Alessandro Catà, “L’ordine del respiro”, Edizioni La Vita Felice 2007
Testi poetici
*
Tornano fuori tempo
il filo e gli spilli, e un
sangue pieno di vento
è la pianura.
Nel cerchio
dove nessuno arriva
o parte, tu saresti
il mio segreto.
La cena
in cui le posate trattengono
l’universo;
la luce
della finestra di qualcuno.
*
Ricami, e pizzi – cominciano
a cadere le foglie davanti
all’edicola della tua mente –
e svolti su un calendario lento
di pianure; e osservi la riga
di ferro delle partenze.
Tre gradini, per separare
dalla terra una casa.
Un’onda di vetro ha spinto
le sirene al largo.
Impàri il cerchio delle donne.
Dipingi col filo.
Vegli su forme chiuse.
Nota critica di Rosa Pierno
Nella porzione di microcosmo che Alessandro Catà ritaglia di volta in volta per effettuare le sue misurazioni, il risultato è completamente alterato dal fatto che vi vengano confrontati oggetti inconfrontabili e dal fatto che la misurazione venga fatta con bilance non calibrate e con metri di materiale cedevole: è così che ottiene il suo risultato poetico. I paradossi che impila producono un risultato straniante che pare aprire mille direzioni nel nostro spazio abitudinario, sembra sfondare in altri mondi, incongruenti rispetto a questo, ma dotati al loro interno di una ferrea logica. D’altronde, la geometria non-euclidea, al suo nascere, non pareva il lavoro di folli che non si adattavano alle canoniche regole? “ Le \ bilance, a quest’ora segnano zero. \ E non è poi così perfetta \ la simmetria del non comprare o vendere, \ incerto il confine della materia, \ se una bilancia pende \ dalla parte del piatto in cui cade la \ luce”. In un mondo fisico così scombussolato, il polso fermo del poeta guida la materia con grande fermezza. Siamo nel regno della poesia e, dunque, tutto mirabilmente regge. Lo seguiamo in questi percorsi labirintici, in queste dimensioni plurime ottenute non con la proiezione di ologrammi o con la rappresentazione quantistica, ma con le metafore: la vera miniera di ogni cesellatore di versi. Qui, non si può dire che Catà essendo fisico di professione lavori su un terreno per lui più familiare, poiché la fisica da sola non costituisce il sostrato sufficiente e necessario per questo libro. Catà è poeta di professione. E’ soltanto questo che gli consente la duttilità per lavorare la materia, la sapienza della calibratura, la perizia della fusione. “ E vorrei (e ho) una moglie \ che all’aperto non ama le stesse mie \ case degli altri, la luce di \ rimanere piccoli, e ritagliati \ davanti alla carta da parati, \ nella sporgente scena \ di un teatro per sempre”.
A volte con crudele benevolenza, diremmo noi, suoi lettori, oramai già immersi nel suo fare capovolto, Catà prova a far quadrare la realtà in scatole geometriche, dona volume ai pesci, chiude mondi dentro una buccia. Ma è quasi una prova del nove che anziché attestare il risultato, ne dimostra l’inattendibilità. Con quale felicità, lo constatiamo nel brio e nella latente ironia che fuoriesce dai versi come latte non rappreso. E latte non riempie forse il cielo stellato? E le belle bolle non salgono dritte dritte al Paradiso? “Di conseguenza tendeva al biondo l’estetica, a rari insetti di tempo, ai grandi istanti ornamentali.”. Non sfugge ad Alessandro Catà anche la possibilità di utilizzare le parole: insetti \ inserti, istanti \ istinti in un gioco sostitutivo che crea sbilancianti scambi di senso, rotture dell’ordine. Nemmeno il linguaggio quotidiano sfugge all’operazionalità che sembrava possibile effettuare solo su mondi incompossibili!
Per Alessandro Catà: una recensione di Alessandra Paganardi
Alessandro Catà (1951) ha pubblicato in poesia Blocco riassunto, Corpo 10 Editore, il libro di prosa Ascoli, Narciso Editore, e l’antologia poetica La luce, Ila Palma Editore. Ha curato due antologie poetiche per le Edizioni Trifalco ed è autore di scritti e installazioni scientifiche.
Ordine del respiro è un sintagma singolare, che Franco Fortini, nella nota espressione riferita a Pasolini, avrebbe chiamato – più ancora che ossimoro – “sineciosi”. Il fascino di questo libro di Alessandro Catà sta proprio nel riuscire a rendere la corrispondenza fra materia e pensiero con un’esattezza e una profondità che fanno pensare, più che ad antecedenti letterari diretti, all’ardua lezione spinoziana d’etica, di geometria e di vita. Non deve essere difficile per l’autore, esperto di relatività, pensare e scrivere in termini di precisione matematica: stupisce tuttavia che nulla di questo codice rimanga estrinseco all’esistenza, in un libro in cui la carne non è mai ignorata, anzi si risolve in un pensoso requiem per il padre scomparso, per le molte ombre lontane di amici e antenati. «Ci incontreremo ancora, padre; forse una volta ancora dietro/ l’incandescente geometria dei/ morti, quando verrà, è scritto/ la resurrezione dei corpi». E’ una carnalità non autobiografica, ma universale, dove il linguaggio media vertiginosamente fra esperienza e logos e dove il continuum cronologico consente un emozionante scambio fra le generazioni: così anche il poeta può vedere se stesso come futura radice del proprio figlio, nella reiterata parabola del destino: «Ti cerco con il dolore/ con cui un giorno, cercando/ se stesso, mi cercherà mio figlio».Il tempo è anche una curva ciclica, non lineare, che ci riporta sempre all’inizio. «Futura la mano del figlio/ che ti guidava all’asilo». Se il tempo è relativo, se - come direbbe un matematico - è una serie d’infiniti che converge inevitabilmente nel finito della morte, il poeta può smascherarlo perennemente discronico, sbagliato: settembre, novembre, l’alba, il calendario sono la rappresentazione di fusi orari in continua fuga, in una messinscena tragicamente convenzionale. «L’ora che sgocciola su un mattino/ sbagliato, mentre viene la roccia/ a svegliarti […]». «Settembre non esiste; è consolarsi con le navi/ in bottiglia » ; «Novembre vai a fare/ dietro la maschera/ della preghiera». Il tempo che ci consuma, che ci fa invecchiare e morire, colpisce come uno schiaffo in un qualunque pomeriggio alla finestra, nello spegnere una sigaretta, nel veder composta la nostra immagine allo specchio, «superficie della materia – lo scopo, nel buio,/ di una luce in cui veramente/ gli attori non muoiono». La luce è l’altra grande protagonista, oltre al tempo e alla morte, di questa raccolta; ed è spesso una luce tagliente, microscopica e spietata. Possiamo vedere in essa il correlato fisico della cosiddetta “percezione sottile” (di cui uno dei primi ricercatori, non a caso, fu proprio il matematico e filosofo Leibniz, che elaborò tale intuizione insieme con il calcolo infinitesimale). Questa sensibilità poetica, basata sull’estrema concentrazione visiva, si nutre di uno sguardo mentale simile all’attenzione zen, cioè alla preghiera millimetrica dell’anima. E’ la stessa luce misurata dall’astronomo Arthur Eddington nel 1919 durante l’eclissi totale in Guinea e poi illustrata, a sostegno della relatività generale einsteniana, nello scritto intitolato Il peso della luce. Il poeta, come lo scienziato, non ha il compito di cercare significati nebulosi, ma esatte misure; la parola porta, scrive Catà, dove «una bilancia pende/ dalla parte del piatto in cui cade la/ luce». Il peso infinitesimo converge nell’inavvertibile, lo spiraglio nel limite dell’ombra: per questo Catà, nel poemetto La luce di ognuno (forse uno fra i vertici del libro), può comporre un mirabile canto funebre, in cui lo scatto ultimo coincide con la transustanziazione della materia in energia. «Perché da sempre Natale/ è questo: l’ombra di un vetro, i morti/ passeggiano in giardino. E’ la parte/ femminile del tempo.[….]. La luce della luce di ognuno». La poesia di Catà realizza, per usare un’espressione che fu riferita allo stile immaginativo di Botticelli, una dimensione molto particolare di “lirismo esatto”: nulla è di troppo, non c’è mai spazio per il superfluo o per le dichiarazioni di principio; tutto è trasfuso nella parola. Una lezione che la poesia di ogni epoca dovrebbe saper ascoltare.
Alessandra Paganardi
Alessandro Catà, L’ordine del respiro, edizioni La Vita Felice, Milano 2007