Marina Corona, “I raccoglitori di luce”, Jaca Book 2006
Fra foglie, sassi e uccelli, muoviamo i primi passi nel libro di Marina Corona, e sono passi lenti e meravigliati in un mondo silenzioso, poiché vi vengono convocati elementi naturali personificati, ove l’aria è un libro e il guanto ha dentro una mano. C’è dunque un capovolgimento che spiazza, che rende gli ambienti favolistici e i personaggi che lo abitano altrettanto irreali. Ciò che viene prelevato dalla realtà, un bambino, un cappello, la pioggia, nel momento in cui vengono immessi in questa scatola che è il libro, diviene magico, se con questa connotazione può indicarsi una nostalgica considerazione per il valore delle cose perdute, rimpiante, mai avute. E, pertanto, preziosissimo è il travaglio che si dispiega in queste pagine, è esso che incute cautela al lettore: egli deve muoversi con attenzione e rispetto in questa stanza impolverata, ove eventi senza legame figliano gli uni dagli altri e la logica con la quale si susseguono è esclusivamente quella del desiderio e della vita interiore: “catene scivolano nell’acqua dell’estate / la guardiamo coi capelli allungati / come alghe semprevive / “requiem” per il dolore che portammo”. Esistono scatole per ogni sentimento. E persino per i sentimenti sottoposti all’impegno quotidiano come l’amore, è l’ombra, l’apparenza, una diversa sostanza delle cose a prendere il posto delle persone: “Un uomo è la sua ombra / accanto alla tua ombra ho dormito”. La metamorfosi ha un ruolo non secondario in questo cambio di sostanza: “ fingo di non vederlo / di essere cieca / di essere muta / di essere la docile pianta beata alla luce”. Strategie di resistenza potremmo chiamarle, per una sensibilità resa vulnerabile dalla sua stessa singolarità. Quando scatole contengono pezzi di cielo o pura luce, la metamorfosi ha, invece, un ruolo d’investimento e la passività si tramuta in capacità progettuale: “mi faccio faro, / nella salsedine raccolgo i raggi / a mia luce / li volgo in un’intermittenza / per chiaro vastissimo alfabeto”. Le radici del nulla restando sempre in agguato, poiché è esso che ghermisce amori e oggetti e solo poesia trattiene.
dalla Parte prima
Il segreto
Questa sola veste
la nuca fissata dal fuoco
forgiata
la fronte chiusa
mio ripido cielo
andiamo per mano
gli alberi si levano foglie e uccelli
hanno gli occhi di sbieco
un segreto si fa sottile
mi lascia toccare le mani dell’aria.
L’illustrazione
La mano molle di gelatina
in artiglio decomposto
era una mano di bambina,
nel collegio le maestre
si chiamavano solitudine
e le compagne statue
in cera e fresco alito plasmate,
il giornalino mostrava
la mano sfatta e lo sfasciume
dal polso al braccio salire
per la carne arresa,
sbiadiva il prato, non reggeva
il peso del corpo leggero
e degli occhi schiantati tra le mani
ma il cielo in alto
ordiva trame spostava
stelle ordinava
per sé azzurro
un quesito di salvezza.
Marina Corona è nata a Milano nel 1949. Nel 1993 ha pubblicato il volume Le case della parola, presso “I Quaderni del Battello Ebbro”. Nel 1998 L’ora chiara con Jaca Book. Cura cicli di poesia e presentazioni di poeti contemporanei presso la Casa della Cultura di Milano.