Il Forum Anterem, promosso e organizzato dal 2004 dalla rivista “Anterem” in collaborazione con la Biblioteca Civica di Verona, ha offerto ai poeti un’occasione pubblica d’incontro davanti a una platea qualificata di studiosi e appassionati.
Anno dopo anno, il Forum si è configurato sempre più come un punto di raccordo tra la rivista “Anterem” e il Premio Lorenzo Montano, accogliendo dall’una tematiche e testi, dall’altro le punte più alte delle ricerche in campo poetico e mettendole in circolazione in un più ampio e approfondito rapporto con altre discipline: musica, cinema, video, teatralizzazioni, danza, riflessioni letterarie e filosofiche.
Nelle ultime edizioni il Forum ha proposto un programma ancora più esteso e approfondito, sempre mantenendo fermi il concetto di “ricerca” e l'invito a pensare “altrimenti”, con indipendenza di giudizio e coerenza. Si può dire che nell’organizzare il Forum la direzione artistica – che coincide con la redazione della rivista “Anterem”, ha tenuto conto dell’imperativo di Hanna Arendt: «Denken ohne Geländer» ossia «Pensare senza balaustre».
Come ogni anno, in occasione delle cerimonie conclusive del Premio Lorenzo Montano, la rivista “Anterem” promuove – in collaborazione con la Biblioteca Civica di Verona – un Forum di poesia.
Sono in cartellone quattordici appuntamenti nel corso dei quali la poesia incontra la filosofia, la musica, l’arte. Tali eventi si svolgono da sabato 8 novembre a domenica 16 novembre 2014 negli spazi della Biblioteca Civica di Verona, via Cappello 43.
Il Forum ha per titolo “Di un altro dire” ed è curato da Flavio Ermini e Ranieri Teti.
La finalità è far emergere l’intima relazione che unisce la poesia e le complesse problematiche del nostro tempo.
Questa manifestazione muove da un’identità poetica molto precisa, caratterizzata dalla posizione concettuale e dal percorso di conoscenza della rivista “Anterem”. L’intento è di far amare a un numero sempre più vasto di lettori la grande poesia contemporanea e della modernità.
Con questa iniziativa “Anterem” vuole dare una visibilità critica sempre maggiore alle opere dei poeti vincitori, dei finalisti e dei segnalati per tutte le sezioni in cui il Premio Lorenzo Montano si articola: “Raccolta inedita”, “Opera edita”, “Una poesia inedita”, “Una prosa inedita”, “Poesie scelte”.
L’ingresso è libero.
Il LICEO ARTISTICO “NANI-BOCCIONI” DI VERONA
partecipa al
FORUM ANTEREM 2014
“DI UN ALTRO DIRE”
Gli studenti del corso di Design della Moda, di Grafica e di Multimediale del Liceo Artistico Statale di Verona hanno realizzato progetti grafici, di moda, video, abiti di design, opere artistiche e rielaborazioni letterarie ispirandosi ad uno stile di vita, "il Rock", che ha segnato il Novecento.
Il mondo della Factory di Andy Warhol, la pop-art, le musiche dei Velvet Underground, di Lou Reed, le canzoni di Bob Dylan, gli abiti di scena di David Bowie, il Punk, i graffiti di Basquiat, le copertine dei dischi in vinile, l'arte contemporanea di Gerhard Richter e Gareth Pugh hanno stimolato la fantasia e la creatività degli studenti.
In questo evento-mostra nella Biblioteca Civica di Verona, organizzato dalla Rivista di Ricerca letteraria “Anterem”, gli studenti presentano abiti sperimentali che parlano di denuncia sociale, di gioventù viaggiante, di aspettative, di desideri di trasgressione. Interpretano con originalità e freschezza lo stile "rock", realizzando stampe serigrafiche ispirate ai multipli di Warhol, proposte grafiche per manifesti e locandine, copertine di cd, video, in una fusione esplosiva di creatività, progettualità e nuove tecnologie.
Sabato 8 novembre: Sala Farinati Biblioteca Civica di Verona
ore 10.00
L'ARTE DEL ROCK. Musica e non solo musica. Il rock sulla strada, nel costume, nell'arte, nei conservatori.
Apertura dei lavori Agostino Contò
Gli studenti del Liceo Artistico “Nani-Boccioni di Verona intervengono proponendo propri testi e dialogano con i relatori Silvia Ferrrari Lilienau, Cosimo Colazzo, con le attrici Jana Balkan, Isabella Caserta
Sabato 8 novembre: Protomoteca della Biblioteca Civica di Verona
ore 12.00
L'ARTE DEL ROCK l'attualità di uno stile di vita del Novecento
Esposizione di opere ispirate al Rock
a cura degli studenti del Liceo Artistico “Nani Boccioni” di Verona
Inaugurazione della mostra
La mostra resterà aperta fino a sabato 29 novembre 2014
Il Nuovo Liceo Artistico “Nani – Boccioni” di Verona
comunica la partecipazione al progetto
Agorà - Forum Di Poesia
organizzato da
Biblioteca Civica di Verona
e
Anterem - Rivista di Ricerca Letteraria
Un nuovo appuntamento coinvolgerà gli studenti del “ Nuovo Liceo Artistico “Nani - Boccioni” di Verona in occasione di Agorà - Forum di poesia, iniziativa dove la poesia dialoga con la filosofia, la musica, l'arte.
Gli studenti della Sezione di Moda e Costume interpretano creativamente L’ARTE DELLA PAROLA Futurismo e arte contemporanea(1963-2013)
Esposizione presso la Protomoteca della Biblioteca Civica di Verona dal 15 al 25 gennaio 2014.
Inaugurazione mercoledì 15 gennaio 2014 ore 11.00
Presenta la mostra la prof.ssa Mariangela Icarelli, Dirigente del Nuovo Liceo Artistico. Intervengono Flavio Ermini e Ranieri Teti di Anterem - Rivista di Ricerca Letteraria. Segue il saluto delle Autorità. Illustrano il lavoro degli studenti i Docenti della Sezione di Moda e Costume.
Gli studenti della sezione Moda e Costume del Nuovo Liceo Artistico di Verona, ispirandosi al Futurismo, alla Poesia Visivaed avvicinandosi alle neoavanguardie, hanno interpretato immagini, parole libere, caratteri tipografici e le suggestioni di alcuni artisti riconosciuti storicamente, reinventando colori, forme e patterns di stampa. Alcuni elementi caratterizzanti le correnti artistiche del Novecento trovano così nuova vita nell’oggetto tessile e nelle stampe eseguite in ambito scolastico su tessuti, mediante antiche tecniche artigianali, come la serigrafia e lo stencil, abbinate a procedimenti innovativi offerti dalle tecnologie informatiche.
Ne sono scaturite realizzazioni grafico-pittoriche ed abiti, che hanno voluto intrecciare l’eredità del passato con nuove esperienze di valore estetico, dimostrando come si possa distillare l’inedito, il nuovo o l’ arte tout court.
Per ulteriori informazioni
Biblioteca Civica: Tel +39 045 8079700 bibliotecacivica@comune.verona.it www.biblioteche.comune.verona.it
Nuovo Liceo Artistico "Nani - Boccioni": Tel. 045 569548
info@artevr.it – www.artevr.it
Come ogni anno, nell’ambito delle cerimonie conclusive del Premio Lorenzo Montano, la rivista “Anterem” promuove – in collaborazione con la Biblioteca Civica di Verona – un Forum di poesia.
Sono in cartellone tredici appuntamenti nel corso dei quali la poesia incontra la filosofia, la musica, la psicoanalisi e l’arte. Tali eventi si svolgono da sabato 16 novembre a domenica 24 novembre 2013 negli spazi della Biblioteca Civica di Verona, via Cappello 43.
Il Forum ha per titolo “Agorà” ed è curato da Flavio Ermini e Ranieri Teti.
La finalità è far emergere l’intima relazione che unisce la poesia e le complesse problematiche del nostro tempo.
Questa manifestazione muove da un’identità poetica molto precisa, caratterizzata dalla posizione concettuale e dal percorso di conoscenza della rivista “Anterem”. L’intento è di far amare a un numero sempre più vasto di lettori la grande poesia contemporanea e della modernità.
Con questa iniziativa “Anterem” vuole dare una visibilità critica sempre maggiore alle opere dei poeti vincitori, dei finalisti e dei segnalati per tutte le sezioni in cui il Premio Lorenzo Montano si articola: “Raccolta inedita”, “Opera edita”, “Una poesia inedita”, “Una prosa inedita”, “Poesie scelte”.
L’ingresso è libero.
Come ogni anno, nell’ambito delle cerimonie conclusive del Premio Lorenzo Montano, la rivista “Anterem” promuove – in collaborazione con la Biblioteca Civica di Verona – un Convegno di poesia.
Sono in cartellone quattordici appuntamenti nel corso dei quali la poesia incontra la filosofia, la musica, la psicoanalisi e l’arte. Tali eventi si svolgono da sabato 10 novembre a domenica 18 novembre 2012 negli spazi della Biblioteca Civica di Verona, via Cappello 43.
Il Convegno ha per titolo “Poetiche del pensiero” ed è curato da Flavio Ermini e Ranieri Teti.
La finalità è far emergere l’intima relazione che unisce la poesia e le complesse problematiche del nostro tempo. Tra i relatori: Lorenzo Barani, Stefano Baratta, Alfonso Cariolato, Agostino Contò, Paolo Donini, Stefano Guglielmin, Tiziano Salari, Carla Stroppa, Vincenzo Vitiello.
Questa manifestazione muove da un’identità poetica molto precisa, caratterizzata dalla posizione concettuale e dal percorso di conoscenza della rivista “Anterem”. L’intento è di far amare a un numero sempre più vasto di lettori la grande poesia contemporanea e della modernità.
Con questa iniziativa “Anterem” vuole dare una visibilità critica sempre maggiore alle opere dei poeti vincitori, dei finalisti e dei segnalati per tutte le sezioni in cui il Premio Lorenzo Montano si articola: “Raccolta inedita”, “Opera edita”, “Una poesia inedita”, “Una prosa inedita”, “Poesie scelte”.
L’ingresso è libero.
Convegno internazionale di poesia
In occasione dei venticinque anni del Premio Lorenzo Montano, la rivista “Anterem” e la Biblioteca Civica di Verona promuovono un Convegno internazionale di poesia.
Sono in cartellone dodici appuntamenti che prevedono eventi poetici, filosofici, musicali e artistici con autori internazionali. Tali eventi si svolgono da venerdì 11 novembre a domenica 20 novembre 2011 negli spazi della Biblioteca Civica di Verona.
La nozione sulla quale ruoterà il Convegno è “Parola per parola”. La finalità è far emergere l’intima relazione che unisce la poesia e l’umana esistenza, ponendo al centro dei vari incontri le questioni che legano la poesia alle complesse problematiche del nostro tempo.
Saranno oggetto di riflessione e dialogo le opere di alcuni grandi poeti e filosofi, tra cui Bonnefoy, Celan, Cvetaeva, Heidegger, Jabès, Martini, Nietzsche, Rimbaud, Spatola, Zanzotto.
Questa manifestazione muove da un’identità poetica molto precisa, caratterizzata dalla posizione concettuale e dal percorso di conoscenza della rivista “Anterem”. L’intento è quello di far amare a un numero sempre più vasto di lettori la grande poesia contemporanea e della modernità.
Con questa iniziativa “Anterem” vuole dare una visibilità sempre maggiore alle opere dei poeti vincitori, dei finalisti e dei segnalati per tutte le sezioni in cui il Premio Lorenzo Montano si articola: “Raccolta inedita”, “Opera edita”, “Una poesia inedita”, “Una prosa inedita”, “Poesie scelte”. L’intento è di offrire loro un’occasione pubblica d’incontro e di riflessione critica davanti a una platea qualificata di studiosi e appassionati.
Scarica la locandina del convegno
Scarica il programma del Convegno
La ricerca poetica sta conoscendo un periodo di grande fervore. E il pubblico – come ha dimostrato questa edizione del Verona Poesia Festival 2010 – la sta vistosamente premiando, accorrendo numeroso alle letture poetiche e agli incontri vedono la poesia dialogare con la filosofia, con la psicoanalisi e con la musica.
Il Festival – organizzato da Anterem, Biblioteca Civica di Verona e Società Letteraria – ha dimostrato che il testo poetico, anche il più innovativo – se accostato con attenzione e amore, può essere non solo capito, ma diventare anche fonte di piacere.
L’evento conclusivo del Festival – “In Concerto” – ha visto la collaborazione tra Anterem e il Conservatorio Bonporti di Trento e Riva del Garda. Il successo è stato tale che il concerto verrà riproposto a Riva del Garda il 23 novembre 2010, ore 18, all’Auditorium del Conservatorio di musica.
Erminia Perbellini (a destra) con Erika Crosara
Presentiamo la galleria fotografica con alcune immagini delle giornate conclusive del 24° Premio Lorenzo Montano (nella foto, Erminia Perbellini, Assessore alla Cultura del Comune di Verona, consegna il Premio "Raccolta inedita - Biblioteca Civica di Verona" a Erika Crosara), impreziosita dall’istant poem di Carlo Penati Cronaca in versi, riferito all’evento del 6 novembre scorso.
Il VeronaPoesiaFestival si svolgerà dal 6 al 14 novembre 2010
L’iniziativa viene promossa a Verona da Anterem, Biblioteca Civica e Società Letteraria.
Poesia, musica, filosofia e psicoanalisi trovano rilievo in un programma [pdf 155KB] che prevede un fitto intreccio di incontri con l’autore, di concerti e di eventi legati al premio Lorenzo Montano, nelle sedi prestigiose della Biblioteca Civica e della Società Letteraria.
“Vogliamo creare una proposta culturale che offra stimoli di conoscenza e approfondimento a un pubblico vasto, di giovani e appassionati, con un orizzonte che vada oltre le mura di Verona, così com’è nella tradizione dei tre Enti promotori” afferma la direzione artistica.
VeronaPoesiaFestival coprirà sei giorni: sabato 6 novembre, domenica 7, giovedì 11, venerdì 12, sabato 13 e domenica 14.
Nella mattina del 6 novembre, dopo la cerimonia di inaugurazione, è prevista l’inaugurazione di una mostra di libri e manoscritti delle più importanti case editrici italiane che si occupano di poesia. Nel pomeriggio avranno luogo i primi “incontri con la filosofia” nella sede della Biblioteca Civica, protagonisti Massimo Donà e Carlo SIni, accompagnati da letture di testi poetici e brani musicali.
La giornata di domenica 7 novembre vedrà in mattinata, nella sede della Società Letteraria, due incontri dedicati a musica e poesia, mentre nel pomeriggio prenderanno il via gli incontri con i poeti, protagonisti John Francis e Roberta da Punt, con una chiusura serale con interventi musicali di Grazia De Marchi e Giannantonio Mutto.
Il Festival riprenderà l’11 novembre, giovedì, con gli incontri con i poeti Luigi Ballerini e Silvio Ramat. In serata un incontro con la psicoanalisi con Stefano Baratta e Alberto Schön, con una chiusura musicale jazzistica.
Venerdì 12, nel pomeriggio, un incontro con il poeta Cesare Viviani, il ricordo di Roberto Sanesi, e la presentazione di una raccolta di testi manoscritti di Lorenzo Montano, acquisiti dalla Biblioteca Civica di Verona.
Sabato 13 l’incontro con il filosofo Franco Rella e la cerimonia conclusiva del premio Lorenzo Montano, XXIV edizione, seguita dagli incontri con i premiati.
Domenica 14 il Festival si chiuderà con un concerto alle 11 in Biblioteca Civica a cura del Conservatorio Bonporti di Trento e Riva del Garda.
Nel corso dei vari incontri, i poeti segnalati e finalisti del Premio Lorenzo Montano leggeranno i loro testi.
Sabato 24 ottobre, ore 9.30
Biblioteca Civica - Sala Farinati
Via Cappello, Verona
Sabato 24 ottobre, dalle ore 14.00
Biblioteca Civica - Spazio Nervi
Via Cappello, Verona
Sabato 14 novembre, dalle ore 14.00
Biblioteca Civica - Spazio Nervi
Via Cappello, Verona
Biblioteca Civica - Via Cappello, Verona
dalle ore 9.00 alle 12.30 – Sala Farinati
Premiazione dei tre libri vincitori della sezione
“Opera edita - Provincia di Verona”
Ottavio Fatica, Le omissioni,
Einaudi, Torino 2009
Federico Federici, L’opera racchiusa,
Lampi di stampa, Milano 2009
Andrea Inglese, La distrazione,
Luca Sossella, Roma 2008
Dibattito tra gli studenti dei Licei
Cotta, Fracastoro, Maffei, Medi
e i tre poeti vincitori
Gli studenti votano il Supervincitore
Lettura e premiazione dei saggi brevi
degli studenti sulle opere vincitrici
Presentazione di Agostino Contò
degli “Atti del Convegno su Lorenzo Montano”
editi dalla Biblioteca Civica di Verona
Relazione di Giorgio Barberi Squarotti
Lorenzo Montano: l’itinerario della giovinezza
Gli studenti leggono alcune pagine
di Lorenzo Montano
…
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Sabato 21 novembre, dalle ore 16.30
Biblioteca Civica - Spazio Nervi
Via Cappello, Verona
Premiazione dei tre vincitori
della sezione “Opera edita - Provincia di Verona”:
Ottavio Fatica, Federico Federici, Andrea Inglese
Presentazione delle opere vincitrici
alla Giuria dei Lettori,
con riflessioni critiche di Flavio Ermini
e letture dei poeti
Francesco Bellomi
Spoglio dei voti espressi
dalla Giuria dei lettori
e dalla Giuria degli studenti.
Proclamazione del Supervincitore
…
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Domenica 22 novembre, ore 11.00
Biblioteca Civica - Spazio Nervi
Via Cappello, Verona
CONSERVATORIO DI MUSICA “F.A. BONPORTI”
DI TRENTO E RIVA DEL GARDA
RIVISTA DI RICERCA LETTERARIA “ANTEREM”
Musiche degli studenti dei corsi di composizione e musica elettronica dei Conservatori di musica di Brescia, Genova, Trento - Riva del Garda, e Vicenza
Marco Bellano (Conservatorio di Vicenza), Luca Benatti (Conservatorio di Brescia), Claudio Bonometti (Conservatorio di Brescia), Cristiano Fracaro (Conservatorio di Trento), Emilio Pozzolini (Conservatorio di Genova), Luca Serra (Conservatorio di Genova), Sesto Quatrini (Conservatorio dell’Aquila), Andrea Mattevi (Conservatorio di Trento), Massimiliano Cerioni (Conservatorio dell’Aquila), Carlo Alberini (Conservatorio di Brescia).
Testi degli autori di “Anterem” e del Premio Lorenzo Montano
Giacomo Bergamini, Giorgio Bonacini, Gabriela Fantato, Ottavio Fatica, Federico Federici, Alberto Folin, Andrea Inglese, Rosa Pierno, Franco Rella, Stefano Salvi.
Ensemble strumentale delle classi di musica da camera di Trento (prof. Giancarlo Guarino) e Riva del Garda (prof. Corrado Ruzza)
Brigitte Canins flauto, Tiziano Montibeller fisarmonica, Isabella Pisoni soprano, Francesca Pola clarinetto, Daniel Roscia clarinetto, Alessio Sala pianoforte, Chiara Salvottini flauto, Lucrezia Slomp pianoforte, Sandra Stoianovic (docente) pianoforte.
Docenti, studenti, compositori di conservatori diversi e poeti della rivista “Anterem” si trovano insieme in un contesto dove evidenti sono le differenti espressioni artistiche, ma unite nella sintesi del rapporto musica e poesia.
I compositori hanno lavorato sui testi poetici, cercando di coglierne il senso per poi liberamente trasformarlo in suoni.
Gli studenti strumentisti partecipano con intento didattico, sfruttando un’occasione rara e preziosa di divenire il tramite fra l’ascoltatore e gli autori (il poeta e il compositore).
«La tecnologia elettronica, con la sua prospettiva storica ormai rilevata, e poi la lunghissima traccia dei rapporti di suoni e poesia, rappresentano un intreccio fascinoso, dove antico e nuovo si incontrano, dove la creatività pare ispirarsi a nuclei forti dello sguardo umano sulle cose, e insieme prendere leva da quanto il nuovo prospetta, anche alle velocità odierne.
Qui gli studenti possono ritrovarsi in un ambiente fertile di possibilità. Il nuovo mondo è l’aperto. La tecnologia può chiudere in quadri solo applicativi, ma può aprire anche all’oltre non ancora provato. Nel rapporto con la tecnologia, l’arte procura prospettive allargate e molteplici. La coscienza dell’arte, che può attingere al profondo e all’esteso, immette la tecnologica in processi complessi, la utilizza in interfacce culturali piene di rimandi, associazioni, transiti, liberandola a molte risonanze. Un nuovo mondo; ma anche le continuità culturali, le stratificazioni della storia, le contraddizioni lì implicate. Il Conservatorio è ambito ricco, ideale, per raccogliere riflessioni, produzioni d’arte, ricerche, che riguardino questi temi, animato, com’è, da figure diverse e poliedriche, ricche, complesse di artisti e ricercatori. Il musicista, inoltre, ha attitudine per la poesia, che incontra d’abitudine nei repertori che pratica. Analogamente il poeta è affine alla musica, poiché nella poesia coglie in distillato i termini sonori e ritmici della parola, i componenti di essa.
Ecco che qui si struttura, allora, un luogo di esperienza intensa su tutte queste problematiche.
Un ringraziamento va, perciò, a tutti gli artisti intervenuti, musicisti, compositori, poeti. Alla rivista “Anterem”, con la quale collaboriamo per questa manifestazione.»
Cosimo Colazzo
(Direttore del Conservatorio di Musica “F.A. Bonporti” - Trento)
«Il suono, la parola, l’ascolto. Nel suo accostarsi alla realtà delle cose, il compositore cerca di conferire al suono la proprietà esclusiva di provocare un insieme di reazioni: nelle cose stesse e in chi ascolta.
Quando tale gesto nasce dall’alleanza con il poeta, nel processo di formazione il suono giunge all’orecchio interno dell’interlocutore con credenziali molto allargate.
Quel suono non viene per dire qualcosa di concluso, ma per lasciar dire qualcosa a chi lo incontra.
In stretta connessione con la parola, quel suono si fa vicino all’essenza autentica di ciascuno, tanto da costituirsi come uno specchio dove ogni ascoltatore può andare a raccogliere frammenti di verità.»
Flavio Ermini
(Direttore di “Anterem”, rivista di ricerca letteraria)
Luca Benatti
Tre invenzioni
per flauto, clarinetto, fisarmonica, pianoforte, soprano, voce recitante
testo Parking America - in tre passi di Gabriela Fantato
Conservatorio di Musica di Brescia, corso di composizione,
docente Emanuela Ballio
Chiara Salvottini flauto, Daniel Roscia clarinetto, Tiziano Montibeller fisarmonica, Alessio Sala pianoforte, Isabella Pisoni soprano, Chiara Turrini voce recitante,
direttore Simone Zuccatti
Luca Serra
Polvere
per dispositivo elettroacustico e video
testo Nel mezzo della strada di Andrea Inglese
Conservatorio di Musica di Genova, corso di musica elettronica,
docente Roberto Doati
Marco Bellano
Pretesto
per clarinetto e pianoforte
testo Lascia che a dire siano le cose di Federico Federici
Conservatorio di Musica di Vicenza, corso di composizione,
docente Enrico Pisa
Francesca Pola clarinetto, Sandra Stojanovic pianoforte
Cristiano Fracaro
Dietro alla luce solare
per dispositivo eletroacustico
testo Dietro alla luce solare di Alberto Folin
Conservatorio di Musica di Trento, corso di musica elettronica,
docente Mauro Graziani
Claudio Bonometti
In filigrana
per soprano e pianoforte
testo In filigrana di Ottavio Fatica
Conservatorio di Musica di Brescia, corso di composizione,
docente Paolo Ugoletti
Lucrezia Slomp pianoforte, Isabella Pisoni soprano
Emilio Pozzolini
Scrivo del sole
per dispositivo elettroacustico e video
testo Dei luoghi del sole di Giacomo Bergamini
Conservatorio di Musica di Genova, corso di musica elettronica,
docente Roberto Doati
Sesto Quatrini
Controcanto
tre suggestioni musicali per flauto, clarinetto, pianoforte, voce recitante
testo Avvicinamenti di Giorgio Bonacini
Conservatorio di Musica dell’Aquila, corso di composizione,
docente Sergio Prodigo
Brigitte Canins flauto, Francesca Pola clarinetto, Sandra Stoianovic pianoforte,
Chiara Turrini voce recitante
Andrea Mattevi
La mappa del testo
per flauto, clarinetto, percussioni, pianoforte e voce recitante
testo La mappa del testo di Rosa Pierno
Conservatorio di Musica di Trento-Riva del Garda, corso di composizione,
docente Nicola Straffelini
Brigitte Canins flauto, Francesca Pola clarinetto,
Sandra Stojanovic (docente) pianoforte, Danilo Palma e Martino Dallago percussioni, Chiara Turrini voce recitante
Massimiliano Cerioni
Conditio hominis
per dispositivo elettroacustico
testo Conditio hominis di Franco Rella
Conservatorio di Musica dell’Aquila, corso di musica elettronica,
docente Michelangelo Lupone
Carlo Alberini
Primizia di creature
per flauto, clarinetto, fisarmonica, pianoforte, soprano
testo Al nome di acque innerva di Stefano Salvi
Conservatorio di Musica di Brescia, corso di composizione,
docente Paolo Ugoletti
Chiara Salvottini flauto, Daniel Roscia clarinetto, Tiziano Montibeller fisarmonica, Alessio Sala pianoforte, Isabella Pisoni soprano, direttore Simone Zuccatti
Esecuzioni preparate dai docenti Corrado Ruzza (Conservatorio di Riva del Garda)
e Giancarlo Guarino (Conservatorio di Trento)
Sabato 5 dicembre, dalle ore 14.30
Biblioteca Civica - Spazio Nervi
Via Cappello, Verona
Cristina Annino, Rinaldo Caddeo, Antonella Doria, Mauro Germani,
Francesco Marotta, Emanuele Modigliani, Alberto Mori, Giuseppe Napolitano,
Carlo Penati, Maria Pia Quintavalla, Filippo Ravizza, Giuliano Rinaldini, Giovanni Turra Zan
Riflessioni critiche
Rosa Pierno
Relazioni
Stefano Baratta, La parola nella psicoanalisi
Silvia Ferrari, La parola nell’arte
Lezione magistrale
Franco Rella, La parola postuma
Intervento musicale
Stefano Baratta, Stefano Benini, Andrea Tarozzi
Nella giornata conclusiva della Biennale Anterem di poesia, filosofia e musica, ospiteremo la lezione magistrale di Franco Rella “La parola postuma”. Questa relazione sarà inserita in un programma ricco di musica, poesia e interventi teorici.
Franco Rella è nato a Rovereto nel 1944 dove risiede. È docente di Estetica presso la Facoltà di Design e Arti dello IUAV Venezia. Ha partecipato a seminari e convegni, soprattutto in materia di estetica, in molte istituzioni accademiche italiane e straniere presso le quali ha anche soggiornato come Visiting Professor.?È stato prima membro poi coordinatore (1989-1996) del Comitato scientifico, in qualità di esperto di estetica, insieme a Jean Clair, M. Garberi, D. Ronte, F. Bauman, a P. Fossati e F. Oberhuber, P. Schiera, G.L. Salvotti, del MART, Museo d'arte moderna di Trento e Rovereto.
Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo:
Scritture estreme. Proust e Kafka, Feltrinelli, Milano 2005?
Introduzione e cura a G. Bataille, La storia dell'erotismo, Fazi, Roma 2006?
L'estetica del romanticismo, Donzelli, Roma 2006 (Nuova Edizione).?
L'enigma della bellezza, Feltrinelli, Milano 2006 (Nuova edizione; ristampa 2007)?
G. Flaubert, L'opera e il suo doppio. Dalle lettere, a cura di Franco Rella, Fazi, Roma 2006?
La filosofia del possibili, in Figure del conflitto. Studi in onore di Giacomo Marramao, Valter Casini, Roma 2006?
Micrologie. Territori di confine, Fazi, Roma 2007?
Georges Bataille, Filosofo (Con S. Mati), Mimesis, Milano 2007?
R.M. Rilke, Verso l'estremo. Lettere su Cézanne e sull'opera d'arte, traduzione e cura, Pendragon, Bologna 2007 (nuova edizione)?
Nietzsche, arte e verità: Una introduzione (con S. Mati), Mimesis, Milano 2008
La responsabilità del pensiero. Il nichilismo e i soggetti, Garzanti, Milano 2009
Note a margine, in memoria di Lorenzo Montano,
pronunciate in occasione della serata di apertura
della Terza Biennale Anterem di Poesia,
il primo ottobre 2008.
La scomparsa di un continente, tanti, tanti… tanti anni fa… forse un sogno – come scrisse Aristotele, che non avrebbe dato gran peso alla narrazione platonica.
Platone, comunque, ne parlava nel Timeo e nel Crizia.
E in ogni caso… non può esser certo un caso che fiumi e fiumi di inchiostro siano stati consumati per mantenerne viva la memoria.
Metafora di un’epoca felice, originaria e dunque innocente. Simbolo di ciò che tutti, forse, vorremmo tornare ad essere. Terra sommersa, destinata a vivere nel fondo del mare. Felicità e giustizia vivevano ‘isolate’, comunque… nella memoria degli umani, nelle loro utopie. Sarebbe stato proprio il contatto con i mortali, dunque, a corromperla e, forse… a destinarla alla sparizione.
Anche nel testo biblico e in molte altre culture si presenta un mito analogo. Si pensi al mito del diluvio – che avrebbe travolto e ricoperto d’acqua (elemento purificatore) i mali del mondo, i peccati dei mortali.
Forse… ogni bene che non rimanga nel proprio isolamento è destinato a corrompersi.
Il “bene” è l’irrelato per definizione. Platone e Plotino avrebbero rimarcato questa connotazione metafisica.
Anche Lorenzo Montano, ovvero Danilo Lebrecht – poeta, narratore e critico (Verona, 1893 – Glion-sur-Montreux, 1958)) –ritorna sulla leggenda di Atlantide. Una fantasia, la chiama (nella presentazione che ne fece negli anni cinquanta). Una fantasia che, comunque, non deve essere letta ‘tra le righe’. E’ lo stesso poeta a ricordarlo, in quella breve presentazione.
Perché, tra le righe nulla si nasconde che possa essere portato alla luce. Anche in quei versi, insomma, il ‘vero’ sta nel fondo. Nel fondo della memoria – un fondo che mai potrà riemergere, potendo essere di fatto solo ri-cor-dato’.
Ricordato come si ricorda quell’inconscio che non sta mai da un’altra parte – che ci si possa proporre di raggiungere. Ma, piuttosto, come diceva Freud, si manifesta, quale sua ‘negazione’ in ogni contenuto della coscienza.
E non altrimenti esso potrebbe essere evocato. Solo la superficie è infatti in grado di palesare ciò che essa medesima ‘non’- è.
Perché, se si trattasse di qualcosa d’altro, non sarebbe “negazione” della superficie; ma, più semplicemente un’altra sezione della medesima. Ovvero, costituirebbe una sua semplice estensione.
Erano gli anni della guerra (la Seconda Guerra Mondiale), quelli – ricorda Lorenzo Montano. Anni in cui la potenza devastante del conflitto sembrava destinata a sommergere tutto; passato, tradizione… e forse ogni altra determinazione del nomos unificante. Ogni legame – c’era da temerlo – sarebbe stato probabilmente spezzato.
Il naufragio appariva come un ‘destino’. Dice Montano “Nessun fuggire / mi scamperà dalla vostra rovina… nessuno – questa è la legge – solo / potrà perire, solo salvarsi”. O ci si salva tutti, o si perisce tutti. La potenza distruttiva travolgerà tutto.
Il ‘tutto’, dunque, sarà solo nella memoria. Ecco perché “il tutto” è il fondo, e vive solo in quella superficie che sappia dirne l’infinita irraggiungibilità. Ossia, la radicale impossibilità.
D’altronde, come potremmo abbracciarlo, il tutto ? Se potessimo de-finirlo e guadagnarlo, esso verrebbe risucchiato nel fondo del mare. Di quel mare che sembra muoversi…, ma in verità, immoto, custodisce l’impossibile. Ovvero, la terra da cui siamo fuggiti nella tenebra dell’apocalisse – perché “a ciascuno la tenebra è viaggio / e la notte dimora”.
Infatti, il sole della perfezione e del bene realizzato può esser sola mente ad-teso. E intra-visto e intuito nei bagliori della notte. Della notte della ragione, forse…. D’altro canto, la ragione stessa è un mito. Un’utopia. Che, non potendo essere ‘mai’ raggiunta, invita ad essere per lo meno immaginata quale origine perduta.
Per questo, il paradiso è sempre perduto – aveva ragione Milton. Perciò può essere atteso solo nell’impossibile infinità di un’attesa sostanzialmente melanconica.
In ogni caso, se , come dice, sempre Montano, “ogni partita è chiusa, e i totali / sommano a zero”, le “soavi catene e abitudini” sono “giù”; sommerse per sempre. Viventi, cioè, solo nella memoria di ciò che mai è stato – che, se fosse stato, non sarebbe stata di certo la “perfezione”.
Come il tutto, che se fosse, sarebbe irrimediabilmente parziale.
Ecco perché il flutto su cui navighiamo – ha ancora una volta ragione Montano – non può che essere “limpido e amaro’.
Sì, limpido, perché nulla nasconde – la sua verità è infatti tutta lì, nella sua impossibilità a farsi vera e giusta, bella e buona. Perciò vive nella superficie, ossia nella sua limpida e trasparente erranza.
Malinconica, però; e amara. Ossia, amara – perché consapevole che quella terra felice ‘deve esser stata’. D’altronde, se la cerchiamo, se la bramiamo, se la speriamo; essa c’è… anche se in nessun qui-ed-ora, ma sempre e solamente come un poi che, se non ci fosse mai appartenuto, non potremmo neppure “sperare”.
Se non sapessimo nulla di esso, come potremmo desiderarla? Cosa desidereremmo? Nulla. Eppur la cerchiamo.
Pur non avendone mai fatto davvero esperienza (in questo o quel tempo realmente vissuto). Ma allora, è proprio tale nulla che cerchiamo, molto probabilmente. Il quale, comunque, non è – insistiamo – un altro dall’essere. Da quell’essere che sempre abitiamo. Ovvero, non è un essente, l’esserci-di-un-altro. Ma sempre e solamente il “non” di quel che sempre siamo e ogni volta torneremo ad essere. Quel che, solo, dice l’isolamento perfetto. E quindi la negazione di ogni relazione.
Certo, perché la relazione (condizione intrascendibile di ogni esistere) contamina – necessariamente. È proprio la relazione con i mortali, infatti, ad aver irrimediabilmente contaminato la perfezione di Atlantide.
La relazione contamina il ‘negativo’; quello che i sopravvissuti alla distruzione del Bene, continuano a tradurre, imperterriti, in un’altra terra… da cercare, e quindi da costruire. Da cui il destino “ideologico” di ogni utopia. Che si disegna tra i flutti generati dal mare di una “erranza” (che è navigazione infinita) che copre, smemorato – per dirla ancora una volta con Lorenzo Montano – quella terra eterna.
Cioè, eternamente ricordata nella proiezione futura che anima e alimenta l’immaginazione, la creazione, la poesia, ma che troppo spesso si lascia trasfigurare nella prepotenza della tirannia. E dell’esclusione – comunque implicata da ogni delirante determinazione della stessa “perfezione”.
Massimo Donà (1957) è docente presso l’Università “Vita-Salute” del San Raffaele di Milano. Tra le sue ultime pubblicazioni: Aporie platoniche (2003), La vera mimesi (2004), Sulla negazione (2004), Arte e filosofia (2007). Suoi saggi in “Anterem” 65, 67, 70, 72.
Biennale Anterem 2008
“Dire la vita”
Paolo Donini
Note sull’installazione Land under the sea
di Angelo Urbani e Armando Bertollo
con musiche di Sergio Zanone
(l’installazione viene realizzata nella biblioteca civica di Verona: in alto bandierine augurali, al vetro l’esagramma n. 13 ovvero la Compagnia tra gli uomini, a lato i pali appoggiati precariamente recano tracce, il video rimanda a un esterno marino, la musica reca suoni naturali…)
Primo intervento
Inizialità dell’arte.
La presenza umile e benaugurante delle bandiere allude al carattere inaugurale del segno: in quanto segna, il segno avvia quindi inaugura e augura.
L’arte è iniziale in quanto luogo dell’inizio costante ed è iniziale il testo in quanto inizia al mondo o, se dir si voglia, inizia il mondo.
L’installazione per suo proprio statuto acconsente allo spostamento dell’opera e la ri-situa.
L’opera situata nel suo oggetto o nel suo corpo viene spostata nell’ambiente.
Questo scivolamento è nuovamente iniziale: inizia il mondo in quanto l’ambiente viene “segnato”. Il segno che segna l’ambiente lo traduce in habitat.
Questa traduzione trasforma l’osservatore dell’opera in suo abitante. È già progetto abitativo.
Abitare l’arte, fare abitare l’arte.
La presenza dei segni:
i segni hanno modificato questo luogo che già di per sé non è un luogo vuoto, non è bianco.
Questo luogo è accampato temporaneamente dall’installazione che ne ha previsto lo slittamento semantico e il riuso sensibile.
L’installazione, l’in-stallo.
L’essere in–stallo temporaneo del segno in un luogo non deputato: un luogo della letteratura viene condiviso dall’arte.
L’installazione è qui incursione che si posa in-stallo temporaneo e produce un sobbalzo semantico del luogo, poi domani lo abbandonerà.
Il luogo che sostiene l’installazione non è sostrato puro, non è bianco, contiene e conserva storia e funzione, quindi l’in-stallo del segno in esso si configura come dialogo. L’arte si accampa nella biblioteca.
L’installazione dialoga nel luogo della letteratura e lo sovverte, poi domani lo abbandonerà, ma prima lo ha rilanciato in un progetto di condivisione.
L’installazione è nomade ma si accampa in luogo, in situ come si suol dire: il luogo installato si fa logos iniziale, inaugurato dai segni.
I pali sono qui appoggiati e precari. L’essere qui appoggiati dei pali che recano tracce è l’essere nomade dell’in-stallo: la capanna, la iurta dei segni.
Le tracce sui pali, impresse da umili strumenti, da ruote, carriole hanno portato qui la pratica di linguaggi trovati: la traccia è tale se viene trovata.
La traccia augura perché laddove trovata è riconosciuta, quindi saluta.
La traccia riconosciuta saluta.
Il saluto della traccia trovata è iniziale perché indica l’andare del segno, il possibile senso del mondo.
La traccia trovata nel paesaggio è poi siglata dall’esagramma che annuncia la compagnia degli uomini, il loro essere insieme nel senso.
Da qui noi abitanti in-stallo temporaneo, insieme tra i segni, abbiamo una finestra nel video marino dove vediamo soltanto acqua e luce confusa
La musica echeggia i suoni trovati come orme e li include nella testualità musicale. Le orme vanno nella partitura abitata.
Qualcuno lontano fa qualcosa che da qui noi non capiamo, udiamo i suoni d’acqua e di luce, abbiamo udito la musica che ha quei suoni naturali tra sé come intertestuali.
lI video racconta a noi abitanti nello stallo dei segni che siamo qui eppure lontani.
Siamo lontani da quel mare, da quell’acqua e luce, siamo lontani da un mite lavoro che da qui noi non capiamo.
Eppure da quel varco il segno-video è giunto fin qui nel suo interprete, il segno siede tra noi, forse lo abbiamo riconosciuto in quanto segno-segnato, il segno che ospita è divenuto ospite con noi.
L’in-stallo acconsente a un temporaneo abitare nella capanna dei segni, nell’inizio della traccia trovata ma ravvisa un là fuori.
L’in-stallo sta, nomade e provvisorio, verso un là fuori: che è l’oltre, l’oltraggio.
Secondo intervento
Utopia della scrittura
La presenza scalfita della parola nel bianco prima ancora che letta è avvistata: in quanto segna, il segno è innanzi tutto visibile.
La scrittura è iniziale in quanto luogo avvistato dall’occhio.
L’occhio coglie il segno nel bianco, scorge la pagina come interezza, campo e aratura.
La scrittura appare in figura.
Aprire il libro è farsi al balcone dei segni a vedere la pagina panoramica.
La scrittura contiene sempre entro ciò che le è proprio, un progetto di calligramma
che sia palese o implicato.
Il proprio della parola è il senso nel suono, della parola scritta è il senso nel suono visibili.
La scrittura che si fa visiva all’intervento del segno che la mappa e la situa rivela una trama già inclusa nel proprio della parola.
Questo disvelamento è nuovamente iniziale: nel libro inizia il mondo in quanto lo “segna” in mappa avvistando nella pagina la testura e il suo paesaggio.
Nella pagina, in filigrana, ecco apparire il paesaggio. È il paesello vocativo: o paesaggio, tra cui il viandante ambula e scompare.
Innanzi al paesaggio della scrittura che si è fatta visiva dacché ha esplicitato in mappa il suo essere in vista, scorta, avvistata, il lettore è invitato a farsi abitante e viandante.
Qui si esce a salire la linea fino a leggere un nome o si scende dall’altra parte a leggerne un altro.
L’occhio cha sale sull’erta o discende per queste chine, rettilinee figure, geometria di zone, e incontra una parola poi l’altra unite/disgiunte da segni che tracciano pezzature trame, aste, baratri, l’occhio è viandante nel nuovo paesaggio.
Fare abitare la scrittura. L’abitata scrittura.
La visibilità dei segni:
lettere, parole
linee
figure
il bianco il nero
i segni hanno modificato il luogo bianco, vi hanno portato l’inizialità inaugurale della parola e insieme la traccia del suo panorama.
La scrittura che si è fatta visiva è mappatura, catasto e ispezione paesistica. Sopralluogo, in quanto luogo sopra posto e super luogo inclusivo.
Questo scrittura scrive e di-segna lo stare della scrittura innanzi e nel paesaggio.
Rileva e alleva il paesaggio nel noto e nel nuovo.
Questa scrittura è di fronte e affronta il paesaggio.
Affrontare il paesaggio è esserne affrontati.
Lo stare della scrittura nel paesaggio (come lo stallo dei segni in ambiente) è proposta: dialogo ecologico in quanto eco di logos.
Lo stare della scrittura nel suo farsi mappa è perlustrazione e ritrovamento di tracce.
Ritrovare le tracce, calcarle, esplicita la configurazione del paesaggio in quanto luogo umano, per un nuovo umanesimo del paesaggio.
Il luogo fattosi umano contiene nella traccia antropomorfa l’utopia umanistica.
Il paesaggio ha segni parlanti, linguaggio di tracce riconosciute in saluti.
Il fine del segno che si è inoltrato nel bianco lasciando e trovando la traccia è la Natura/Cultura.
Ma lo stallo del segno nel bianco è trauma di un secondo e ultimo avvistamento.
Ecco. Il segno che mappa il paesaggio ne scorge oltre la linea l’oltraggio.
La zanzottiana oltranza-olttraggio, il zanzottiano “ti fai più in là”.
In questo incontro, la poesia verrà a trovarsi al centro di un grande evento multimediale che coinvolge artisti, filosofi, musicisti e videoartisti
ore 14.15 - 19.00, Biblioteca Civica, Spazio Nervi
DISCORDANZE
Grammatiche del pensiero tra poesia e filosofia
I poeti selezionati dalla Giuria del Premio
per la sezione “Raccolta inedita - Biblioteca Civica di Verona”
leggono i loro testi
Premiazione di Paolo Ferrari, vincitore della sezione
Rassegna internazionale di videoart, a cura di Sirio Tommasoli
Premiazione di Michele Ranchetti,
vincitore della sezione “Opere scelte - Regione Veneto”
Lettura scenica di Massimo Totola su testi di Michele Ranchetti
Musiche originali di Francesco Bellomi
ispirate alle opere vincitrici e ad altre esperienze del dire poetico
Interventi teorici di Stefano Baratta, Giorgio Bonacini,
Marco Dotti, Flavio Ermini, Susanna Mati, Marco Pacioni
Intervento musicale di Stefano Baratta, con Stefano Benini e Andrea Tarozzi i
And, when the higher sky opens
di Taron Petrosyan con musica di Bach Grieg
Armenia, 2007
7’40”
“And, when the higher sky opens
God forbid that I, being not used to savor the light,
Melt like a candle, dissolve till the end, and disappear,”
Grigor Narekatsi (poeta e teologo armeno del decimo secolo)
Il cielo è lo spazio della libertà, delle aspirazioni più alte, del volo. E qui per raggiungerlo, per lanciarsi in volo si percorre un rito di gesti, di azioni ripetute minuziosamente in bianco e nero.È una musica dolce e suadente che sembra diretta dal muoversi attento delle braccia e delle mani mentre guidano i piccoli aerei a confrontarsi con gli uccelli nei frame che s’improvvisano per pochi istanti a colori. Il ritmo diventa quello dei piedi che si agitano in una sorta di danza. Disegnano cerchi nell’aria e sulla terra, questi piedi e quelle braccia. Fino allo stordimento? Fino a perdersi nell’orizzonte? Forse fino ad annullare il peso della gravità come nei lanci violenti dei velivoli, come negli sguardi incantati che si abbandonano all’oltre.
Baby love
di Miguel Estima
Musica: Supremes
Produzione: Cine-Clube de Avana
Portogallo, 2007
1’35”
Il sogno erotico di un giovane prete che si abbandona alle carezze di innumerevoli mani di donna che lo insaponano pulendolo nel contempo di ogni colpa in un minuto e mezzo allegro e liberatorio di musica e sensazioni epidermiche.
Ideal disease
di Marie Magescas
Musica: Abel Moreno
Francia, 2007
6’54”
Una croce luminosa e inclinata, disegnata in corsivo, è la scrittura grafica di questo videoart che ha nell’oralità del testo il complemento sonoro al ripetersi ossessivo delle immagini immerse nella musicalità di una marcia festosa che mi ricorda Fellini. Il tema è la morte o, meglio, quegli aspetti rituali che seguono alla morte e appartengono da sempre alle donne di casa. Le donne che ti fanno nascere, ti crescono e, alla fine, con la medesima amorevolezza, ti compongono il corpo senza vita per conservargli la dignità di mostrarsi, di avere un ultimo rapporto sociale.
DISCCORDANZE A VERONA
POEMA ISTANTANEO – 15 NOVEMBRE 2008 (14,30 – 17,30)
Carlo Penati
Biennale di Poesia Anterem, Biblioteca Civica di Verona, 15 Novembre 2008
Questo testo conserva talvolta nella sintassi il carattere di traccia
per l’esposizione orale alla quale era originariamente destinato.
L’Altro per eccellenza rispetto alla Filosofia: la Poesia, vera ‘amica stellare’. Una lunga tradizione filosofica ci conduce a quest’identificazione dell’amica-nemica: da Platone fino a Heidegger, passando per Leopardi, Hölderlin, la tradizione idealistico-romantica, ecc. Vicinanza-lontananza philosophia-poiesis: poeta e pensatore (“custodi della dimora dell’essere”) abitano vicini su due alture separatissime - stanno su due vertici alla stessa altezza, ma divisi. Si tratta della grande lotta interna al dire umano, di un’insistente rivalità che persiste nel corso dei millenni tra le due più alte espressioni della vita umana, poesia e filosofia, le quali da sempre si contendono il primato dello spirito in rapporto al tentativo di esprimere una/la verità. Nessun facile irenismo (l’ovvietà che “ognuno esprime la verità, una parte di essa, a modo proprio, col proprio linguaggio”), bensì lotta, agonismo, rivendicazione di una supremazia (Platone: ribadire la supremazia della philo-sophia, in quanto ricerca, ovvero sapere senza contenuto, superiore alle forme artistiche, così come alle produzioni della techne).
Qui sta la radice del problema (leibniziano-borgesiano, ma anche, tra l’altro, givoniano): filosofia come romanzo? Il romanzo è erede della fabula mitologica, passando per la Sage? E la filosofia è solo una narrazione, cioè un romanzo inconsapevole? Quell’Altro, insomma, è forse lo Stesso, il Medesimo?
In Platone la poesia (tragica) è la grande nemica; sorge qui, sul crinale della più decisiva delle crisi e degli agoni, la «palaia diaphora» (Resp. X, 607 b), l’antico dissidio, l’“antica inimicizia” tra philosophia e poiesis – analoga al “sacro sgomento” col quale Nietzsche stava davanti all’atavica contesa tra arte e verità. Inizia la grande lotta che porta alla cosiddetta “condanna dell’arte” (libri II, III, e, con motivazioni diverse, Resp. X). (Platone riguardo all’arte è molto più provocatorio, più attuale, più produttivo ad es. della Poetica di Aristotele).
Chi è il poeta in Platone? Il poeta è un mentitore, un essere policefalo, multiforme, sfuggente come Proteo, un hypokrites: un mimetes. Problema della mimesis (Resp. X) = non tanto imitazione, quanto ri-produzione, cioè ri-creazione (ex novo, di fatto). La somiglianza col sofista è evidente, anche nell’abuso che entrambi fanno della potenza di apate, l’inganno - la psicagogia (II-III Resp.), la teo-logia falsa del mito e dei poeti. Poeta e sofista si sottraggono alla decisione inequivoca per la verità, da una parte grazie ad un relativismo o pragmatismo, dall’altra per la necessità dell’elemento illusorio proprio della coscienza estetica. Mentre la verità non è equivoca, come la congerie mitico-tragica vorrebbe farci credere, bensì univoca, secondo Platone. Nulla esisteva di tanto sottratto al principio di non-contraddizione (e a quasi tutti i principi della logica) come il racconto mitico, la fabula; le varianti mitiche sono dei veri ‘compossibili’ (a-dogmatismo della mitologia, tolleranza).
Platone invece combatte, ‘contraddice’ apate, la dea Apate, l’Inganno archetipico – Schelling: dal quale ha origine la mitologia – figlia della nera Notte (Esiodo, Teogonia): Ate – Apate – Peithò.
Nel testo platonico si attua una vera e propria critica della coscienza estetica, come nota finemente Gadamer (Platone e i poeti). L’esperienza vissuta dal rapsodo, dal poeta, e in ultimo dallo spettatore è già in se stessa – senza aggiungervi necessariamente la menzogna esplicita del detto – corruttrice per l’anima, portatrice di una falsa morale, di un traviamento insano; l’oblio estetico di sé consegna alla facile psicagogia delle passioni squilibranti, fa prendere il sopravvento alla parte irrazionale dell’anima, sovverte le gerarchie conoscitive: perde, disperde l’individuum. La mimesis artistica rende l’uomo doppio e molteplice, introduce consapevolmente in un mondo di finzioni condivise, pretende che si rinunci al sacro potere dell’autocoscienza, della vigilanza. La coscienza estetica ci espropria, portandoci fuori di noi, in ekstasis – come avviene al poeta, l’ape delle Muse che per sorte divina (theia moira) è en-theos e ek-phron (Ione, 534 b-c): nel dio, e fuori dal senno.
E tuttavia Platone non può appunto rinunciare alla concezione greca secondo la quale il poeta è anche un essere divino: nel Fedro la mania è un dono divino, ben superiore alla stessa sophrosyne. Nello Ione la ‘sapienza’ poetica è considerata più vicina alla specie mantica – e alla potenza magnetica. È una theia dynamis, una forza divina a spingere il poeta, come accade per la pietra chiamata magnete; la quale non solo attrae a sé gli anelli di ferro, ma infonde loro una potenza tale che permette di esercitare lo stesso potere, quindi di attrarre altri anelli, in modo da formare una lunga catena magnetica di elementi collegati, partecipanti del medesimo influsso, caduti sotto lo stesso potere. Tutti gli anelli stanno da ultimo appesi al monstruum della Musa, e non è forse questa l’ultima delle ragioni per cui la parola poetica può mandare in perdizione. La Musa è il Magnete originario che rende ispirati, che in primis possiede; la poesia si origina infatti dal dio, conferma Platone, per poi passare attraverso gli entheoi, i posseduti, gli invasati; essi attingono alle fonti del miele delle Muse, portando a noi questi doni come api. I poeti dicono la verità appunto perché sono fuori di sé, “esseri eterei, alati, sacri”, la cui mente si è svuotata per esser capace di accogliere il divino: «all’ho theos autos estin ho legon»: ma colui che parla attraverso di loro è il dio stesso. Il poeta è dunque ‘solo’ un hermeneus, un mediatore ermetico del dio, un vate, un recipiente il cui dono divino consiste nel conservarci le parole dette dagli dèi (Ione, 533 d–535 a).
Ermetismo puro è la calamita-calamità della poesia. Ione: finale in cui Socrate chiede al rapsodo Ione se vuol esser detto un uomo ingiusto (adikos, senza equilibrio nell’anima, squilibrato, scorretto), oppure un uomo divino. Questa ambiguità rimane sempre indecisa in Platone. Il poeta cioè ci custodisce e ci trasmette la Parola divina della Musa (cfr. Mario Luzi, altezza della nominazione): e tuttavia il poeta mente. Non solo mente, ma non sa nemmeno dove stia la verità. Paradosso di un uomo divino, e ingiusto allo stesso tempo.
Disposizione estetica (ovvero sospensione del ‘principio di realtà’, disponibilità all’illusione, cospirazione nell’inganno) ed estatica (ovvero svuotamento di sé per far posto alla voce divina, che s’impadronisce dell’anima, del daimon): queste due condizioni spossessano l’autocoscienza e l’equilibrio della psyche, rimuovono momentaneamente la sophrosyne, e sono richieste fino all’ultimo anello. Si deve cedere all’enthousiasmos, cedere alla presenza/parola del dio, disfarsi della mortalità per vivere nel tempo degli immortali, congiunti all’eterno – o almeno per fingerselo, affabulandosi, trasfigurandosi.
E tuttavia: questo atteggiamento è giusto? Partecipa di Dike, è conforme all’ordine corretto? Platone non ha dubbi: per l’anima, l’atteggiamento estetico è ingiusto; in quanto parziale, squilibrato, transitorio, ambiguo. Quest’atteggiamento richiede l’ambiguità della mania, fa dell’uomo un burattino degli dèi (o, che è lo stesso, delle sue stesse finzioni).
Solo per breve tempo l’uomo sopporta la presenza divina; altrettanto poco dura l’inganno. La condizione del poeta divino è dunque effimera (estremamente inadatta, dannosa per la fondazione di una polis-psyche giusta, armonica, equilibrata: ecco la ‘condanna’ nella Repubblica). Perché mai svuotarsi della mortalità, dimenticare la sua peculiare condizione, i suoi tremendi, costanti bisogni di appiglio, di misura, di sicurezza? Dovremmo forse comportarci o parlare come dèi? Dovremmo forse perderci nell’informe, nell’indeterminato, nell’aorgico del divino – ins Ungebundene, nell’absolutus? E quale ordine di verità proclameremo, tramite le parole della poesia? Non saranno, queste parole, sempre in contrasto con gli ordini reali-razionali che l’uomo si sforza di creare intorno a sé? E d’altra parte non avranno preventivamente dimenticato l’esistenza di una verità ultima, non affabulabile, scevra da inganno, semplicissimamente intelligibile?
In conclusione, per poter essere poeta, bisogna decidere in noi stessi il filosofo. Non bisogna cioè farsi guidare dalla ‘volontà di verità’, e dall’empietà disincantante che essa comporta, ma al contrario essere disposti a farsi ingannare, a vivere la fabula dell’illusione, a cedere al potere magnetico, calamitante dell’arte.
Ma come potrà conciliarsi questo atteggiamento di sospensione estetica con la quieta, trasparente unità dell’essere vero, dell’essenzialissimo monoeides, che non ha bisogno di inganni? È per colpa della poiesis che si è costretti ad affermare l’essere del non-essere, è a causa dell’instabilità che essa insinua che tutte le cose precipitano in uno stato di oscillazione, e che va di conseguenza compiuto il parricidio della dottrina parmenidea (Sofista). L’essere si rivela tragicamente inconciliato, l’armonia è il luogo che manca ai nostri discorsi, e che essi rincorrono come la loro ulteriorità puramente possibile. E nonostante ciò, il poeta è e rimane un essere divino («aner theios», Ione 542 a), per quanto egli sia sicuramente adikos.
Le ragioni della condanna dell’arte sono dunque di due ordini: non è solo l’inganno della mimesis che Platone condanna (verso l’alto, per così dire, per motivi ontologici); è anche, specularmente (e verso il basso), il fatto che il sapere poetico è inadatto alla polis, alla sua fondazione, al suo realistico mantenimento.
Il tragico è sicuramente la chiave del rapporto tra poesia e filosofia; non è infatti anche quella della filosofia una decisione tragica? Platone lo confessa apertamente: è per poter proseguire nel ragionamento (Rep. X, 608 a), per salvare la potenza razionale del logos (che è forma, ordinamento, distanza, salute), è per far questo che occorre bandire il poeta dalla polis. La sua, quella del filosofo, è la più tragica krisis, la più sconcertante rinuncia, la decisione più cruciale. Per non essere doppio, egli toglie-via, de-cide, rinuncia alla poesia. E la decide in se stesso. È dalla polis della psyche che Platone bandisce il poeta (tutta l’argomentazione della Repubblica è basata infatti sulla stretta e puntuale analogia tra città e anima): ma dopo averne assorbito tutte le capacità, dopo averne bevuto il nettare inebriante fino all’ultima goccia. (Il giovanissimo Platone, il miglior figlio dell’Esperia, bruciò tutte le tragedie da lui composte per poter convertirsi alla filosofia). Ed è con coscienza affilatissima che Platone non vuole più essere poeta.
Platone si strappa un pezzo d’anima. Decidere il poeta in se stesso pare dunque essere la tragica condizione per diventare filosofo.
Tuttavia, nonostante la decisione di Platone, poesia e filosofia rimangono sorelle, e continuano lifelong a sorvegliarsi. Non a caso entrambe si emancipano, mediante un faticoso procedimento di chiarificazione, dalla radice comune del mythos – radice con cui i conti non saranno mai chiusi – dalla quale divergono già da sempre, discostandosene con l’atto stesso del loro sorgere, in un momento senza memoria, separandosi alla nascita. Poesia e filosofia, da Pindaro ai tragici a Eraclito o Pitagora, iniziano entrambe con una critica al mito (critica che prosegue in Platone, accentuata dalle motivazioni relative alla paideia), o meglio con un tentativo parallelo di catarsi di ciò che nel mito era inaccettabile. La poesia pretende di essere il vero mito, così come il mito è l’anima della tragedia.
Anche la filosofia, in un altro senso, pretende di essere il vero mito. Platone ‘mitologizza’ nel costruire la sua città – il suo è uno Stato nei discorsi, la cui possibilità è data dalla filosofia stessa, dall’ulteriorità possibile che questa indica. Per tacere ovviamente dell’uso esplicito dei miti
Se mythos è parola-racconto-discorso, origine muta di tutte le parole, allora entrambe ne partecipano come modi eccellenti di creazione, e le loro parole potranno ‘rispecchiare’ creativamente quell’indicibile, quell’originale mancante: entrambe funzioneranno cioè per mimesis, per ‘imitazione’ poietica, per ri-creazione, ri-produzione: entrambe saranno arti mimetico-tragiche, nelle quali la parola vola più alta possibile. Il poeta non potrà più parlare la parola della Musa, il filosofo non si appellerà a nessun fondamento. Tragico è l’(im)possibile ulteriore della poesia, non meno tragico è l’(im)possibile ulteriore della filosofia.
E tuttavia: saranno per questo solidali, o addirittura simili? Sarà placata con così poco la loro rivalità? Al di là delle facili e apparenti sintonie tra poesia e filosofia, qui ci si gioca il dominio sulla parte più sublime dell’anima umana: e chi non è straziato dall’aut aut, ma anche dall’insondabile, misteriosissima solidarietà degli opposti, non è degno di esser detto né poeta né filosofo. È questa, scrive Leopardi, la “nemicizia giurata e mortale” tra poesia e filosofia, che ci rende insieme freddissimi ragionatori e ardentissimi poeti, in un’alternanza drammatica di incantesimo per via d’illusione e disincanto.
Per questo motivo, pensa il divino Platone, noi filosofi, quando giungeranno in città poeti tragici, i figli delle tenere Muse, gli ‘esseri divini’, riconosceremo tramite i loro espedienti i nostri antitechnoi, in loro stessi i nostri antagonistai nell’immane dramma della parola, e diremo loro:
«Ottimi ospiti, noi stessi siamo poeti di una tragedia (hemeis esmen tragodias autoi poietai) che, nei limiti del possibile, è la più bella e la più nobile; tutta la nostra costituzione non è che imitazione della vita migliore e più bella (mimesis tou kallistou kai aristou biou), il che per noi costituisce in realtà la tragedia più vera (tragodian ten alethestaten). Voi siete poeti, e anche noi siamo poeti del medesimo genere, vostri rivali nell’arte, vostri antagonisti nella composizione del più bello dei drammi (Poietai men oun hymeis, poietai de kai hemeis esmen ton auton, hymin antitechnoi te kai antagonistai tou kallistou dramatos), che solo la vera legge (nomos) può condurre a compimento, secondo la nostra speranza (elpis)» (Leggi VII, 817 b).
Poesia e musica
PROGRAMMA
Mauro Tonolli Piccoli eremi
per flauto, violoncello, pianoforte e soprano
testo di Mara Cini
flauto Brigitte Canins, violoncello Viktoria Rakos,
soprano Isabella Pisoni, pianoforte Diego Cavada
Marco Banal La previsione
per voce recitante e dispositivo elettroacustico
testo di Michele Ranchetti
voce recitante Chiara Turrini
Andrea Mattevi Parole, appena parole
per viola
testo di Philippe Jaccottet
viola Andrea Mattevi
Ivan Tibolla ... senza poesia
per voce recitante e pianoforte
testo di Davide Campi
pianoforte Ivan Tibolla, voce recitante Chiara Turrini
Nadia Carli Il suono e la parola
per voce recitante e dispositivo elettroacustico
testo di Massimiliano Finazzer Flory
voce recitante Chiara Turrini
Enrico Miaroma Cos’è quel vuoto?
per tenore, clarinetto, pianoforte
testo di Paolo Ferrari
tenore Fabio Bonatti, clarinetto Francesca Pola, pianoforte Alessio Sala
Andrea Gonella Nel ritmo dell’avvento...
per voce recitante e dispositivo elettroacustico
testo di Camillo Pennati
voce recitante Chiara Turrini
Antonio Casagrande Intorno a questa pietra ribolle… e si parla di morte
per clarinetto e pianoforte
testo di Yves Bonnefoy
clarinetto Nadia Bortolamedi, pianoforte Tullio Garbari
Lucia Palaoro Si piega...
per dispositivo elettroacustico e video
testo di Silvia Bre
video di Luciano Olzer
Laura Crescini Le vittime...
per soprano, flauto, pianoforte
testo di Luigi Trucillo
soprano Dania Tosi, flauto Cecilia Molinari, pianoforte Francesco Moncher
Compositori ed esecutori sono studenti del Conservatorio di Trento e Riva del Garda,
preparati dai docenti di musica da camera Simonetta Bungaro e Corrado Ruzza
Immagini a cura di Alessandra Salardi Tommasoli - alesalardi@iol.it
Romano Gasparotti
Interrogarsi sulle ragioni del testo poetico – come chiede la rivista Anterem nell’occasione della III Biennale della poesia 2008 – presuppone la domanda radicale su quale sia il logos, che si comunica e si trasmette nel poema.
Logos, per il pensiero europeo, significa, principalmente: manifestazione di pensiero, discorso sviluppato secondo certe regole, racconto, ragionamento, calcolo, relazione, proporzione, misura.
E il testo poetico certamente è manifestazione di pensiero e di linguaggio secondo certe regole. E’ l’esito di un contare-raccontare. E’ il frutto di un ben preciso calcolo. E, nel suo essere qualcosa di formato – ogni poesia ha una forma – i suoi elementi si relazionano reciprocamente e si dispongono secondo certe proporzioni, che gli conferiscono la sua misura. Infine, ma non da ultimo, è l’effetto di un misurare.
Diciamo subito, allora, che, in modo eminente, nel poema, si confrontano - in una sorta di contraccolpo, però- le ragioni del discorso, della relazione, del calcolo e della misura.
Schelling sosteneva che, in generale, l’opera d’arte scaturisce dall’ unità indissolubile di ars e poesia, laddove l’ars è la téchne, ovvero quel produrre consapevole, che muove dall’intelletto e richiede visione, educazione ed abilità e consiste, come diceva Aristotele, nel calcolare e “nel ricercare con l’abilità e la theoria come possa prodursi qualcuna delle cose che possono sia esserci sia non esserci”.
Ma la téchne, da sola non produce bella arte. C’è bisogno anche di ciò che Schelling chiama “poesia”, la quale è legata all’evento, è un dono imprevedibile, che può provenire solo da un’entità sovrumana, da un dio o un demone: “Incapace di poetare è il poeta, se prima non sia ispirato dal dio e non sia fuori di senno, e se la sua mente non sia interamente rapita.”(Platone, Ione, 533e).
Anche se da solo, tuttavia, anche questo dono divino non basta. Come scrive Aristotele nella Poetica, se l’ ergon artistico è frutto di un “movimento da altro ad altro”, in quanto tale richiede di necessità l’esercizio della téchne, la quale comporta quello sguardo capace di abbracciare un tutto, di cui parla anche Hölderlin.
Anche se, affinché l’ illimitata enérgeia della divina follia possa raggiungere l’uomo ed installarsi per un attimo nella sua anima, possedendolo, si deve dare una conditio imprescindibile: lo spalancarsi di una distanza abissale e incolmabile.
E’ ancora Hölderlin a sottolineare come i poeti e gli uomini eccellenti debbano “ riconoscere distintamente e spassionatamente la distanza tra loro e gli altri”
Eppure, per lo stesso Hölderlin, “Noi siamo un dialogo(Seit ein Gespräch wir sind)” e “udiamo l’uno dell’altro” e la poesia non è altro che questo colloquio tra l’uno e l’altro. Noi siamo sì in un dialogo, ma tra i dialoganti, tra ‘io’ e ‘tu’, tra i comunicanti, tra A e B, si spalanca una distanza infinita. Un’inviolabile distanza infinita, che la poesia non può che presupporre e custodire. Se non fosse così, la theia manía non irromperebbe mai nel mondo degli uomini e il “gran demone” di Eros, l’unica divinità rimasta accanto agli uomini da quando essi divennero mortali, si eclisserebbe lasciando i parlanti del tutto incapaci di fare qualsiasi esperienza1.
Eros è, infatti, colui che ci spinge ad andare incontro al mistero dell’Altro, dell’assolutamemnte Altro.
Se allora la poesia è misura, essa misura l’incommensurabile. Se la poesia è rapporto, essa relaziona degli assolutamente differenti. Ma che significa questo? Non la banalità secondo la quale la poesia direbbe - in qualche modo - l’indicibile.
Se ciò che non può essere calcolato è il “senso vivente”, è la pura vita, das blosse Leben, calcolarlo poeticamente non significa affatto darvi una misura. Come si potrebbe mai porre un limite all’incommensurabile?
Semmai il misurare poetico allude al gesto di un toccare l’infinito trascorrere del senso, in un “dire esatto”, accordandolo secondo la giusta voce(Stimme), secondo un “giusto tono”. Né più, né meno.
Ma questo esige, secondo J.L.Nancy – mi riferisco al saggio Calcul du poete – lo spezzare ciò che procede e si prolunga indeterminatamente. Spezzare la via del discorso. Comporta interrompere il prolungarsi della “successione ritmica”, nel “controritmo”di un taglio. Di un taglio netto, preciso esatto. Insomma (come dice Nancy): “Il corso del senso deve essere interrotto affinché il senso abbia luogo”2.
Nancy non lo cita esplicitamente, ma, nel dire quel che dice a proposito del “calcolo del poeta”, deve avere presente non solo Hölderlin, ma anche Paul Celan.
Che cosa scrive, infatti, Celan sin dalle primissime battute di der Meridian?
L’Arte, da parte sua, forma l’oggetto di una conversazione, “la quale(…)potrebbe essere continuata all’infinito, se non accadesse qualcosa”. Ma “qualcosa accade”3
Celan qui si dimostra, in fondo, schellinghiano. L’arte non può che affidarsi al logos come discorso, ragionamento, racconto. L’opera nasce immersa nei discorsi. E non può che presupporre la tendenza del discorso a prolungarsi all’infinito come conversazione tra un ‘io’ e un ‘tu’ o un ‘voi’. Ma la sua poesia si dà quando “qualcosa” accade. Quando qualcosa inter-viene, nel senso letterale, “mentre dura la conversazione”, imponendosi “brutalmente”.
E’ proprio in quest’attimo che scatta il calcolo del poeta, ovvero di qualcuno, di “uno” – di una non-persona - che, come scrive Celan , “ode e tende l’orecchio e guarda”, ma non sa di che si è parlato, per quanto egli “sente il parlante, lo ‘vede parlare’, ne ha percepito il linguaggio, la figura(Gestalt), e, allo stesso tempo(…)allo stesso tempo anche: il respiro(Atem), il che significa direzione e destino”4.
In tal senso, la poesia “può significare una svolta del respiro”5: Atemwende (che è anche il titolo di una raccolta di poesie di Celan stesso pubblicata nel 1967).
Ma ciò che improvvisamente e inopinatamente accade, interrompendo il discorso e spezzando la conversazione, è una parola che non è più parola, nel senso che è phoné di un “pauroso ammutolire”, il quale “toglie(…) il respiro e la capacità di parlare”.
Eppure proprio qui, in quest’attimo, dice Celan, “il volto di Medusa si atrofizza” e, “per un breve istante” “forse fanno cilecca anche gli automi” dell’Arte.
Da ciò la domanda che Celan pone:
Forse è a partire da questo punto che il poema è se stesso… e ora può percorrere, in questo modo anartistico ed emancipato dall’Arte, le proprie altre strade, dunque anche le strade dell’Arte –percorrerle più e più volte ancora?
Dunque la Poesia presuppone l’Arte, per poi trovare la sua direzione, il suo meridiano, il suo respiro, il suo destino, percorrendo di nuovo “le strade dell’Arte”.
Ma in mezzo, “tra”(zwischen) il punto di partenza e il punto di arrivo – che sono e non sono lo stesso - sta il calcolo del poeta, il quale coglie sinotticamente con lo sguardo, con “assoluta determinatezza” (Hölderlin) un tutto e, da non-persona, tende l’orecchio e vede il parlare nella sua Gestalt e ne percepisce, in controritmo, il respiro: un respiro che può essere anche affannoso o quasi impercettibile per carenza di fiato. Scrive, infatti, Celan: “il poema rivela ed è innegabile, una forte inclinazione ad ammutolire”7.
Eppure il suo calcolo esatto dell’apeiron incommensurabile interrompe violentemente un discorrere, la continuità dell’arte della conversazione, la quale proseguirebbe ad indefinitum, se non accadesse qualcosa. Ma qualcosa accade.
Ma che cosa propriamente accade?
Per Celan l’evento di ciò che accade, è già accaduto, è un già accaduto, di cui la poesia, ogni poesia, deve ogni volta riappropriarsi produttivamente (uso apposta un’espressione heideggeriana), sempre di nuovo, immer wieder.
Che cosa è accaduto? Celan vi allude con una semplice data: il 20 gennaio, la quale corrisponde al 20 gennaio 1942, quando fu decisa la “soluzione finale”.
Badate. Qui non si sta dicendo affatto che dopo Auschwitz non si può più fare poesia. Questa sentenza aveva profondamente irritato Celan, il quale sostiene esattamente il contrario: il 20 gennaio è il segno estremo dell’evento dell’interruzione, di ogni violenta interruzione che spezza la continuità del discorso, a prescindere dalla quale non vi sarebbe alcuna poesia.
Come aveva scritto nel 1934, rivolto a tutti i “figli d’Europa”, E.Levinas (nell’articolo intitolato Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo8), il nazismo non fu né un’inconsulta esplosione di follia, né una “contingente anomalia” della ragione europea, né un’accidentale deriva ideologica.”9.
L’hitlerismo è, a pieno titolo, una filosofia, alla quale “ogni buona logica può condurre”10. E il “Mal élémental” scaturito dal nazismo fu una “possibilità che si inscrive nell’ontologia dell’essere che ha cura d’essere(…) secondo l’espressione heideggeriana”11 . Esso è uno dei possibili frutti del pharmakon( in senso forte) della filosofia in quanto comunicazione e trasmissione del pensare. E’ pienamente frutto dell’intrinseca natura duplice ed ambivalente del suo logos, allorché il suo discorso e la sua conversazione si fanno iper-comunicazione e iper-rappresentazione.
Per rispondere ad Adorno, Celan scrisse un apologo: la Conversazione nella montagna. Ma la risposta era contenuta già in der Meridian. L’ammutolire di ciò che improvvisamente e inopinatamente interrompe il fluire di ogni discorso e spezza la conversazione è un “pauroso ammutolire”. Il “qualcosa” che accade e interviene “mentre dura la conversazione” si impone “brutalmente”. Che cosa mai ci sta dicendo Celan?
Che il calcolo del poeta che spezza il corso del senso affinché del senso abbia luogo, è imprescindibile dalla violenza.
W.Benjamin - un autore che certamente influenzò Celan - nel saggio del ’21 intitolato Zur Kritik der Gewalt12, parla della violenza come di una diade, dalla natura unoduale. Vi è la violenza in quanto pura e divina e la violenza impura e mitica. Mentre la prima – quella pura e divina - lacera, sovverte, uccide e annienta in maniera incruenta, a favore della continuità della vita e per la salvezza della vita, la seconda, invece, - quella che determina le espressioni umane, troppo umane di violenza - è cruenta e si rivolge contro das blosse Leben, contro la pura vita, giacché, per essa, il vivente è solo un mezzo in vista della realizzazione dei propri fini, che sono fini strumentali, produttivi, comunicativi, iper-rappresentativi.
L’esclusione della violenza pura e divina comporterebbe la totale eclissi del sacro da un universo, il quale diventerebbe, per citare ancora Lévinas, un mondo irrimediabilmente “pagano”, ovvero un mondo totalmente ripiegato nella sua chiusa e astratta immanenza, e quindi del tutto inospitale, privo di trascendenza, privo di distanza. Privo di esposizione al Fuori di una assoluta estraneità.
E’ lo stesso Celan ad affermare che l’interruzione, la svolta del respiro, die Atemwende, può far sì che la poesia si apra e apra verso l’assoluta Estraneità, consentendo di “distinguere tra estraneità ed estraneità”.
Ma se vi sono due forme di estraneità – quella della relazione tra ente ed ente nel senso della differenza e la pura Estraneità dell’assolutamente Altro - non vi sono due forme di violenza. La violenza è una. Non vi sono affatto due forme opposte di violenza, quella divina e quella mitica, quella pura e quella impura. L’una non la negazione dell’altra o l’alternativa all’altra, nel senso logico del termine.
Impostare la “critica della violenza” in tali termini logico-oppositivi dell’alternativa e della negazione, significherebbe aver già predisposto le condizioni per l’assolutizzarsi della violenza impura e umana, nella totale chiusura e immunizzazione nei confronti dell’eventuale irrompere della violenza divina, a prescindere dalla quale non vi sarebbero né distanza, né trascendenza, né assoluta estraneità. Ma la violenza pura e divina – che destituisce, interrompe e provoca l’autodistruzione di ogni ordine, di ogni nomos, di ogni ordine, di ogni logica, di ogni processualità, di ogni discorso, di ogni conversazione - di per sé è inconoscibile, irriconoscibile, indeterminabile, assolutamente imprevedibile nella sua eventualità.
La violenza mitica e impura è la violenza catturata e declinatasi secondo gli scopi, i codici, le logiche e le tecniche della parola logico- comunicativa, alla luce dei quali, come scriveva Benjamin, “il mezzo della comunicazione è la parola, il suo oggetto la cosa, il suo destinatario un uomo”.
Il saggio benjaminiano del ’21 va letto, infatti, in controluce con lo scritto dello stesso autore, del 1916, Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini13.
La storia e le relazioni all’interno delle comunità umane sono dominate da quella cattiva astrazione della forza – il cui effetto è appunto ciò che Benjamin chiama violenza “mitica e impura” – la quale va di pari passo con l’imporsi e la tendenza ad ipostatizzarsi ed assolutizzarsi della dimensione logico-semiotico-comunicativa della lingua. Il compimento di tale tendenza, come ha messo in luce Nancy, è il totale annientamento di ogni componente simbolico-rivelativa del linguaggio nel trionfo globale dell’iper-rappresentazione, cui, per Celan, rinvia la data del 20 gennaio.
E allora non è vero che dopo Auschwitz non è più possibile scrivere poesie.
Il pericolo insito nel farsi impura e troppo umana da parte della violenza si annuncia all’occidente già con l’apertura universale del senso incontrovertibile dell’ epistéme (come sostiene lo stesso Severino), la quale – come potenza anticipante tesa a rendere prevedibile l’imprevedibile - sta a fondamento dei calcoli tanto della ratio tecno-logica, quanto dei moderni saperi scientifico-settoriali. Con ciò l’imprevedibilità dell’evento – il fatto che sempre qualcosa accade spezzando la continuità di ciò che procede – viene preventivamente annullato dal progetto tecno-scientifico che lo pre-assoggetta e lo pre-uniforma ad un determinato orizzonte dato di significato. In questo modo, come scrisse Derrida, viene meno la possibilità di ogni “ospitalità incondizionale”. Nel senso che l’ eventualità dell’evento viene preaddomesticata, “naturalizzata”, normalizzata nel procedere del discorso e nel fluire della conversazione. Si fa astrattamente arte(nell’accezione di Celan).
Al cospetto dell’evento, però, c’è, però, calcolo e calcolo. Vi è la dimensione dominante logico-tecno-scientifica del calcolo, che conduce all’iper-rappresentazione e all’imperversare dell’umana violenza solo ed esclusivamente distruttrice. Ma vi è anche il calcolo del poeta. Il quale non si astiene dalla violenza tout court, non può astenersene. Il poeta semmai asseconda quella violenza di cui parlò Nietzsche, in Umano, troppo umano, quando si riferisce ai filosofi come a quegli uomini “non saggi” e imprudenti, i quali sono “educatori” nella misura in cui arrecano violentemente una ferita agli individui e alle stesse comunità, in modo che “proprio in questo punto ferito e diventato debole, viene per così dire inoculato qualcosa di nuovo(…); la sua forza deve essere, però, in complesso abbastanza grande da accogliere nel sangue e assimilare questo che di nuovo.”14
Le azioni poetico-artistiche, come mostra con particolare evidenza il secondo ‘900(dopo gli orrori della guerra), nel loro produrre lacerazioni, tagli e interruzioni, che hanno profondamente a che fare, con la vita degli individui e delle comunità – sono azioni violente.
Eppure, nel caso del poeta, dell’artista, tali azioni che “producono ferite o utilizzano le ferite che il destino produce” consentono che “qualcosa di buono e di nobile può anche essere inoculato nei punti feriti”, in modo che “tutta la sua natura lo accoglierà in sé e farà sentire più tardi, nei suoi frutti, la nobilitazione.”15
E’ a partire da questo punto che, dice Celan, “il poema è se stesso”?
Ciò che è indubitabile è che il poema – il quale “tenta di percepire la figura nella direzione”16 – è se stesso in quanto si colloca e ci colloca, dice Celan, “dentro l’incontro – dentro il mistero dell’incontro”17. Nel suo tendere all’Altro, all’assolutamente Estraneo. “Lo va cercando”. “E vi si dedica”, in modo tale che “ogni oggetto, ogni essere umano, per il poema che è proteso verso l’Altro, è figura di quest’Altro.”18
Dopo Auschwitz, nel calcolo del poeta - la cui azione lacera e ferisce – l’immane e impura violenza del 20 gennaio si riscatta nell’evento, che spalanca le porte alla forza del demone di Eros, che ci chiama e ci accompagna dentro “il mistero dell’incontro”.
E così la lingua si purifica. E in questo “miracolo” sta la più profonda ragione del poema.
Romano Gasparotti insegna Ontologia fondamentale presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “Vita e Salute”- S.Raffaele di Milano e Fenomenologia dell’Immagine presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera a Milano. Collaboratore di molte riviste di carattere filosofico ed estetico, è(con M.Donà) il curatore dell’opera postuma ed inedita di Andrea Emo e ha pubblicato numerosi libri sulla filosofia antica, sulla filosofia della politica e su argomenti di carattere estetico-artistico, tra cui Le forme del fare(con M.Cacciari e M.Donà), Liguori, Napoli 1987, Movimento e sostanza. Saggio sulla teologia platonico-aristotelica, Guerini, Milano 1995, I miti della globalizzazione, Dedalo, Bari 2003, Filosofia dell’Eros. L’uomo, l’animale erotico, Bollati Boringhieri, Torino 2007. Il suo ultimo libro è Figurazioni del possibile. Sul contemporaneo tra arte e filosofia, Cronopio, Napoli 2007.
Sul tema della filosofia dell’eros è autore e protagonista di Imeros. “quando Amor mi spira, noto” recital teatrale di letture, immagini e musiche originali .
1 Su queste tematiche rinviamo a R.Gasparotti, Filosofia dell’Eros. L’uomo, l’animale erotico, Bollati Boringhieri, Torino 2007
2 J.L.Nancy, Luoghi divini – Calcolo del poeta, trad.it. il Poligrafo, Padova 1999, p. 75
3 P.Celan, La verità della poesia. “Il meridiano” e altre prose, trad.it. Einaudi, Torino 1993, p. 3
4 Ivi, p. 4
5 Ivi, p. 13
6 Ivi
7 Ivi, p. 15
8 E.Levinas, Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, trad.it. a cura di G. Agamben, Quodlibet, Macerata 1996, cit. p. 21.
9 Ivi, cit. p.23
10 Ivi, p. 21
11 Ivi, p. 21(il corsivo è nel testo)
12 Cfr. W.Benjamin, Per la critica della violenza, in “Angelus Novus. Saggi e frammenti, trad.it. , a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1962, pp. 5- 28
13 Anche questo saggio è tradotto nell’edizione italiana di Angelus Novus. Op.cit. , pp. 51-67
14 F. Nietzsche, Umano, troppo umano, I, in “Opere di Friedrich Nietzsche, vol. IV, a cura di G.Colli e M.Montinari, Adelphi, Milano 1971, p. 161
15 Ivi, p. 162
16 P.Celan, Op.cit. p. 11
17 Ivi, p. 15
18 Ivi
Tiziano Salari
1
In un bel libro di Milan Kundera, I testamenti traditi, si parla, tra l’altro, delle traversie in cui incorrono i testi dopo la morte degli autori, e si sofferma in modo particolare sull’opera di Kafka, sia sui modi alterati in cui è stata tradotta o pubblicata (in modo particolare in Francia), a partire dal primo tradimento, quello di Max Brod di pubblicare e far leggere al mondo ogni riga scritta dall’amico.” Non riesco a capacitarmi che ci si stupisca tanto della (supposta) decisione di Kafka di distruggere l’intera sua opera. Come se una simile decisione fosse a priori assurda. Come se un autore non avesse sufficienti ragioni per portarsi dietro la propria opera nel suo ultimo viaggio” E questo sia perché i libri possano non piacere più al suo autore, o non possa più piacergli il mondo ai quali essi sono stati largiti. Alla fine un autore, potrebbe essere disgustato dalla stessa vanitas vanitatum dell’arte o delle incomprensioni che ha subito e non vuole che esse vengano perpetrate anche dopo la sua morte. A una attenta disanima sia della lettera a Max Brod che viene ritenuta il testamento di Kafka., sia di altre dichiarazioni di Kafka, Kundera afferma che Kafka non partecipava a nessuna delle categorie sopra elencate, che riteneva valida una parte della sua opera (di cui correggeva ancora, sul letto del sanatorio, poco prima della morte, gli ultimi racconti), e gli scritti che voleva sopprimere erano sostanzialmente gli scritti intimi, lettere e diari, e i racconti e i romanzi che non era riuscito a ultimare. America? Il processo ? Il Castello?
2
Scrive Kundera: “Penso all’epilogo del Processo: i due uomini che sono andati a prendere K. sono chini su di lui e lo stanno pugnalando ‘ Con gli occhi che si offuscano K. vide ancora, vicini al suo viso, guancia contro guancia, i due uomini che osservavano l’esito. ‘Come un cane!, disse, era come se la vergogna dovesse sopravvivergli” L’ultimo sostantivo del Processo è la vergogna, l’ultima immagine è quella di due volti estranei, vicini quasi al punto di toccarlo, che osservano K. nel momento più intimo, quello dell’agonia.”. E concludendo: “È questa trasformazione di in uomo da soggetto in oggetto ad essere sentita come una vergogna”. La morte ha trasformato Kafka e le sue opere (fino alle lettere più intime, quelle a Felice e al padre, il padre che non lesse mai la celebre lettera a lui diretta) in oggetto, manipolabile a piacere da critici, traduttori, editori. E, sempre secondo Kundera, Brod non ha scusanti.” Ha tradito il suo amico. Ha agito contro la sua volontà, contro il senso e lo spirito della sua volontà, contro la sua indole schiva che egli ben conosceva”Ma chi avrebbe potuto resistere a non veder pubblicate opere come America, Il processo, Il castello, e quindi non ringrazia Brod della sua disobbedienza all’amico morto?
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Un altro testamento tradito fu quello di Virgilio, che aveva chiesto di dare alle fiamme la sua Eneide, perché la considerava non soltanto un poema incompiuto, ma fallito. Fu Augusto che tradì il suo testamento. Anzi, l’Eneide divenne il libro politico per eccellenza, il libro che giustificava la fondazione dell’Impero. In La morte di Virgilio Hermann Broch parla di questo dramma parlandoci dell’ultima notte di vita del poeta latino e dell’angoscia del fallimento per la differenza tra l’opera compiuta e quella che avrebbe voluto compiere.Come per Kafka, forse temeva che la vergogna di essersi piegato a un potente gli sarebbe sopravvissuta.Ma nel frattempo sente che nella morte può essere nascosta la soluzione del mistero del linguaggio, di quella parola nella quale si è consumata la sua vita di poeta. […] la parola si librava al di sopra di tutto, si librava al di sopra del nulla, al di là dell’esprimibile e dell’inesprimibile; ed egli, travolto e avvolto al tempo stesso avvolto dal fragore della parola, si librava con lei; tuttavia, quanto più quel fragore l’avvolgeva, quanto più egli penetrava nel suono fluttuante che lo penetrava, tanto più irraggiungibile e tanto più grande, tanto più grave e tanto più evanescente si fece la parola, un mare sospeso, un fuoco sospeso, con la pesantezza del mare, con la leggerezza del mare, e tuttavia sempre parola: egli non poteva ricordarla, non doveva ricordarla; essa era per lui incomprensibilmente ineffabile, perché era al di là del linguaggio.”
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Al di là del linguaggio! Esiste dunque una verità più alta, non articolabile in parole, una verità che si tocca in momenti privilegiati della vita, o, appunto, nella prossimità con la morte.Ci sono verità accecanti, che ti piombano addosso come una scure interiore che ti dilania l’anima: è la rivelazione lenta, ma graduale, che travolge Edipo. È lui lo scandalo additato dall’oracolo di Delfi, è lui il mostro da cui Tebe si deve liberare se vuole risorgere purificata dalla pestilenza che la sta spopolando.Ci sono istanti privilegiati in cui, in un lampo di superiore chiarezza, la vita si spalanca davanti agli occhi nella sua interezza, come nelle estasi degli attacchi epilettici del Principe Myškin,nell’Idiota di Dostoevskij , che può diventare un abito o una scelta filosofica nel vedere la propria vita come un tutto, nell’anticipazione della morte. Non ci possono essere altre premesse per una vita autentica, non consumata nella dispersione o nella chiacchiera. È la soluzione prospettata in Essere e tempo di Heidegger.Vederci come un tutto concluso nella nostra irrimediabile finitezza, dall’angolazione della fine. È a partire da quel momento che acquistano importanza i testamenti. In uno dei suoi saggi Filosofare è imparare a morire,Montaigne dice che bisogna presupporre in ogni momento della vita di avere la possibilità della morte vicina, anche uscendo di casa per fare una semplice passeggiata. E che quindi dobbiamo essere sempre a posto con noi stessi e con gli altri, di non trascurare di avere mai qualcosa in sospeso. Forse è una cosa impossibile che ciò avvenga. Come possiamo considerarci da subito come oggetti? Che riusciremo a portare a termine il libro che abbiamo nel cassetto? Che moriremo facendo in modo che la vergogna non ci sopravviva?
5
La morte di K. nel Processo mi fa venire in mente un’altra terribile morte di un romanzo del Novecento, del Console, in Sotto il vulcano di Malcom Lowry. Tutti ricordiamo la vicenda del Console alcolizzato, nel Messico violento, alla vigilia della seconda guerra mondiale, sotto “la vetta impennacchiata di neve smeraldina” del Popocatepel ,il vulcano tutto “inzuppato di luce”. Anche il Console, dopo essere stato abbandonato dalla moglie, muore al margine di una strada, temendo che la sua vergogna gli sopravviva. K, prima che i suoi carnefici affondino il coltello nel suo cuore, si guarda intorno. “I suoi sguardi caddero sull’ultimo piano della casa che si alzava sul limite della cava di pietre. Come una luce che si accende d’un tratto, si spalancò una finestra, ed un uomo, che a quella altezza e a quella distanza appariva esile e debole, si piegò in avanti allargando le braccia. Chi era? Un amico? Un uomo di cuore? Uno che provava compassione? Uno che voleva portare aiuto? Era uno solo? Erano tutti? Era ancora possibile venire in aiuto di K.? Si poteva fare ancora qualche obiezione che prima era stata dimenticata?”Ma sono domande inutili e viene ucciso. “Come un cane”, mormorò, e gli parve che la sua vergogna gli sarebbe sopravvissuta”. Allo stesso modo pensa il Console, che forse avrebbe dovuto avere più fiducia nel soccorso del mondo e nell’amore. Ma tutto ciò è inutile rispetto all’inesorabile fine. “Ad un tratto egli urlò e fu come se quell’urlo rimbalzasse lanciato da un albero all’altro, come se la sua eco ritornasse, poi, come se gli stessi alberi si avvicinassero, lo stringessero da presso, serrati gli uni agli altri, chinandosi su di lui, pietosi… Qualcuno gli scagliò dietro un cane morto, nel burrone”
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Se la vergogna ci sopravvive, dunque si muore come un cane. O insieme ai cani. E c’è anche la possibilità di morire ed essere in vita. Nietzsche., ridotto a puro oggetto inerte negli ultimi dieci anni di vita , l’autore dello Zarathustra , mentre cresceva la sua fama nel mondo, aveva perso ogni possibilità di controllo sulla sua opera. Solo recentemente i suoi frammenti postumi sono stati ricostituiti con un certo ordine critico. Ma per tanti anni è circolata un’opera a suo nome, La volontà di potenza, che lui certo aveva progettato, ma che, nel modo in cui fu composta, fu manipolata da altri, in modo particolare dalla sorella Elizabeth. Lo stesso discorso può essere fatto per l’enorme lascito del poeta Friedrich Hölderlin, che ha vissuto quasi trent’anni in uno stato di dolce follia, e che ha lasciato gran parte delle sue poesie più grandi in uno stato aperto a correzioni e trasformazioni. Un altro caso è quello dello Zibaldone di Leopardi, l’enorme scartafaccio di appunti letterari e filosofici, che fu pubblicato soltanto sessant’anni dopo la sua morte e che ha rinnovato gli studi leopardiani in tutta la loro rilevanza poetica e filosofica.. Probabilmente gran parte di queste opere devono al Novecento, alla nuova sensibilità filologica e critica anche per l’incompiuto, o per il non finito, per il frammento lasciato al margine dell’opera compiuta, il fatto di essere diventati fonti di studio dei loro autori. E forse la parte più preziosa della loro eredità spirituale.
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Dunque la morte ci trasforma in oggetti, ma anche un testo, quello pubblicato con tutti gli avalli autoriali ed editoriali, diventa un oggetto, sia agli occhi dello stesso autore, sia dei lettori. Ecco, questo sono io! L’autore può vedersi come un tutto limitato, con compiacimento o con insoddisfazione, ma in ogni caso ha la possibilità di misurare il rapporto che intercorre tra quelle che erano le sue intenzioni e il risultato. O forse l’autore non è sempre in grado di farlo e si affida ai critici. Di tutta questa problematica, e cioè di un testo come viene valutato, a seconda dei tempi, delle novità, degli umori dei lettori e dei critici, la trattazione più acuta è quella che si può leggere nell’operetta morale di Leopardi dal titolo Il Parini ovvero della gloria. Sono insegnamenti che, nella finzione, il vecchio poeta Parini dà a un giovane letterato di belle speranze. Singolare che la gloria letteraria venga posposta alla possibilità di qualche azione eroica, impossibile ai tempi di Leopardi così come ai nostri. Il Parini di Leopardi fa l’esempio di Alfieri e di altri che “inclinati straordinariamente alle grandi azioni; alle quali ripugnando i tempi, e forse anche impediti dalla fortuna propria, si volsero a scrivere cose grandi” Ma ciò che resta ai moderni è, appunto, solo la possibilità della gloria letteraria, ed è sulle difficoltà di questa che si concentra il discorso.”Potrei qui nel principio distendermi lungamente sopra le emulazioni, le invidie, le censure acerbe, le calunnie, le parzialità, le pratiche e i maneggi occulti e palesi contro la tua reputazione, e gli altri infiniti ostacoli che la malignità degli uomini ti opporrà nel cammino che hai incominciato”Col rischio dunque di essere trascurato in vita e di essere dimenticato in morte, anche applicandosi a fondo alla ricerca della bellezza e della verità. Insomma il Parini di Leopardi elenca tutte le difficoltà di poter giustamente valutare un’opera nuova, anche posto caso che sia bellissima”Ora tornando in via, dico che gli scritti più vicini alla perfezione,hanno questa proprietà, che ordinariamente alla seconda lettura piacciono più che alla prima. Il contrario avviene in molti libri composti con arte e intelligenza non più che mediocre”, che non reggono mai a una seconda lettura, ma che si fanno leggere avidamente alla prima. Oggi potremmo dire e pensare ai best seller, che quasi mai reggono a una seconda lettura, posto che siano leggibili alla prima, il che forse raramente avviene.
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“Ma il nostro fato – conclude il Parini leopardiano, dove che egli ci tragga, è da seguire con animo forte e grande; la qual cosa è richiesta massime alla tua virtù, e di quelli che ti somigliano”. E questa conclusione, credo, sia un ammaestramento anche per noi,per il lavoro solitario di ricerca, quando ci troviamo di fronte a un testo, a un work in progress che accentra tutta la nostra attenzione, sul quale convogliamo tutta la nostra sensibilità linguistica ed esistenziale, e ci chiediamo: per chi stiamo lavorando?per chi stiamo cercando?.Ci viene in soccorso Blanchot, quando dice che “Scrivere è entrare nell’affermazione della solitudine, dove incombe la fascinazione.È consegnarsi al rischio dell’assenza di tempo, dove regna l’eterno ricominciamento”. È la stessa cosa, detta in linguaggio moderno, del seguire il proprio destino con animo forte e grande, nella certezza che avvertiamo di toccare, con lo scrivere, qualche verità essenziale che ci riguarda. Blanchot parla di solitudine essenziale, di cadere afferrati e conquistati da una fascinazione che ci mette in contatto con una presenza neutra, impersonale, un “Sì” indeterminato, “all’immenso Qualcuno senza volto”Non è forse questo un altro nome con cui definire il destino da seguire con animo forte e grande?
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Per chi scriveva Kafka quando nei suoi Diari si lamenta di non avere abbastanza tempo per scrivere, o quando vi si accingeva, che avrebbe preferito vivere in un luogo sotto terra, per non essere disturbato da un minimo rumore? Per chi scriveva Proust nella camera imbottita dalle pareti di sughero? “ Proust e Kafka hanno scritto negli stessi anni. Hanno scritto entrambi di notte, prigionieri della notte. Entrambi ebrei, anche se socialmente molto diversi Sono morti a due anni di distanza l’uno dall’altro, entrambi presi alla gola, l’uno dall’asma l’altro dalla tubercolosi che lo aveva assalito alla trachea […] Hanno avuto, l’uno e l’altro, lo stesso rapporto assoluto con la scrittura di cui e per la quale sono vissuti e in certo senso sono morti”(Franco Rella) Si dirà: destino, certo, che seguono in forme più o meno assolute tutti coloro che si dedicano alla scrittura, anche se non tutti sono Kafka o Proust, ma ciascuno è legato alla sua piccola o grande ansia di verità. E per tenervi fede occorre essere in grado di sostenere quella che Blanchot chiama la “solitudine essenziale”.”La solitudine, che viene allo scrittore dall’opera si rivela in questo: scrivere è ora l’interminabile, l’incessante”Nel saggio Rilke e l’esigenza della morte, parla della necessità di Rilke, di scrivere da un luogo che fosse equiparato alla morte..Questo luogo è difficile da raggiungere, e soprattutto in esso, è difficile sostare senza impazienza.Impaziente fu Michelstaedter, che si tolse la vita a 23 anni, in quanto aveva ritenuto che guardare in faccia alla morte fosse l’unico modo serio di corrispondere alla visione tragica del mondo, alla verità enunciata dai tragici greci e dalla poesia moderna di Leopardi e di Ibsen e dalla musica di Beethioven. Secondo il Rilke, commentato da Blanchot” l’impazienza è anche uno sbaglio contro la sofferenza: rifiutando di soffrire lo spaventevole, sfuggendo all’insopportabile, ci si sottrae al momento in cui tutto si capovolge e il pericolo più grande diventa la sicurezza essenziale” In una celebre poesia di Hölderlin si dice che “là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva”Il detto è stato commentato più volte da Heidegger in rapporto alla tecnica che domina sempre più i rapporti umani a livello planetario e all’abbandono degli dei, fino al totale venir meno di ogni rapporto col sacro, che i poeti(in modo particolare lo stesso Hölderlin) sono chiamati a tenere in vita. Forse questo è uno dei modi di enunciare il compito del poeta (se vogliamo della scrittura, se vogliamo della solitudine essenziale) e cioè quello di esporsi agli urti dell’essere, della nuda vita, e cercare di articolare nel linguaggio la sua verità in quel punto in cui diventa tangente con la verità di tutti.
ore 14.30 - 19, Biblioteca Civica, Spazio Nervi
esperienze del dire poetico
I poeti selezionati dalla Giuria del Premio
per la sezione “Una poesia inedita -
Prima Circoscrizione di Verona”
leggono i loro testi
Premiazione
di Massimiliano Finazzer Flory
vincitore della sezione
Musiche originali di Francesco Bellomi
ispirate all’opera vincitrice
e ad altre esperienze del dire poetico
Interventi teorici
Alberto Folin, Marco Furia, Stefano Guglielmin
Rassegna internazionale di videoart
a cura di Sirio Tommasoli
Back-stage dello spettacolo
“L’orecchio di Beethoven”
di e con Massimiliano Finazzer Flory
Sin da Scritti nomadi (Anterem 2001), la mia riflessione ha sviluppato alcuni punti nodali, ribaditi nel frattempo su rivista e organizzati in modo sistematico nel mio prossimo saggio dal titolo Senza riparo. Poesia e finitezza, la cui uscita è prevista per la tarda primavera. Questa relazione ne riprenderà schematicamente uno, sperando che ciò sia utile ai presenti.
L'auspicio ci porta immediatamente nel cuore della questione, che potrebbe essere tradotta nella seguente domanda: se l'uomo, per natura, cerca l'utile di ogni cosa, quale sarà quello chiesto alla poesia? Il cannone spara, il secchio contiene, la penna scrive; alla poesia quale azione compete? Evidente che la poesia non è un bene strumentale, anche se può essere usata per divertire, commuovere, educare eccetera. Essa è un bene strumentale solo in seconda istanza, qualora l'uomo abbia deciso di utilizzarla, di sottometterla alla propria volontà. Quante poesie patiscono questa sorta di schiavitù! Tuttavia, così come sappiamo che l'uomo non è strumento di un altro uomo, dovremmo interrogarci sulla più autentica natura della poesia e chiederci, ancora: a che cosa serve la poesia? A rispondere, ci può aiutare una frase di Osip Mandel’štam: «La poesia è un vomere che ara e rivolge il tempo portando alla superficie i suoi strati profondi più fertili». Essa li rimette in circolo tra le sue maglie più esposte, in quel ruvido che è il testo, con tutte le sue pieghe visibili e invisibili. Se coniughiamo questa metafora con le acquisizioni della filosofia di Jean-Luc Nancy potremmo affermare che la poesia non soltanto ara e rivolta il tempo, bensì è il tempo stesso nella sua feconda imprevedibilità, nel suo tumultuoso venire allo scoperto. La poesia è il tempo presente che, spazializzandosi nel testo, declina la nostra singolarità, giocandola in uno scarto che ci tiene sensatamente nell'aperto del mondo. Così operando, essa dispone (e indispone) affinché il senso del presente non si chiuda, e lo fa senza volerlo, senza saperlo. Per dirla con Leopardi, essa «rivitalizza» il presente, ma non lo fonda, non lo trattiene, lo rilascia invece nelle pieghe della sua superficie, in tutta la sua complessità.
Ciò che il poeta conosce, di tutto questo, è la vertigine di quel trattenere senza proprietà, che è pensiero ossia dialogo – senza riparo – della singolarità con la parola che avanza, che chiama alla responsabilità dello stile. Per questa ragione, scrivere poesie non significa additare qualcosa che si ritiene vero, conoscendolo attraverso il doppio cappio della nominazione e del metodo, bensì si concretizza nel lasciar-essere ciò che siamo nella sorpresa che questa esposizione comporta, uno stare adesso e qui eppure dis-locati, padroni di una tecnica, eppure in balia di una creazione, che tiene in prossimità e declina, nello stile, corpo e mondo, affettività e ragione, passività e desiderio, ma anche il tramandarsi delle tradizioni entro il cui orizzonte (plurale) noi operiamo. Scrivere una poesia è difficile appunto per questa insopportabile pressione, a cui lo stile dà forma, ma in un modo che toglie all'identità qualsiasi pretesa di dominio, pur costringendo la parola entro uno spazio – quello letterario – già parzialmente deciso. Ogni poesia insomma rilanciando libertà e giogo, fa parola del luogo terrestre in cui la finitezza si gioca senza resto. Detto in altri termini: nei ritmi, nei sintagmi, nei suoni, nelle cose che la poesia nomina o tace, pulsa uno sfondo, un’ombra reale, palpabile, che dice il proprio dell’autore nonostante l'autore. In questo senso, l’opera è l’esercizio stesso dell’esistenza quando si scopre finita, esercizio che trattiene, non soltanto l’indicibile e l’inconfessabile dell’autore, ma anche quanto egli stesso non può conoscere, mostrandoli tutti in un mascheramento (effetto della «resistenza», della «rimozione» e delle «proiezioni», per usare una terminologia psicoanalitica), che non può essere evitato e che dà luogo a un proficuo fraintendimento – in cui è coinvolto anche il lettore, con le sue «resistenze» – sul quale si giocano la complessità e la pluralità dell’interpretazione.
Sotto il profilo antropologico, tale acquisizione ci spinge a credere che la poesia non serva né a denunciare l’ingiustizia né ad alimentare il "mistero del poeta", bensì a mettere in opera le forze che hanno mosso e muovono l’uomo sin dapprincipio: la paura dell’altrove ma anche, nel contempo, il tentativo di esorcizzarla; il desiderio del centro, quale luogo del sacro e la consapevolezza che ciò costi sovrumane miserie; il bisogno di rifondare il tempo profano, ritualizzandolo, e il sospetto che nulla possa sottrarci alla deriva della caducità.
Pensare la finitezza e lasciarla essere disseminandola nella scrittura significa, inoltre, togliere l’inganno che l’origine sia qualcosa di praticabile; il ché comporta vivere l’erranza (e la scrittura) senza nostalgia per il ritorno. Se c’è origine, infatti, essa è già da sempre perduta (Nancy) e, comunque, anch’essa – se davvero, come scrive Martin Buber, la relazione originaria è io-tu – non è identità, bensì porta con sé il proprio essere-differenza, l’inconciliabilità e l’incomprensibilità dell’accadere rispetto alla coscienza che vorrebbe fissarlo univocamente. Ciò comporta il fatto, la prassi, che noi siamo già sempre nella verità della presenza, in un qui la cui temporalità custodisce il disagio della smemoratezza dell’Inizio e l’ottimismo del muoversi-verso il luogo in cui già siamo. Un ritornare a casa che non ha le caratteristiche dell’uscire dall’inautentico, come molta scrittura contemporanea lascia intendere, bensì la forza dell’approfondire il proprio luogo, quello stare in posizione singolare plurale che è già sempre comunità e che ci costituisce in quanto mortali parlanti.
Un paio di passaggi di questa riflessione sono già usciti su rivista; nello specifico in “Almanacco del Ramo d’oro” nn.5/6 marzo 2005 e "Atelier" n.50, giugno 2008.
ore 10.00 - 13.00, Biblioteca Civica, Sala Farinati
Convegno su Lorenzo Montano e il Novecento europeo
Relatori
Giorgio Barberi Squarotti,
Agostino Contò, Flavio Ermini, Claudio Gallo,
Giampaolo Marchi, Maria Pia Pagani
Nel cinquantenario dalla scomparsa
di Lorenzo Montano (1895-1958)
e in occasione della terza edizione
accresciuta del suo romanzo:
Viaggio attraverso la gioventù
(Moretti&Vitali, Bergamo 2007),
pubblicato per iniziativa
della Biblioteca Civica di Verona
Tiziano Gelmetti
legge testi di Lorenzo Montano
Coordina i lavori Agostino Contò
Il secondo e il terzo appuntamento della Biennale Anterem 2008 sono stati dedicati alla scelta e alla proclamazione del supervincitore per la sezione “Opera edita”, patrocinata dalla Provincia di Verona. La Giuria Critica composta da intellettuali veronesi, dagli studenti dei Licei “Cotta”, Fracastoro”, “Maffei”, dagli abbonati ad “Anterem”, ha proclamato supervincitore Luigi Trucillo, autore di Lezione di tenebra edito da Cronopio.
Immagini a cura di Alessandra Salardi Tommasoli - alesalardi@iol.it
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Estratto dell’intervento di Flavio Ermini alla Biennale di poesia 2006
Iniziamo citando quattro versi posti in esergo al numero 72 di “Anterem”, dedicato al tema: hairesis.
E sotto il cielo fugace del purgatorio
Noi dimentichiamo spesso che
La custodia celeste e gioiosa
È la casa terrena che si distende.
Sono quattro versi di Mandel’stam.
Che cosa ci indicano?
Che la volta celeste non rimanda più a un al di là… come se fuori dal mondo si nascondesse qualcosa in attesa…. Segnalano che la volta celeste è un’estensione della terra.
Ma allora cosa accade quando il qui (la casa terrena) non cerca un oltre, un fondamento al di là del mondo? Cosa accade quando il qui cerca la verità di questo nostro mondo?
Ricordiamolo: alle spalle dell’umanità c’è l’elevatezza celeste, abbagliante e assoluta. Ma sta alle spalle, appunto.
Davanti a noi c’è il protendersi dell’uomo verso il fondamento del proprio essere finito: l’incompiuto.
L’eresia si è insediata nella nostra vita e nella parola poetica. L’eresia nel suo significato originario, propriamente hairesis = scelta!
Ed ecco allora che la parola è intenta nel suo ascolto terreno — che non è più celeste, non più abbagliante, non più assoluto.
E la parola finisce per abbracciare il proprio senso e, insieme, il vuoto che la circonda… Accoglie il limite, insomma.
È proprio in questo divergere da un assoluto armonico che s’inaugurano l’atto poetico e il gesto filosofico della modernità, che pure non smettono di interrogarsi sulla sensazione di vuoto lasciato da quella perdita.
E lo trattiene, insieme a quel buio che preme per salire.
Scrivere è un atto di coraggio e di rischio.
E non rappresenta un abbandono della vita, ma un addentrarsi nel folto dell’esistenza = una disposizione ad aprirci verso noi stessi e ad ascoltarci, trovando nuove parole a cui consegnarci.
Scrivere significa conoscere. E conoscere vuol dire, con Novalis, «sprofondare lo sguardo nell’anima del vasto mondo».
Che altro non è che quella “casa terrena” nominata da Mandel’stam… Una casa terrena che così tanto ha a che fare con la parola poetica di cui ci danno conto:
Paul Celan, Osip Mandel’stam, Madison Morrison, Rosa Pierno
Nota: nell’ambito della Biennale le voci recitanti erano di Jana Balkan e Isabella Casella del Teatro Scientifico
Paul Celan
Traduzione di Luigi Reitani
Salmo
Nessuno ci impasta di nuovo da terra e da fango,
nessuno dà parola alla nostra polvere.
Nessuno.
Tu sia lodato, Nessuno.
Per amor tuo vogliamo
fiorire.
A Te
in-contro.
Un Nulla
eravamo, siamo, ancora
resteremo, fiorendo:
del Nulla la rosa
di Nessuno.
Con
lo stilo d’animo chiaro,
il filamento di un cielo desolato,
la corona rossa
della parola di porpora, che cantammo
sopra, oh quanto sopra
la spina.
Tenebrae
Siamo vicini, Signore,
vicini e afferrabili.
Già afferrati, Signore,
gli uni agli altri abbrancati, come fosse
il corpo di ciascuno di noi
il tuo corpo, Signore.
Prega, Signore,
pregaci,
siamo vicini.
Andavamo sghembi laggiù,
andavamo laggiù per curvarci
su conca e cratere.
Andavamo all’abbeveratoio, Signore.
Era sangue, era
ciò che hai versato, Signore.
Splendeva.
Ci scagliò la tua immagine negli occhi, Signore.
Occhi e bocca restano aperti e vuoti, Signore.
Abbiamo bevuto, Signore.
Il sangue e l’immagine che era nel sangue, Signore.
Prega, Signore,
siamo vicini.
Era terra in loro, e
scavavano.
Scavavano e scavavano, così passava
il loro giorno, la loro notte. E Dio non lodavano,
che, così udirono, tutto questo voleva,
che, così udirono, tutto questo sapeva.
Scavavano e più nulla udirono;
non divennero saggi, non crearono un canto,
non inventarono nessun linguaggio.
Scavavano.
Giunse una quiete, giunse anche una tempesta,
giunsero tutti i mari.
Io scavo, tu scavi e scava anche il verme,
e ciò che lì canta dice: essi scavano.
Uno, non uno, nessuno, tu:
dove si andava, se in nessun luogo si andava?
Tu scavi e io scavo e io a te mi scavo,
e al nostro dito si risveglia l’anello.
Osip Mandel’stam
Traduzione di Elena Corsino
*
Lo dico in minuta, in sussurro
Perché non è arrivato il tempo:
S’ottiene con sapienza e sudore
Il gioco del cielo acerbo.
E sotto il cielo fugace del purgatorio
Noi dimentichiamo spesso che –
La custodia celeste e gioiosa
È la casa terrena che si distende.
9 marzo 1937
*
Forse questo è il punto di follia,
Forse questo è la tua coscienza –
Il nodo della vita nel quale siamo
Riconosciuti e slegati all’esistenza.
Come cattedrali di cristalli iperreali
Che una leale luce-ragno
Lascia correre sui costoni, e ancora
Raccoglie in unico fascio.
E i fasci riconoscenti di limpide linee,
Così mossi da timido raggio,
S’incontreranno, un giorno convergeranno
Quali ospiti dalla nobile fronte –
Soltanto qui, sulla terra, in cielo no,
Sì che a una casa di musica colma –
Se solo non li spaventeranno, nè li sfregeranno –
Cosa buona sarà per noi se vivremo…
Ciò che io dico, perdona...
Leggimelo piano piano...
15 marzo 1937
*
Alle labbra mi porto quest’erba –
Questa promessa vischiosa di foglie –
Questa terra spergiura: madre
Di bucaneve, aceri e querce.
Guarda, come io divento forte e cieco
Se mi piego alle miti radici,
E non è forse troppo lo splendore
Del parco fragoroso per gli occhi?
Ma le ranelle, come biglie d’argento,
Con le voci s’aggrappano a sfera.
Si fanno rami i pruni, e la bruma
Latteo pensiero stranito.
30 aprile 1937
I
Alla terra nuda, suo malgrado, volgendo,
Con passo dolce e discorde – lei va
Di poco avanzando l’amica lesta
E il giovane, quasi della stessa età.
È attratta dalla grave libertà
Di quel difetto che le ispira l’estro.
E chissà che un nitido presagio
Si voglia soffermare nel suo andare –
Su quest’aria di ciliegi in fiore
Per noi antica madre della volta tombale,
E questo ha principio eterno.
II
Ci sono donne care all’umida terra.
Ogni loro passo è risuono di pianto,
Accompagnare i risorti, e per prime
Accogliere i morti – hanno per vocazione.
Le loro carezze invocare è scellerato,
Allontanarsene – insostenibile commiato.
Oggi – angelo, domani – verme sepolcrale
E dopo domani soltanto sembianza...
Ciò che era incedere si fa inaccessibile...
Fiori immortali, cielo integro,
E tutto quel che sarà – soltanto promessa.
4 maggio 1937
Le poesie sono tratte dall’ultimo dei Quaderni di Voronez, il terzo (marzo-maggio 1937).
Madison Morrison
Il grande poema
come i nostri padri che dovevano
al gusto del piacere la gioia di veleggiare
grigi da sotto i palazzi del centro grigio turbinio
che un tempo dall’Eolia carico di tesori tornò
dopo aver attraversato vasti mari con la sua nave
nera solitarie Cadillac dai tetti bianchi
I fiocchi di neve hanno cominciato con il cadere sul sontuoso edificio e all’interno del suo recinto poi piano aderiscono alla superficie del terrazzo agli steli delle zolle erbose predisposte in modo piacevolmente irregolare ora stanno velando gli alberi che circondano il perimetro e cominciano ad ammantare i tetti di Istanbul. Nel Libro XXIII gli Achei avevano cessato di combattere per prepararsi alla sepoltura di Patroclo mentre dalle montagne viene portato del legname per costruire la pira funeraria per l’eroe defunto vengono organizzate delle gare l’aria si raffredda i vincitori ricevono premi di valore un uomo vestito di nero esce dal sontuoso edificio apre la portiera di una berlina bianca e guida prudentemente attraverso il parco innevato avanzando come se fosse invisibile. Nel Libro XXIV Priamo porta con sé dei doni e si reca alla tenda di Achille per riprendersi il corpo del figlio defunto ha gettato un sacco pieno di merci nel bagagliaio della macchina bianca ora passa attraverso gli splendidi giardini e scompare dalla vista Achille gli cede il corpo di Ettore e interrompe la guerra finché il corpo dell’eroe troiano non sarà stato sepolto.
Il grande poema omerico termina con il funerale di Ettore. «Posero il suo cadavere in cima alla pira funeraria accesero una torcia e gli diedero fuoco dopodiché raccolsero le bianche ossa dell’eroe.» Sul tetto del sontuoso edificio non più verde e ormai coperto dalla neve ci sono più di dieci piccioni che beccano e volano via e poi tornano a posarsi sulla sua superficie. «Misero le ossa trovate tra le ceneri in uno scrigno d’oro avvolgendole con soffici indumenti color porpora dopodiché calarono velocemente lo scrigno all’interno di una profonda fossa e vi ammassarono sopra delle pietre ben pressate tra loro in fretta e furia innalzarono un tumulo e posizionarono delle sentinelle per ogni dove temendo che le truppe degli Achei lanciassero il loro attacco prima della scadenza del periodo di lutto. Una volta innalzato il tumulo tornarono a Troia dove dopo essersi riuniti all’interno della casa di Priamo re per volontà di Zeus condivisero uno splendido banchetto funebre in onore dell’eroe e così i Troiani seppellirono Ettore scozzonatore di cavalli.»
Tre donne escono dal sontuoso edificio e attraversano la piazza per fermarsi presso la cancellata sopra il viale una davanti all’altra e parlano tra loro gesticolando di fronte al campo sportivo la berlina bianca è tornata nel parcheggio davanti al palazzo lasciando nuove tracce sulla neve nel frattempo al centro della piazza un grosso autobus di colore bianco compie delle manovre in modo lento e preciso su di un lato c’è scritto “Polis” nel bel mezzo di tante urla e gesti concitati l’autobus inverte la marcia mentre il traffico viene deviato un cancello giallo viene sollevato all’entrata della terrazza e ai conducenti viene permesso di entrare nella piazza e di parcheggiare i loro veicoli per cinque minuti non accade nulla ma adesso una ventina di poliziotti scendono dall’autobus uno per volta mentre dall’altra parte della strada un operaio rimuove dalla sala di esposizione del Turkcel Building l’alieno color beige ancora abbigliato con un panciotto nero e cravatta bianca lo carica con cura su una macchina in sosta posando il corpo sul sedile posteriore e la testa su quello anteriore.
Rosa Pierno
da Trasversale
… È diviso tra il desiderio di credere a quello che vede e il desiderio di ritrarsi … Immagina un altro essere che guarda l’orizzonte da un’altra terra … Ci si può approssimare a qualcosa senza sapere a che cosa ci si stia avvicinando …
Orbite, sovrapposte a cerchi e a sfere, mostrano trasparenze inusuali la cui unica spiegazione risiede nella loro dislocazione all’interno di un disegno, non certo del sistema solare.
Oltre ai nostri corpi e al vuoto non v’è più nulla. Solo noi nel mondo. Né inferi né superi. Se è vero che le cose universe non debbono ridursi di mano in mano al nulla, ma debbono permanere indistrutte, corpi non possono essere divisi in nessun modo. È questo l’assioma dell’amore. L’indivisibilità degli amanti.
Molecole giocano a rimpiattino o si bendano per non cadere nella monotonia di legami simmetrici. Momenti di transizione elettrici e magnetici ravvivano la monogamia del singoletto e polarizzano l’attenzione verso altri stati. Sfruttando le diverse combinazioni si può rendere visibile ciò che era latente, un interesse per la trigonometria. Per le relazioni amorose geometriche a tre. Moti vibrazionali e vere e proprie scene di tripudio accompagnano ogni accoppiamento inusitato. Gli accoppiamento vibronici non avvengono utilizzando arti meccanici. Le novelle simmetrie rappresentano le infrazioni, gli stati molecolari proibiti dall’ortodossia. Rapporti integrali assumono di norma la posizione speculare o quella retrograda. La traslata si attua quando la molecola interagisce con altri gruppi di appartenenza.
Ciò che è simmetrico è ben equilibrato. Dal proporzionale, in cui il rapporto delle lunghezze è razionale, si passa al giusto mezzo: stato d’animo che dista ugualmente dagli estremi del bene e del male, ma, qui, si trapassa dall’estetica alla morale con un salto ingiustificato.
I moti relativi dei corpi in un dato spazio non sono identici, poichè il tempo rallenta e accelera. È relativo l’amore come pure il dissapore. È necessario prendere in considerazione le storie personali, le capacità innate e la preparazione culturale. Prima di uscire dalla stanza per entrare nello spazio siderale, deponi un bacio sulla mano, non darmi un addio di circostanza. Ipotizzando spostamenti, sempre limitati, anche in altre direzioni, non si può escludere che non finisca con l’incrociare un corpo di forma sinusoide, biondo. La relatività non si può applicare al caso fortunato. L‘incontro può rapidamente stabilizzarsi e diventare un fenomeno solido nel tempo. Sperimentalmente si può calcolare ciò che non è relativo: la grandezza dell’amore, la durata siderale di un istante emozionale.
Il passaggio dalla percezione alla descrizione si potrebbe esemplificare con il passaggio dal moto esperito al moto astratto. Per esperienza lo spazio non è isotropo, ma lo diventa con accorte selezioni, con locali astrazioni, con dirozzamenti puntuali. Dalle cose naturali alle cose ideali. Da cui discende l’invarianza delle leggi del movimento sotto condizioni precise. Leggi matematiche devono essere valide anche in mondo sublunare. Sensate esperienze e certe dimostrazioni è il metodo di sempre. Manifeste esperienze, accuratissime osservazioni s’intrecciano a disegni geometrici e ad assunzioni. E con l’ausilio di opportuni dispositivi si può vedere anche dove l’occhio non arriva. Che importa discettare sull’essenza d’un astro, se sia di polenta o sia diamante, se se ne può osservare il comportamento e considerare che i nostri sensi potrebbero ingannarci. Attenersi ai fatti può impedirci di scrivere libri di poesia in cui il vero scientifico non è considerato e in cui gli astri sono presi in considerazione solo per la loro indifferenza e crudeltà o per il loro mirabile scintillare che rapisce gli ingegni e annebbia la vista con vapori e fuochi.
Nell’infinito è possibile tutto ciò che al nostro intelletto appare impossibile e contraddittorio. Ci si può amare solo nell’infinita proiezione, nell’impossibile fondazione.
Complicazioni, contrazioni non ci avvicinano a un punto medio, a una convergenza, nemmeno su una linea che ha svolgimento infinito. È del tutto puntuale un nostro allineamento, un gemere all’unisono, un godere simultaneo.
L’universo sebbene non coincida né col sole né con la luna è tuttavia sole nel sole e luna nella luna. Molteplicità degli enti contratta in unità dell’universo. Universo non è nulla senza te che lo abiti. Senza di me che ti osservo.
Due elementi non possono unirsi bene da soli senza l’intervento d’un terzo: occorre infatti che fra loro due intercorra un legame per tenerli uniti, che non sia necessariamente quello della gelosia. Quando, infatti, di tre corpi c’è un termine medio che sia in relazione a entrambi, che sia cioè in relazione all’ultimo ciò che il primo è in relazione a lui e viceversa il medio sia in relazione al primo ciò che l’ultimo è in relazione al medio, allora, diventando il medio primo e ultimo e l’ultimo e il primo entrambi medi, tutti diverranno necessariamente un solo corpo dalle proporzioni ideali. Statua di marmo scolpita per sempre nella retina.
Elementi errano nell’aere, non discernibili senza la mediazione della massa. Se nessun vento smuove il sistema, l’unico moto naturale è quello mentale. Parti mobili possono essere azionate anche meccanicamente. Alleggerendo i pesi, forando le forme non addiviene a un equilibrio diverso. Nel suo mondo non domina la simmetria. Impalcature di filo di ferro e torri sostengono un movimento costruttivo sensibile al vento della storia.
Nessuna tra le forme è più perfetta di un’altra e nessuna meno adatta a vivere. E le più semplici non è detto che siano le più antiche. Vantaggi non si rinvengono necessariamente nelle forme evolute. Che le cose modificandosi migliorino è professione di fede.
Queste pagine sono tratte da: Rosa Pierno, Trasversale, Verona, Anterem Edizioni, 2006 – libro vincitore della XV edizione del Premio Feronia, Città di Fiano.
Prima Linea, una struttura oggettuale di Renato Job, è un corto del 1969.
Anche in quest’opera, come nel dittico di Patricia Dubien, il viaggio è rappresentazione della vita. Qui assistiamo a una rappresentazione puntuale, documentata con profonda curiosità intellettuale che incrocia grande sensibilità e cultura visiva.
Il linguaggio di Job corre avanti anticipando i ritmi del sonoro con tagli repentini o sfumature che si dissolvono nel tema dell’incontro, nell’intreccio delle musiche, nelle anaologie di vite diverse, riconducibili a civiltà diverse che si sovrappongono fra occidente e oriente. Com’era nel Giappone degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ma non solo.
In Europa era il tempo del grande sviluppo successivo alle ricostruzioni del dopoguerra, erano gli anni dei movimenti di protesta internazionali, della pop art, del rock, del sogno della California, delle distanze abbreviate ma non ancora colmate dal conoscere virtuale.
Il mondo non era viziato dalla globalizzazione occidentale, ma il nostro modello economico era vincente, aggressivo, appariscente. Di moda.
Nel corto di Job sono assenti le contestazioni nate sul finire degli anni Sessanta, ma sono evidenti i prodromi della crisi del decennio successivo.
Il disagio contrastato del vivere è scandito dagli accapo della sua macchina da scrivere che chiudono i versi centrali di questa scrittura poetica con segni di vita o di morte.
Il film è rigorosamente scarno, in bianco e nero, ma lieve nel suo procedere veloce, senza concedere soste per la riflessione o pause per il sentimento, perché qui il sentire e il riflettere hanno il tempo del vedere, il ritmo di un suono unico composto di frammenti che si succedono continui e diversi, come diversi sono i mezzi e i luoghi del viaggio e dell’incontro che scorrono davanti ai nostri occhi.
Sirio Tommasoli
8 ottobre 2006
Tu vas où? Tu dove vai? (diptyque vidéo) è stato presentato quest’estate alla XII Rassegna internazionale del San Giò Festival diretto da Ugo Brusaporco.
Questo video di Patricia Dubien è la metafora del viaggio che ciascuno di noi compie nella vita, che è il continuo ripetersi di viaggi senza approdi definitivi, o un viaggio unico di percorsi diversi verso un’unica meta che ci è negata dalla natura stessa delle cose, che vivono di imprecisione e vibrano di quel margine di errore che la nostra ansia di ordine vorrebbe azzerare o colmare in una formula di comprensione unica e universale.
La fisicità della macchina da presa, collocata sui quattro mezzi di trasporto oggi più consueti, è qui spinta all’estremo del suo essere protesi del nostro vedere, fino allo stravedere di un occhio che si sovrappone all’altro dilatando il margine d’errore, fisiologico per naturale imperfezione, in azione visionaria, in una scrittura poetica, in metafora della vita.
Perché la poesia apre a conoscenze impossibili e la scrittura poetica va oltre i sensi, rincorre la vita e improvvisamente ne mette a nudo l’anima. Il divenire di queste immagini non ha tempo, esse non sono icone della memoria o del desiderio. Disegnano cerchi mai eguali che sembrano ripetersi in volute private del nucleo centrale e negano l’esistenza di un punto di partenza come di un punto di arrivo.
Il dittico di Patricia Dubien è struttura e scrittura, immagine e percorso, inizio e fine del viaggio. Nei quadri che si muovono assieme, le forme si moltiplicano e si sovrappongono in assenza di contraddizioni, contrapposizioni o contrasti. Fluiscono come le onde del mare o le nuvole nel cielo e alludono a un ritorno che è dolce e impossibile assieme, senza la certezza di un orizzonte che qui risulta sospeso fra l’indistinto e il distinguibile: non è un rassicurante indice di tempo e di luogo ma appare vago quanto insistente, una presenza che alberga dentro di noi, mutevole e irraggiungibile, un approdo che nella sua indefinitezza appare sempre ugualmente lontano e uguale a se stesso.
Sirio Tommasoli
1 ottobre 2006
Da L'Arena del 22 settembre 2005
Due eventi da non perdere per gli appassionati di poesia
BIENNALE DI POESIA E PREMIO LORENZO MONTANO
Alla Gran Guardia sono in programma per sabato 24 settembre due eventi di particolare interesse per chiunque sia appassionato di poesia: la giornata conclusiva della prima Biennale di Poesia e la cerimonia di premiazione del Premio Lorenzo Montano. Entrambe le manifestazioni sono promosse dalla rivista di ricerca letteraria “Anterem” (che proprio quest’anno celebra i trent’anni di attività) in collaborazione con la Biblioteca Civica di Verona.
La Biennale di poesia avrà inizio la mattina alle ore 9 e proseguirà fino al tardo pomeriggio. Sarà coordinata da Agostino Contò (quale rappresentante della Biblioteca Civica), Flavio Ermini (come direttore della rivista “Anterem”) e Ranieri Teti (in qualità di responsabile del Premio). Gli organizzatori hanno annunciato la presenza di oltre 60 poeti provenienti da ogni parte d’Italia, selezionati tra i migliori partecipanti dell’ultima edizione del Premio “Lorenzo Montano”.
L’evento si configura come un vero e proprio reading, con le letture dei poeti sottolineate dalle note del pianista veronese Francesco Bellomi, docente al Conservatorio di Milano. Renderanno ancor più suggestivo e spettacolare l’evento alcuni sconfinamenti della poesia verso altre arti.
Alle ore 11, nella sezione della Biennale “Poetiche della percezione”, le attrici Jana Balkan e Isabella Caserta proporranno una riduzione teatrale di alcuni tra i testi più significativi della poesia francese contemporanea.
Alle ore 16, nella sezione “Estetiche della percezione” – sempre inserita tra le letture dei poeti presenti, che costituiranno il vero filo conduttore della giornata – saranno proiettate opere di videoartisti internazionali. La proiezione, inedita per Verona, sarà introdotta da Sirio Tommasoli.
Con la seconda parte della giornata si giunge a uno degli appuntamenti culturali più importanti dell’anno: la cerimonia conclusiva della 19^ edizione del Premio “Lorenzo Montano”, un Premio che ha tra le sue finalità quella di portare alla luce opere concretamente nuove e di offrire prove di pensiero e di stile capaci di donare la gioia di leggere.
Dopo gli interventi delle autorità (si prevede la partecipazione del professor Maurizio Pedrazza Gorlero, vicesindaco e assessore alla cultura, e di Matteo Bragantini, assessore alla cultura e all’identità veneta della Provincia di Verona), alle ore 17 ci sarà la premiazione di una delle più grandi scrittrici italiane di oggi, Ginevra Bompiani. Autrice di libri memorabili – quali Le specie del sonno (1975), introdotto da Italo Calvino, Tempora (1993), Il ritratto di Sarah Malcolm (2005) – è stata premiata, con la pubblicazione dell’antologia personale delle sue prose Metamorfosi edita da Anterem Edizioni, nella sezione “Opere scelte - Regione Veneto”.
Saranno inoltre premiati i tre vincitori della sezione “Opera edita - Provincia di Verona”: Luigi Ballerini, Albino Crovetto, Franco Falasca. Tra questi poeti, una Grande Giuria Popolare formata da numerosi cittadini veronesi ha scelto quale supervincitore Luigi Ballerini con il libro Cefalonia edito da Mondadori.
Anche in questa edizione, sono stati coinvolti nel voto i due licei cittadini Maffei e Fracastoro e i due licei della Provincia di Verona: il Liceo classico Cotta di Legnago e il Liceo scientifico Medi di Villafranca; ma con una novità: per gli studenti di tali Licei – guidati dai docenti Luca Bragaja, Emma Cerpelloni Luisa Zanettin e Alessandra Zangrandi – è stato istituito un ulteriore premio: una somma destinata all’acquisto di libri per la migliore nota critica prodotta sulle opere vincitrici. Gli organizzatori sono molto fieri di questa iniziativa, perché da essa nasce la linea di tendenza del Premio: aprire sempre di più ai giovani, soprattutto a quelli che restano fedeli alla loro forza immaginativa.
Il premio per la “Raccolta inedita”, la sezione storica del “Lorenzo Montano” che prevede la pubblicazione presso Anterem Edizioni dell’opera vincitrice, quest’anno sarà attribuito a Giulio Marzaioli, una delle voci più caratterizzate della poesia italiana contemporanea, con la raccolta In re ipsa.
Il premio per “Una poesia inedita” sarà assegnato a Marcello Gombos, grazie al lavoro di una Giuria Critica composta da 60 tra critici, docenti, filosofi, storici della letteratura e dell’arte.
Una scelta delle poesie di tutti gli autori premiati sarà interpretata da Carla Totola e Massimo Totola. Michela Oldin eseguirà quadri di danza e Francesco Bellomi al piano proporrà le musiche di sua composizione ispirate dai testi, in prima esecuzione assoluta.
La straordinaria partecipazione di due tra i maggiori filosofi italiani, Remo Bodei e Vincenzo Vitiello che interverranno sul rapporto tra poesia e pensiero, completerà il programma.
sabato 24 settembre 2005.
In ordine di lettura:
Mattina
Ernesto Bussola, Norma Stramucci, Osvaldo Valenti, Pasquale Della Ragione, Paolo Fabbri, Giovanna Gadda, Dome Bulfaro, Antonio Bonchino, Emanuela Banfi, Anna Maria Ercilli, Maria Teresa Bertolotto, Fabrizio Bonci, Giorgio Terrone, Stefania Portaccio, Giovanni Parrini, Alessandro De Francesco, Massimo De Ciechi, Mariannina Sponzilli, Marco Pozzi, Simonetta Masin, Rossano Onano, Lorenzo Mari, Guido Turco, Bruno Zambianchi, Stefania Roncari, Eros Trevisan, Gabriella Landini, Alberto Teodori, Anna Maria Bracale, Alessandro Vallacchi, Romeo Gironda, Cesare Vergati, Davide Monopoli, Pasquale Trotta, Eros Olivotto, Mariella De Santis, Michele Fogliazza, Graziella Segreti, Antonia Torchella.
Pomeriggio
Davide Zanutti, Fabiano Alborghetti, Enea Maroccolo, Tommasina Squadrito, Margherita Rimi, Sebastiano Aglieco, Paolo Mosca, Giuseppe Lentini, Fabio Ciriachi, Luigia Sorrentino, Anna Laura Longo, Davide Acerbi, Livia Lucchini, Massimo Verducci, Francesca Giraudi, Ariele D’Ambrosio, Eugenio Lucrezi, Ivan Della Mea, Lina Salvi, Maria Grazia Martina, Daniela Negrini, Silvia Malavasi, Paola Monaldi, Alvaro Torchio, Adele Desideri, Stefano Rossini, Marcella Corsi, Gian Matteo Durante, Alessandro Sichera, Amos Mattio, Mahameed Salah.
Con la partecipazione del poeta Alfredo Giuliani,
del filosofo Carlo Sini, del regista Andrea De Rosa
Da L'Arena del 28 ottobre 2004
Finalmente anche la nostra città ha la sua Biennale. Ed essendo Verona la capitale mondiale della poesia, la Biennale non poteva essere che “di poesia”. La manifestazione, che ambisce a diventare uno degli appuntamenti culturali più importanti dell’anno, avrà luogo sabato 30 ottobre alle ore 10.00 presso la Sala Convegni della Gran Guardia in piazza Bra. L’evento, organizzato dalla rivista letteraria “Anterem” in collaborazione con la Biblioteca Civica, comprenderà anche la cerimonia conclusiva del Premio di Poesia “Lorenzo Montano”, giunto con quest’anno alla 18^ edizione. La prima Biennale di Poesia avrà per titolo “Officina della Percezione” e sarà introdotta da Agostino Contò. Gli organizzatori prevedono la presenza di oltre 60 poeti provenienti da ogni parte d’Italia, selezionati tra i migliori partecipanti al Premio “Lorenzo Montano”. Il tutto si configurerà come un vero e proprio reading con le letture dei poeti sottolineate dalle note del pianista veronese Francesco Bellomi, docente al Conservatorio di Milano, e dalle coreografie di Michela Oldin. Molti appuntamenti si susseguiranno nel corso della giornata. Alle ore 11.00, sarà proiettato il video “Red waves” di Sirio Tommasoli, uno tra i nostri più significativi artisti. A seguire, nella sezione della Biennale “Poesia a teatro”, alcuni testi di D’Annunzio, Rilke, Eliot, Cvetaeva saranno interpretati da Jana Balkan e Isabella Caserta su musiche di Berg, Webern e Schoenberg. Alle ore 17.00 è prevista la proiezione - inedita per Verona - del cortometraggio “Appunti per una fenomenologia della visione” (premiato al Festival di Torino) del regista Andrea De Rosa. Concluderà la prima parte della “Biennale”, alle 17.30, una relazione di Carlo Sini, uno dei più importanti filosofi italiani, accademico dei Lincei. Dopo gli interventi delle Autorità cittadine, alle ore 18.00 si svolgerà la premiazione, per la sezione “Opere scelte - Regione Veneto”, di uno dei più grandi poeti italiani di oggi, Alfredo Giuliani, autore di volumi per Einaudi, Feltrinelli e Adelphi e critico letterario del quotidiano “Repubblica”. Seguirà la premiazione delle tre vincitrici della sezione “Opera edita - Provincia di Verona”: Maria Attanasio, Enrica Salvaneschi e Maria Angela Bedini, la quale sarà premiata anche come Supervincitrice (grazie al voto di una Grande Giuria Popolare cittadina) con il libro “La lingua di Dio” edito da Einaudi. Il premio per la “Raccolta inedita” quest’anno è stato attribuito a Jacopo Ricciardi. Renato Job, autore ormai storico del panorama nazionale, sarà premiato (grazie al voto di una Giuria Critica nazionale) per la sezione “Una poesia inedita”. L’introduzione critica di ciascun vincitore sarà affidata a Flavio Ermini. I lavori saranno coordinati da Ranieri Teti. Una scelta delle poesie di tutti gli autori premiati sarà interpretata dagli attori Carla Totola e Massimo Totola. Michela Oldin eseguirà quadri di danza e Francesco Bellomi al piano proporrà musiche di sua composizione ispirate dai testi, in prima esecuzione assoluta, accompagnato alle percussioni da Marco Dal Bon.
Festival Cinema Giovani, Torino (2° Premio Spazio Italia)
Regia e fotografia: | Andrea De Rosa |
Montaggio: | Claudia Rizzo |
Musica: | Lennie Tristano |
Interpreti: | Marco Olivetti |
Produzione: | Andrea e Sergio De Rosa, Megaris |
Distribuzione: | Vitagraph |
Italia 1992, BVU, 19’
La dottrina della fenomenologia trascendentale, elaborata da Edmund Husserl all’inizio del secolo, alla quale il video dichiaratamente si ispira, impone di ricercare l’essenza di un fenomeno mediante una sospensione, epochè, del fenomeno stesso. Solo così, attraverso questa riduzione, è possibile un ritorno alle cose stesse così come esse si presentano nella concreta esperienza vissuta (erlebnis).
La testimonianza di un non vedente diventa allora un percorso privilegiato per interrogare il fenomeno stesso della visione (e con esso l’essenza stessa del cinema) a patto che si accetti di smarrirne il senso.
Andrea De Rosa (Napoli, 1967) laurea in Filosofia, ha lavorato come compositore di colonne sonore e tuttora come regista teatrale. Ha firmato la regia dei cortometraggi:
Interno con figura, frutta in controluce e soldi (1993); Appunti per una fenomenologia della visione (1994); Sul limite (1995); Il sesso (sul set de L'amore molesto 1995); La visita (2002).
Sabato 30 ottobre 2004
Palazzo della Gran Guardia, Piazza Bra, Verona
MATTINA
10.00-11.00 RASSEGNA DI POESIA – I parte
Letture di poeti contemporanei
Musiche originali di Francesco Bellomi e quadri di danza di Michela Oldin
11.00-11.30 ESTETICHE DELLA PERCEZIONE
Video di Sirio Tommasoli e riflessioni di Flavio Ermini
11.30-12.30 POESIA A TEATRO
Poesie di Rilke, Cvetaeva, Eliot, D’Annunzio, nell’interpretazione di Jana Balkan e Isabella Caserta
Musiche di Webern, Berg, Schoenberg eseguite al pianoforte Francesco Bellomi
12.30-13.30 RASSEGNA DI POESIA – II parte
Letture di poeti contemporanei
Musiche originali di Francesco Bellomi e quadri di danza di Michela Oldin
POMERIGGIO
14.30-15.30 RASSEGNA DI POESIA – III parte
Letture di poeti contemporanei
Musiche originali di Francesco Bellomi e quadri di danza di Michela Oldin
15.30-16.00 POETICHE DELLA PERCEZIONE
Prosa poetica di Giacomo Bergamini nell’interpretazione di Jana Balkan e Isabella Caserta
Riflessioni di Silvano Martini
16.00-17.00 RASSEGNA DI POESIA – IV parte
Letture di poeti contemporanei
Musiche originali di Francesco Bellomi e quadri di danza di Michela Oldin
17.00-17.30 APPUNTI PER UNA FENOMENOLOGIA DELLA VISIONE
Cortometraggio di Andrea De Rosa, con un intervento del regista
17.30-18.00 AFFERRARE, GUARDARE, ASCOLTARE
Relazione di Carlo Sini
18.00-19.30 PREMIO DI POESIA LORENZO MONTANO
Cerimonia conclusiva di premiazione promossa dalla Biblioteca Civica di Verona
Saluto delle autorità
Premiazione di Alfredo Giuliani per “Opere scelte - Regione Veneto”
Premiazione di Jacopo Ricciardi per “Raccolta inedita”
Premiazione di Maria Attanasio, Maria Angela Bedini, Enrica Salvaneschi per “Opera Edita - Provincia di Verona”
Premiazione di Renato Job per “Una poesia inedita”
Carla Totola e Massimo Totola interpretano una selezione di testi premiati
Musiche originali di Francesco Bellomi eseguite da Marco dal Bon, Eleonora Moro e dal compositore stesso
Quadri di danza di Michela Oldin
Coordinamento dei lavori: Agostino Contò, Flavio Ermini. Ranieri Teti
Per informazioni www.anteremedizioni.it — e-mail premio.montano@anteremedizioni.it
Dopo molti anni di reciproca e assidua collaborazione, dopo aver incontrato decine e decine di autori nel corso delle cerimonie di premiazione (tenutesi prima nella bella Sala Farinati della Biblioteca Civica, poi in Sala Montanari della Società Letteraria, infine nei prestigiosi spazi del palazzo della Gran Guardia), dopo aver considerato il grande patrimonio di rapporti, conoscenze, vicinanze di “sentire” accumulato nel tempo, ci è sembrato quasi naturale inventare un spazio completamente nuovo: un’intera giornata dedicata alla voce diretta dei poeti. A tutti i poeti che in questi anni hanno accompagnato la vita del premio Montano.
Una lunga strada: 19 anni conta il Premio di poesia “Lorenzo Montano”, affiancato alla trentennale vita della rivista “Anterem” che lo organizza, e dieci sono ormai gli appuntamenti con Editori e poesia, la rassegna nata in collaborazione con la Biblioteca Civica di Verona, e dieci anni conta anche il Centro di documentazione sulla poesia contemporanea (tremila volumi a stampa, decine di migliaia di dattiloscritti). Il percorso è giunto in un luogo che si pone come punto d’incontro e reciproco ascolto tra poeti di varie provenienze, geografiche e letterarie. Questo è il senso primario che vogliamo attribuire alla più rilevante novità nata intorno al Premio: la creazione della Biennale di Poesia di Verona.
Come ulteriore senso, questa manifestazione si propone anche di diventare luogo d’incontro “altro”, con momenti di approfondimento, incursioni in ambiti artistici vicini a quello della parola: la musica, la danza, le arti visive, il cinema, la filosofia; non vuole essere un punto di arrivo ma di nuova partenza, per un lungo viaggio da compiere insieme, continuando a tenere la rotta verso una poesia di pensiero.
Testimone dell’unicità di questo evento, documento cui è demandato conservare traccia e memoria dell’incontro di tanti poeti, sarà l’originale “Antologia della Biennale”. Questa cartella vuole essere la documentazione di quel che si è letto; ma non può, naturalmente, trasmettere altri livelli di percezione: il clima generale di entusiasmo, di attenzione, di vero scambio di “anime” che c’è stato sabato 30 ottobre 2004.
E’ una testimonianza, ed insieme un modo per ringraziare quanti hanno voluto con entusiasmo vero contribuire al buon esito della manifestazione.
Agostino Contò
La cartella, progettata da Sirio Tommasoli, contiene i multipli dei testi letti nell’ambito della
Prima biennale di poesia 2004-2005. Officina della percezione, I,
tenutasi in occasione della XIX edizione del premio di Poesia Lorenzo Montano.
L’iniziativa è voluta dal Comune di Verona – Biblioteca Civica e da Anterem edizioni.
Tiratura limitata a n. 99 esemplari
Esemplare n. ___
Valentina Albi, Maria Alloisio, Gilberto Antonioli, joseph Barnato, Primerio Bellomo, Giovanni Bollini, Maria Grazia Calandrone, Simone Cangelosi, Stefano Cappelletti, Alberto Caramella, Chiara cavagna, Roberto Cogo, Mauro Comba, luca Maria Del Punta, Giarmando Dimarti, Paolo Donini, Roberto Fabris, Diego Fantin, Roberto Fassina, Adelio Fusè, maddalena Gabaldo, Lucia Gaddo Zanovello, Fabia Ghenzovic, Andrea Gigli, Gennaro Grieco, Michele Lalla, Giuseppe Lardone, Piera Legnaghi, Danilo Mandolini, Marcello Marciani, Emanuela Mariotto, Riccardo Martelli, Giulio Marzaioli, Francesca Monnetti, Emidio Montini, Meeten Nasr, Francesca Noceti, Carla Paolini, Anna Maria Pes, Luisa Pianzola, Daniela Piazza, Fausto Maria Pico, Paolo Pucciarelli, Alessandro Pugno, Salvatore Risuglia, Luca Rizzatello, Luciana Rogozinski, Leonardo Rosa, Serena Savini, Domenico Settevendemie, Fausta Squatriti, Liliana Tedeschi, Italo Testa, Oscar Tison, liliana Ugolini, David Wilkinson, Maria Grazia Zamparini, Giovanna Zoboli, Silvia Zoico, Marco Zulberti