, ma il padrone è sempre assente, ed il podere è sempre amministrato dal cugino del professore, un uomo sulla quarantina, che aveva fatti gli studi dell’Università e forse aveva nutrite delle belle speranze. Adesso è costretto a vivere in un paesello, si annoia ed è insoddisfatto di tutto. Vicino a lui sta la sua nipote Sonia, una buona ma brutta ragazza d’una venticinquina d’anni; è lei che lo chiama zio Gianni. Vi è anche il medico condotto del distretto, il dottor Astrof, un uomo intelligente, colto, originale, esteta; anch’egli non è soddisfatto e perciò, come la maggioranza degli intellettuali russi in provincia, abusa d’acquavite. Al villaggio vengono a passarvi l’estate il proprietario con la moglie: lui è un vecchio scienziato malato di gotta, egoista, noioso; lei è giovane, bella, ama la vita, e non è soddisfatta neanch’essa. E quando tutte queste persone si trovano insieme, la tortura interiore, che da tanto tempo li dilaniava silenziosamente, prorompe in conflitti; ma anche i conflitti sono meschini, come tutte le esplicazioni della loro vita. Zio Gianni si innamora della moglie del professore, ma non è corrisposto; Sonia ama il dottor Astrof, ma il dottore non l’ama, perché è brutta; il professore geme della sua gotta, si lamenta di tutto e non permette alla moglie di suonare il pianoforte per non interrompergli il sonno; la moglie ed il dottore, senza amarsi né desiderarsi, semplicemente per sfuggire alla noia, scambiano dei baci, che sorprendono zio Gianni. E poi zio Gianni, condotto alla disperazione da quel sentimento del vuoto in tutto – nella sua vita e nel suo amore – si sfoga sparando tre colpi di rivoltella al professore; ma non sa maneggiar l’arma e non lo coglie. Anche il delitto non gli è riuscito. Dopo i colpi di rivoltella, egli lancia in faccia al professore le sue meschine accuse: “Tu mi paghi solo 500 rubli all’anno; io ti credevo un grand’uomo e tu non sei che un banale scienziato…” come se il vecchio professore fosse la causa della sbagliata vita di zio Gianni. E poi tutti partono – parte il professore con la moglie, dopo aver perdonato, con generosità anch’essa meschina, a zio Gianni – parte il dottore Astrof, e dal di fuori si sente il tintinnio dei cavalli che li portano via, e zio Gianni e Sonia restano al villaggio a far il conto delle uova e del burro, a vivere nel vuoto – grigio, desolato, monotono, eterno… 29

 

Per Raissa Olkienizkaia Naldi non si trattò soltanto di ultimare e pubblicare una traduzione già avviata per una rivista importante quale «La Ronda»: con Lo zio Vanja, ella avviò ufficialmente una carriera che la portò a diventare la più grande traduttrice dal russo del Novecento letterario italiano. E la scelta di un autore come Cechov si rivelò quanto mai interessante, specie se si pensa che il 16 gennaio 1924, per le “Cronache Letterarie” de “Il Resto del Carlino”, Pietro Pancrazi (1893-1952) scrisse:

 

Tra gli scrittori del secondo Ottocento, Anton Cecof è stato, tra noi, dei più fortunati. I suoi drammi (Ivanow, Zio Vania, Le tre sorelle, Il giardino delle ciliegie) han trovato traduttori e persino capocomici volenterosi. Della sua opera narrativa – Cecof scrisse oltre un migliaio di racconti – abbiamo in italiano saggi e raccolte per oltre una decina di volumi; e dettero mano alle traduzioni questa volta scrittori (come il Lo Gatto, il Campa, Olga Resnevic, il Soffici) che per il russo o per l’italiano, o per tutt’e due, eran di per sé una garanzia. Alla “fortuna”, come si dice, di Anton Cecof in Italia è mancato semmai l’editore. L’editore che assumesse l’impresa dell’opera omnia, come sanno assumerla per i grandi autori stranieri gli editori tedeschi, inglesi o francesi. A chi cerca oggi in italiano le opere di Cecof, convien ricorrere, per più di un caso, a tipografie sconosciute, alla collezione introvabile di qualche rivista, o a case editrici già morte o sotterrate. È vero che i nostri editori, a lor volta, incolpano il pubblico d’essere svogliato e impreparato a queste intraprese troppo gravose; e il cerchio delle responsabilità così è bell’e chiuso 30.

 

Già nel novembre 1923, per «Il Marzocco», del dramma che di lì a poco avrebbe inaugurato la serie teatrale delle edizioni Alpes, Adolfo Faggi (1868-1953) scrisse:

 

Nello Zio Vania una vita di fecondo lavoro in un possedimento rurale è interrotta dall’arrivo dei proprietari; un vecchio professore in ritiro che sta tutto il girono chiuso nel suo studio a meditare sull’arte e a scribacchiare, lamentandosi della gotta, dei reumatismi e dell’emicrania, e la sua seconda moglie, una giovane di 27 anni, che si disfiora nell’inerzia, nell’assistenza del vecchio marito brontolone e in vane aspirazioni di vita e di felicità. Anzi essi non sono nemmeno i veri proprietari, perché il possedimento appartiene alla prima moglie del professore; e lo Zio Vania, fratello di questa, pur vivendoci insieme colla vecchia madre e la nipote Sonia, avea saputo amministrare con tanta assiduità e bravura da mandare generosamente larghi proventi anche al professore. Ma questi, arrivando colla nuova sposa, reca il turbamento e la confusione in quella semplice e buona vita campagnola: tutti, dal più al meno, subiscono il contagio della loro pigrizia e del loro ozio. Tutti si riposano, i contadini si ammalano, i campi vanno in malora, sui giovani germogli pascolano gli armenti. Finalmente, incapaci di sopportare più oltre la vita di campagna, il professore e la giovane sposa sono obbligati ad andarsene; e allora lo Zio Vania riprende l’opera sua: «Lavoriamo, lavoriamo», egli esclama. Sonia, la nipote, rimettendosi al tavolino dice: «È molto tempo che non ci eravamo assisi a questa tavola. Manca persino l’inchiostro. Scriviamo i conti e le fatture, Zio Vania, tutto è in ritardo». E quando lo Zio Vania si scoraggia, pensando a tutto quello che è avvenuto e alla tristezza e allo sconforto che i partenti hanno lasciato dietro di sé, ella aggiunge: «Che fare, Zio Vania? Bisogna vivere. E noi vivremo: vivremo una lunga serie di giorni e di lunghe serate. Sopporteremo pazientemente le prove che ci imporrà il destino. Lavoreremo non solamente per noi, ma anche per quelli che son partiti: lavoreremo ora e nella nostra vecchiaia senza conoscere il riposo, e quando la nostra ora verrà noi moriremo sottomessi». Il Cecov si compiace spesso di raffigurare nei suoi drammi il malinteso fondamentale tra l’uomo colto e raffinato della città e l’uomo semplice e laborioso della campagna. La civiltà è in tal modo presentata come la prima causa della corruzione della decadenza fisica e morale: l’attaccamento alla terra produttrice è considerato come qualcosa di essenziale ed originario nell’uomo, e il lavoro dei campi come il vero lavoro, quello cioè che non solo dà resultati fecondi, ma rasserena l’animo e fortifica il corpo 31.

 

Le traduzioni di Raissa Olkienizkaia Naldi per “La Collezione del Teatro” sono anche corredate da un’introduzione nella quale è presentato l’autore e sono esposte con acume critico le peculiarità del testo. Per Lo zio Vanja, non mancano i riferimenti alla Compagnia Drammatica di Palmarini che lavorò sulla traduzione di Odoardo Campa:

 

Lo zio Vanja fu già recato in italiano e rappresentato con lodevole iniziativa dalla compagnia Palmarini; tuttavia oggi, mentre fioriscono gli studii intorno all’opera di Cecov, abbiamo voluto iniziare la nostra collezione del teatro russo con questo capolavoro del grande rinnovatore del teatro stesso anche perché ci parve che né i lettori italiani né la critica gli abbiano tributato la giusta attenzione che merita 32.

 

Raissa Olkienizkaia Naldi sottolinea gli studi in medicina di Cechov e l’esordio letterario come autore di novelle; la sua attenta conoscenza dell’animo umano si riflette anche nel suo teatro:

 

Cecov non mette mai problemi sociali a base dei suoi racconti o drammi. I suoi personaggi prediletti sono gente buona, intellettuale, debole, sperduta nella vita. È la media nobiltà terriera, sono gli intellettuali di medio grado, abitanti in campagna e in città; è la piccola borghesia. Essi non sanno dominare e cambiare la vita, pur riconoscendola pesante e incolore e non fanno che consolarsi sognando un avvenire migliore che sarà tra “duecento-trecento” anni. Nella previsione di questa nuova età dell’oro, gli eroi di Cecov subiscono l’esistenza languendo nel chiuso cerchio della noia provinciale o campagnola; trascinano i lunghi giorni feriali e, per darsi un certo tono vitale, devono della “vodka”, s’innamorano compassionevolmente, si tormentano e tormentano gli altri 33.

 

Secondo Raissa Olkienizkaia Naldi, Lo zio Vanja è l’opera cechoviana più emblematica:

 

Lo zio Vanja è tra i lavori di Cecov il più caratteristico: la fattura, i mezzi scenici, l’ambiente rappresentato, i personaggi e i loro rapporti reciproci, la vita monotona e triste di proprietarii decaduti, un fiorire di ottimismo addirittura utopistico, ove si tratti del lontano avvenire. Tutta gente buona (eccetto il professore, “vecchio biscotto”, egoista) e più buona è buona e più è infelice, più incapace di vivere, condannata, senza via d’uscita, al fallimento completo. Neppure il gesto violento di uno di loro giunto al colmo della disperazione, si risolve in un vero delitto, in dramma, ma si disperde in un colpo mancato e ridicolo 34.

 

Importanti sono anche le note al testo inserite da Raissa Olkienizkaia Naldi, che testimoniano la sua attenzione di traduttrice nei confronti dei lettori italiani. Oltre a specificare il senso, nel dramma cechoviano, della menzione di autori quali Batjšukov, Turgenev, Gogol’, e del pittore Ajvazovskij, ella precisa il significato di alcuni termini russi che potevano risultare di difficile comprensione:

 

- “Niania”, vecchia bambinaia 35

- “Samovar”, la macchina da the 36

- “Babbino”, invece di “piccolo padre”, che secondo noi, non rende in italiano quel senso di affettuoso rispetto che è nell’espressione popolare russa: “batiuschka” 37

- “Vaflia”, perché Tielieghin è bucherellato in faccia dal vaiuolo: vaflia vuol dire “cialdone” 38

- “Viersta”, un po’ meno di un chilometro 39

- “Diesiatina”, uno iugero (misura di terra)

- “Beviamo alla Bruderschaft”, usanza tedesca per passare al tu 40

 

Nella lunga carriera letteraria di Raissa Olkienizkaia Naldi, la drammaturgia cechoviana ebbe un posto di notevole rilievo: basti pensare che la sua ultima traduzione teatrale fu quella de Il giardino dei ciliegi – preceduta da alcuni passi dal trattato stanislavskiano La mia vita nell’arte – per il volume Teatro borghese dell’Ottocento, curato da Vito Pandolfi (1917-1974) nel 1967 41.

Il 24 gennaio 1924, mentre stava per nascere “La Collezione del Teatro” e il Viaggio attraverso la gioventù 42– recentemente ristampato con la bella postfazione di Flavio Ermini e la preziosa bio-bibliografia di Claudio Gallo – otteneva i primi consensi, Montano scrisse alla Aleramo, alloggiata all’Hotel de la Plage a Viareggio:

 

Vede come variano i gusti: lei preferisce la seconda parte del Viaggio alla prima, Cecchi è di parere contrario, il critico del Times invece è dell’opinione sua, e così ognuno ha la sua idea. Io per mio conto mi guardo bene dal dar torto o ragione a nessuno, e sono contento di vedere che ciascuno vi trova il suo conto e qualcosa di che soddisfarsi 43.

 

Quanto e come il teatro abbia fatto da sfondo alle vicende affettive del protagonista del romanzo di Montano edito da Mondadori nel 1923, è noto a tutti i lettori…

Nel 1927, dopo l’uscita dei primi sette volumi teatrali de “La Collezione del Teatro”, usando lo pseudonimo di Raissa Folkes, l’instancabile Raissa Olkienizkaia Naldi tradusse con Cesare Castelli La moneta falsa 44 di Gor’kij per la “Collezione Teatrale Mondadori”. Dietro a tale collaborazione e, forse, anche dietro alla scelta di tale pseudonimo, è possibile ravvisare la silenziosa presenza di Lorenzo Montano. Nel 1928 Raissa Folkes tradusse, sempre con Castelli, I giovani di Andreev nella collana teatrale appositamente dedicata a questo autore da Sonzogno 45.

Nel secondo dopoguerra, tra gli artisti e gli intellettuali che a Roma presero lezione di russo in casa di Raissa Olkienizkaia Naldi, spiccano gli importanti nomi di Gerardo Guerrieri (1920-1986) e Anna Proclemer: ad essi si lega uno degli esiti più vitali della fortuna di Zio Vanja in Italia, che tanto deve anche alla signorile classe di Lorenzo Montano.

 

Maria Pia Pagani

 

Appendice

 

“La Collezione del Teatro”, Edizioni Alpes, Milano (1924-1930):

 

1. A. Cehov, Lo zio Vania: scene di vita campagnola in 4 atti. Traduzione di Raissa Olkienizkaia Naldi, Milano 1924.

2. S. Poliakov, Il labirinto: dramma in 4 atti. Traduzione di Raissa Olkienizkaia Naldi, Milano 1924.

3. N. M. Minski, Che cosa cerchi? Mistero in un atto. Traduzione di Raissa Olkienizkaia Naldi, Milano 1924.

4. A. Blok, La rosa e la croce: dramma in 4 atti. Traduzione di Raissa Olkienizkaia Naldi, Milano 1925.

5. T. Sollogub, Gli ostaggi della vita: dramma in 5 atti. Traduzione di Raissa Olkienizkaia Naldi, Milano 1925.

6. M. P. Arcybaschev, La gelosia: dramma in 5 atti. Traduzione di Raissa Olkienizkaia Naldi, Milano 1925.

7. N. Jevrieinov, La gaia morte; Tra le quinte dell’anima; Ciò che più importa. Traduzione di Raissa Olkienizkaia Naldi, Milano 1925.

8. K. Ciapek, L’affare Makropulos: commedia in 3 atti. Traduzione di Taulero Zulberti, Milano 1926.

9. O. Felyne, La donna che mente; I paladini della dama a lutto; Per la porta, Milano 1926.

10. A. N. Ostrovski, Non sederti sulla slitta non tua: commedia in 3 atti. Introduzione e traduzione dal testo russo di Enrico Damiani, Milano 1926.

11. P. Calderon de la Barca, L’alcade di Zalamea: dramma in 3 giornate. Traduzione di Giacomo Prampolini, Milano 1926.

12. K. Hamsun, Sulla soglia del regno: commedia in 4 atti. Traduzione e introduzione di Raffaello Casertano, Milano 1927.

13. A. Strindberg, Svanevit: saga drammatica; Il sogno: una fantasmagoria. Traduzione dall’originale svedese di Clemente Giannini, Milano 1927.

14. A. Strindberg, Verso Damasco. Traduzione di Nino Frank, Milano 1927.

15. T. Junichiro, Io l’amo! Dramma in 3 atti. Riduzione italiana a cura di Lorenzo Gigli, Milano 1929.

16. K. Torahiko, Yoshitomo: tragedia dell’antico Giappone in 3 atti e un epilogo. Traduzione di Mario Maria Martini, Milano 1929.

17. J. Galsworthy, Un po’ d’amore: dramma in 3 atti. Unica traduzione autorizzata di Valentina Capocci, Milano 1930.

 

* * *

 

A. Cehov, Lo zio Vania: scene di vita campagnola in 4 atti. Traduzione di Raissa Olkienizkaia Naldi, Milano, Alpes, “La Collezione del Teatro” n. 1, 1924 (95 pp. a stampa, 4 atti a scena unica).

 

Dramatis personae:

Sieriebriakov – Alessandro Vladimirovich, professore in pensione

Elena Andrejevna, sua moglie, 27 anni

Sofia Alexandrovna (Sonia), sua figlia di primo letto

Vojnizkaia, Maria Vassilievna, vedova del consigliere segreto di Stato; madre della prima moglie del professore

Vojnizki, Ivan Pietrovich, figlio di Maria Vassilievna
Astrov, Michail Lvovic, medico condotto

Tielieghin, Ilia Iliic, proprietario di terre, decaduto

Marina, vecchia bambinaia (niania in russo)
Un operaio

 

L’azione si volge nella casa di campagna di proprietà dello Sieriebriakov

locandina della Mondadori

Maria Pia Pagani è docente a contratto di Letteratura Teatrale all’Università di Pavia. Dottore di ricerca in Filologia Moderna con la tesi La Russia di Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio (1891-1924), è traduttrice e autrice di molti saggi sul teatro nell’Europa dell’Est e sul mondo dei giullari, dei cantastorie e dei “folli in Cristo” della tradizione bizantino-slava. Ha curato la prima edizione italiana de I santi dell’antica Russia (2000) del teologo e medievista Georgij P. Fedotov, del volume Starec Afanasij. Un folle in Cristo dei nostri giorni (2005) e del romanzo Il tempo in prestito. Biografia di un medico scrittore tra Char’kov e Chicago (2008) di Michail A. Berman-Cikinovskij. Ha collaborato all’edizione italiana de L’Apocalisse (2005) del regista Andrej Tarkovskij, con prefazione di Mario Luzi. Ha pubblicato le monografie Le maschere della santità. Attori e figure del sacro nel teatro antico-russo (2004, Premio Cesare Angelini Sezione Giovani), I mestieri di Pantalone. La fortuna della maschera tra Venezia e la Russia (2007, Premio giovani per studi e ricerche sulla Cultura Popolare Veneta), Un treno per Eleonora Duse (2008). Nel 2003 ha ricevuto il Premio di Studi per Giovani Ricercatori in ricordo di Maria Corti, e nel 2006 il Premio Internazionale ‘Foyer des Artistes’ per i suoi studi e le sue traduzioni di letteratura teatrale dell’Europa Orientale.




* I nomi e i cognomi degli artisti e degli intellettuali russi sono scritti secondo le correnti norme di traslitterazione scientifica dal russo; sono però mantenute le grafie originali delle fonti italiane novecentesche autografe e a stampa, che talvolta presentano delle variazioni.

L. Montano, Balli Russi al Costanzi, in Carte nel vento. Scritti dispersi, Firenze, Sansoni, 1955, pp. 329-330.

2 L. Montano, Il pezzullo per Barilli, in Carte nel vento, cit., pp. 371-372.

3 Naldi Filippo, ad vocem, in T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei. Dizionario bio-bibliografico. Seconda edizione rifatta ed ampliata, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1922, p. 280. Nel 1985 il Comune di Roma ha dedicato a Filippo Naldi una via.

4 L. Montano, Dopoguerra romano (1919 e oltre), in Carte nel vento, cit., pp. 122-123.

5 A. Briganti, Intellettuali e cultura tra Ottocento e Novecento: nascita e storia della terza pagina, Padova, Liviana, 1972, p. 114 sgg.

6 Elisabetta Naldi, familiarmente detta Lisina, frequentò la scuola di teatro di Gaston Baty a Parigi e lavorò come attrice nella compagnia di Tatiana Pavlova e con Carlo Ludovico Bragaglia. Importante è il suo memoriale Drôle de vie – uscito postumo a Parigi nel 1984 e recentemente ristampato in occasione del centenario della nascita del terzo marito Roger Vailland (1907-1965) – che contiene anche parecchi ricordi dei genitori, affettuosamente chiamati Moussia e Pippo.

7 M. Malatesta, Il Resto del Carlino. Potere politico ed economico a Bologna dal 1885 al 1922, Milano, Guanda, 1978, p. 292 sgg.

8 Lettera autografa di Raissa Olkienizkaia Naldi a Giovanni Papini del 21 aprile [1915] - [Fiesole, Fondazione Primo Conti. Centro di documentazione e ricerche sulle avanguardie storiche, Archivio Giovanni Papini, Ser. “Corrispondenza”].

9 Lettera autografa di Raissa Olkienizkaia Naldi a Giovanni Papini del 21 dicembre 1917 [Fiesole, Fondazione Primo Conti. Centro di documentazione e ricerche sulle avanguardie storiche, Archivio Giovanni Papini, Ser. “Corrispondenza”].

10 Lettera autografa di Raissa Olkienizkaia Naldi a Giovanni Papini del 24 novembre 1919 [Fiesole, Fondazione Primo Conti. Centro di documentazione e ricerche sulle avanguardie storiche, Archivio Giovanni Papini, Ser. “Corrispondenza”].

11 A. P. Cechov, Lo zio Vanja. Trad. di R. Olkienizkaia-Naldi, 13 pp. a stampa solo recto [Roma, Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia, Archivio «La Ronda», Ser. 1 “Bozze e manoscritti”, fasc. 25 “Bozze e manoscritti vari non stampati, 1919-1922”].

12 L’amicizia tra Olga Resnevic Signorelli e Raissa Olkienizkaia Naldi nacque grazie a Giovanni Papini. Il marito di Olga, il dottor Angelo Signorelli (1876-1952), fu anche il medico di famiglia dei Naldi e dei Cecchi.

13 Lettera autografa di Emilio Cecchi a Olga Signorelli del 1° aprile 1920 su carta intestata de «La Ronda» [Venezia, Fondazione Cini, Archivio Olga Signorelli, Ser. “Corrispondenza”].

14 Lettera autografa di Leonetta Cecchi Pieraccini a Sibilla Aleramo del 26 dicembre 1921 [Roma, Fondazione Istituto Gramsci, Archivio Sibilla Aleramo, Ser. “Corrispondenza”, busta 42, fasc. 342].

15 A. Cecof, Lo zio Vania: scene della vita di provincia in 4 atti. Tradotte direttamente dal russo da E. Lo Gatto e Z. Voronkova, Napoli, L’Editrice Italiana, “Collezione di Autori Stranieri”, 1919.

16 L’amicizia tra Raissa Olkienizkaia Naldi ed Ettore Lo Gatto nacque all’Università di Padova e continuò a Roma, dove entrambi si stabilirono con le rispettive famiglie. Negli Anni Sessanta, l’insigne padre della slavistica italiana scrisse la prefazione a un importante volume poetico realizzato dall’amica: Anna Achmatova, a cura di R. Olkienizkaia-Naldi, Milano, Nuova Accademia, “Stelle”, 1962. Importanti sono anche le relative letture poetiche di Anna Proclemer: Anna Achmatova: poesie tradotte da Raissa Olkienizkaia-Naldi. Dizione di A. Proclemer, Milano, Nuova Accademia Disco, 1962 e A. Achmatova, Il sogno e altre poesie. Poesie tradotte da R. Olkienizkaia-Naldi, dizione di A. Proclemer, Milano, Nuova Accademia Disco, 1964.

17 A. Cehov, Zio Giovanni. Trad. di O. Campa, in «Comoedia», IV (settembre 1922), n. 17, pp. 799-824.

18 Anche la famiglia Campa era legata da una bella amicizia ai Naldi: condivisero le vacanze nella Villa “La Corte” a Rifredi e i soggiorni a Parigi negli Anni Venti e Trenta. Nel 1920 la rivista «La Ronda» pubblicò il testo dello Statuto della Società italiana per lo studio delle civiltà slave “Amici della Russia” – istituzione finalizzata ad avviare buoni e reciproci contatti culturali tra le due realtà nazionali europee – che fu inviato alla redazione da Odoardo Campa insieme ad altra importante corrispondenza [Roma, Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia, Archivio “La Ronda”, Ser. “Corrispondenza”].

19 Cfr. Goldoni nel teatro russo, Cechov nel teatro italiano. Atti del colloquio italo-sovietico (Roma, 24-25 ottobre 1974), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1976.

20 Tra la fine del 1919 e l’inizio del 1920, Raissa Olkienizkaia Naldi contattò Virgilio Talli e poi Uberto Palmarini per proporre la messa in scena di uno dei drammi della sua trilogia Tre vie (Napoli, Giannini, 1920), di tipica ambientazione borghese, ma – pur essendo stata lodata come autrice drammatica – non fu realizzato alcun allestimento. Vedi M. P. Pagani, La trilogia di Raissa Olkienizkaia Naldi, in «Sìlarus», XLVII (2007), nn. 251-252, pp. 44-55.

21 C. Grabher, Il teatro di Cecov, in «Gazzetta di Venezia», 28 febbraio 1923 [Venezia, Biblioteca di Casa Goldoni].

22 M. P. Pagani, Dove imbandire “Il Desco”, in «Archivi del Nuovo. Notizie di Casa Moretti», n. 16-17, 2005, pp. 139-150.

23 R. Olkienizkaia-Naldi, Lo specchio: poesie. Prefazione di G. Lipparini, Ferrara, Taddei, 1923.

24 A. Casella, Due liriche per canto e pianoforte: da “Lo specchio” di Raissa Olkienizkaia-Naldi, Milano, Ricordi, 1924.

25 Il tarlo [E. Cecchi], Recensione a Lo specchio di R. Olkienizkaia Naldi, in “La Tribuna”, 5 gennaio 1923 [Firenze, Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Vieusseux, Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti”].

26 Nell’Archivio della Camera di Commercio di Milano è conservato il fascicolo storico della casa editrice “Alpes” (Fasc. 76501), costituita in società anonima nel 1920 a Milano, per la quale Cesare Giardini (1893-1970) fu uno dei maggiori consulenti.

27 M. P. Pagani, A partire dal teatro: le traduzioni di Raissa Olkienizkaia Naldi (1868-1978), in «Testo a Fronte», n. 36, giugno 2007, pp. 91-100.

28 V. Giabotinski, Anton Cekhof e Massimo Gorki. L’impressionismo nella letteratura russa, in «Nuova Antologia», n. 180 (16 dicembre 1901), pp. 726-727.

29 Ivi, p. 727.

30 P. Pancrazi, L’allegro malinconico, in «Il Resto del Carlino», 16 gennaio 1924 [Venezia, Biblioteca di Casa Goldoni].

31 A. Faggi, Anton Cecov e il suo teatro, in «Il Marzocco», XXVIII (18 novembre 1923), n. 46, pp. 3-4.

32 A. Cehov, Lo zio Vanja: scene di vita campagnola in 4 atti, trad. di R. Olkienizkaia-Naldi, Milano, Alpes, “La Collezione del Teatro”, 1924, p. 6.

33 Ivi, pp. 5-6.

34 Ivi, pp. 6-7.

35 Ivi, p. 11.

36 Ivi, p. 15.

37 Ivi, p. 15.

38 Ivi, p. 22.

39 Ivi, p. 23.

40 Ivi, p. 51.

41 A. P. Cechov, Il giardino dei ciliegi, trad. di R. Olkienizkaia-Naldi, in Teatro borghese dell’Ottocento, a cura di V. Pandolfi, Milano, Vallardi, “Scala Reale”, 1967, pp. 667-712.

42 L. Montano, Viaggio attraverso la gioventù secondo un itinerario recente, Bergamo, Moretti & Vitali, “Narrazioni della conoscenza. Andar per storie”, 2007.

43 Lettera autografa di Lorenzo Montano a Sibilla Aleramo del 24 gennaio 1924 [Roma, Fondazione Istituto Gramsci, Archivio Sibilla Aleramo, Ser. “Corrispondenza”, busta 53, fasc. 490].

44 M. Gorki, La moneta falsa: dramma in 3 atti. Unica trad. autorizzata di C. Castelli e R. Folkes, Milano, Mondadori, “Collezione Teatrale Mondadori”, 1927.

45 L. Andreyew, I giovani: scene drammatiche in 4 atti. Unica trad. dal russo autorizzata di C. Castelli e R. Folkes, Milano, Sonzogno, “Il Teatro di Andreyew”, 1928.