Francesca Monnetti
In-solite movenze
Testo poetico
*
incontro solo passi di nebbia
sulla soglia stretta
fossi di asprezza
sulla via corrotta
corretta
tetra e secca
non la benché minima parvenza di salvezza
qua e là
inciampo
sputo
spargo
mangio fango
detriti di muta mollezza
ciottoli di storpia stoltezza
insipida – insapida – saggezza
strappo
rattoppo
piango
ciuffi goffi e gonfi
di premoriente pienezza
cascate di irrequieta pochezza
in-gorghi di congrua tristezza
ovunque
vado elemosinando
centellinando
centesimi di autentico calore e purezza
non più colore
o stupito ardore
non pura ebbrezza
...niente
più
bellezza.
Nota critica di Giorgio Bonacini
Non succede spesso di leggere, in un testo di poesia non volutamente metalinguistico (in cui, cioè, si dichiara esplicitamente la poetica o, più in astratto, la teoria dell’autore), una così chiara e netta affermazione di come la poesia si formi. L’autrice, infatti, scrive che ciò accade “a labbra semichiuse/con o senza moti evidenti/di denti, lingua, saliva.../...timidi appigli/...sorpresi/tra rari bisbigli.../vocaboli alla deriva”.
Ecco, questo è il suono di Francesca Monnetti. In pochi versi viene detto tutto il lavoro e la fatica che la lingua deve affrontare (in termini di sottrazioni, riduzioni, soffi sempre più alitati) per produrre una parola che riesca a significare la varietà e la complessità del dire, traducendo il tutto in una propria particolare voce. Questa poesia, nella poetica che la sottende, è un vero e proprio laboratorio di oralità; un canto scritto che riceve ulteriori e più fondanti significati nella presenza attualizzata di una parola-suono. Ogni testo è sostenuto da rime, allitterazioni, consonanze, dissonanze, parole anagrammate, ritmi scanditi in una danza fonica che arriva in superficie da una profondità consapevole dei propri mezzi e dei propri corrugamenti interiori. Ma l’oralità del verso che si fa scrittura e che “s’imbroglia, sbroglia/tremulo s’appiglia/a lordo ciarpame/frammisto a sterpaglia” è però anche l’evidenza del gesto visivo di un segno (a volte divertissement per la vista e l’orecchio) sempre legato alla maturazione di un senso, e dunque indirizzato a un pensiero che indaga e raccoglie.
La parola è la materia della poesia, e Francesca Monnetti è abilissima nel plasmarla per dar forma a una sostanza che dia la possibilità di scavare tra le pieghe della vita (anche nei momenti più quotidiani come i lavori domestici o la convivenza), trasfigurando l’esistenza materiale nella parola che imprime senso. Ecco, allora, che una multidirezionalità di lettura si apre, anche con l’uso di felici espedienti: ad esempio nello spezzettamento di una parola di significato compiuto come “con-versi-amo”, possiamo interpretare i trattini sia come divisione sia come unione, in modo tale che una sola parola riesce a dar corpo a un mondo e a un modo di sentimenti.
Altre volte, invece, è il contrasto visivo tra il significato di un verso e la sua forma scritta a creare una forte ambiguità vitale: “ancora di sé espropriata/... m i r i a p p r o p r i o”, dove si vede quanto e quale è il valore di disorientamento di questa voce poetica; si indica un riprendere a sé (riappropriarsi) nell’atto di aprirsi (lo stacco fra le lettere) per dare o lasciare, perdendosi fino a un “segnato vuoto” che rimette in movimento il dicibile