Roberto Fassina
Nel biancore mattino
Nel biancore mattino
morde le rètine un livido sole,
in quest’alba monca attendo
l’artiglio del dio radente
(immanente destino l’attesa
di verità diviete)
mia afasica nuvola mia
res incognita,
empio quesito
recito, pie bestemmie
(redimo ai margini
silenziosa equazione d’acqua)
cenere di stelle
fummo senza colpa,
luce difettiva
genetica adattiva
(incognite lievi
perdute nel tempo)
Roberto Fassina, “Nel biancore mattino”
Nota critica di Marco Furia
Verso liquide equazioni
Con “Nel biancore mattino”, Roberto Fassina presenta una concisa composizione in cui a immagini d’ “alba”, accompagnate da riflessioni repentine, ricche di enigmatica pregnanza, seguono vere e proprie asserzioni a proposito dell’ umano esistere: “cenere di stelle / fummo senza colpa”, “(incognite lievi / perdute nel tempo)”.
Questa sorta di cosmogonia, proposta in maniera asciutta e perentoria, mi pare riferirsi, gettandovi luce, alla “mia afasica nuvola mia”: l’ origine, polvere astrale illuminata da chissà quale sole, è “afasica”, non parla, al contrario
dell’ uomo in genere, nonché dello stesso poeta in particolare.
Come conciliare questi due aspetti?
Sembra che a Fassina tale questione non interessi poi tanto: egli insiste su uno stato di fatto e non va oltre.
Si sofferma soltanto su quanto ritiene evidente: lo stupore di siffatta presa d’ atto assorbe ogni altra esigenza espressiva.
Ma, credo, non ci troviamo di fronte a un punto di arrivo.
Non si tratta, ovviamente, qui, di discutere sulla liceità scientifica (o storica) dell’ assunto, interessa, invece, la presenza di tensioni interne alla scrittura dalle quali traspare una partecipazione affettiva ancora tutta disponibile a mostrarsi nel corso d’ itinerari poetici in grado di aggiungere ulteriori fisionomie a certe precise, lucide, scansioni, a certe originali immagini.
Occorrerà ritornare, insomma, a quell’ ineffabile “silenziosa equazione