Per non dimenticare Gio Ferri

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Ferri e Ermini

Ricordiamo Gio Ferri (1936-2018), poeta e prezioso collaboratore di “Anterem”.

Le due foto sono di Dino Majellaro. Ritraggono Ferri (in primo piano) e Flavio Ermini, impegnati nel progetto di un’antologia poetica chiamata “Squero”. Era il 1980. A quella riunione partecipavano Brandolino Brandolini d’Adda, Alberto Cappi, Nino Majellaro, Guido Savio.

Il testo che segue è dello stesso Ermini e costituisce la testimonianza di quanto sia stato importante il lavoro di Ferri.

L’impegno poetico, artistico, sociale di Gio Ferri.

La vita di Gio Ferri è stata un viaggio verso le zone ignote e imperscrutabili dell’anima, nella convinzione che quanto veramente esiste è l’uomo interiore. La scrittura si è così rivelata il modo privilegiato attraverso il quale Ferri ha potuto condurre la sua rivolta contro l’invasività della cultura propria delle classi dominanti., così attente a privilegiare dell’uomo l’esteriorità, l’apparenza.

È un’arma la poesia. La si lancia e la si riceve come un ordigno. Ci esplode dentro. Ferri ne era consapevole e con le sue opere – quali in particolar modo le poesie visive – è giunto a conquistare una posizione vantaggiosa per la lotta; ha aperto le strade a un nuovo gesto di liberazione, cercando la fessura da cui colpire, il lato da cui evitare il colpo, lo schermo in cui svanire o falsamente apparire. A questo proposito ricordiamo almeno Le cose i segni, Todariana,1979; Appunti per un trattato sulla violenza, Altri termini, 1977; Fragile, Myself print, 1980.

Gio Ferri ha elevato barriere contro l’ingannevole canto delle sirene, contro gli agguati dell’io, contro il rischio si uscire dalle linee dell’attenzione sociale. La sua voce critica si è stagliata con nitidezza sopra il ronzio incessante dei commenti estetici, delle opinioni al minuto, dei giudizi pontificali pre-imballati. Penso soprattutto a Verso l’inizio, antologia da Gio Ferri curata con me e Cortellessa, Anterem, 2000.

La sua era una voce che non lasciava spazio ad alcuna remissione, ad alcun lassismo, ad alcuna scorciatoia nel corpo a corpo con il testo; imponeva la responsabilità più vigile, la mobilitazione più convinta. Chi ha avuto la fortuna di seguire l’opera di Ferri fin dentro agli anfratti della narrazione e della prosa poetica – come in Albi, Anterem, 1989 – è venuto a trovarsi nel cuore stesso della scrittura,

Viviamo tempi volgari. Le forze politiche che ci governano stanno creando il vuoto intorno a noi; hanno fatto scendere un fitto velo tra noi e la realtà. Ferri e pochi altri scrittori hanno presagito la disgrazia in ciò che si stava preparando e come dei sismografi sensibilissimi hanno denunciato questo stato di cose, operando un lavoro critico di destrutturazione e di ricomposizione, fondato sull’ottica del rovesciamento, della metamorfosi, dell’eversione. Hanno abbandonato la strada maestra delle idee chiare e distinte per inoltrarsi (penso alla rivista “Testuale”, da Ferri fondata e diretta con Gilberto Finzi e Giuliano Gramigna, Myself print) sulle vie laterali di un sapere problematico e costantemente provvisorio ed esplorare i luoghi marginali dove la libertà si annida.

In Ferri, tale modello trova puntuali applicazioni nelle strategie critiche di avvicinamento ai tanti testi di cui si è occupato con saggi critici (in parte raccolti nell’opera La ragione poetica, Mursia, 1994).

Ferri ha denunciato la metamorfosi della critica in affermazione di sé, tanto che il pensiero è diventato merce e la lingua imbonimento. Lo spirito non può che dileguarsi, ripeteva Ferri, quando è ridotto a industria culturale e distribuito a fini di consumo, di manipolazione, di costruzione di consenso. Ricordiamo a questo proposito i tre volumi dell’Assassinio del poeta, Anterem, 2007, 2010, 2013.

Il mondo appare più inospitale che mai. Appare inconoscibile e ostile, atto a ferire e a sfregiare la dignità della persona umana. Ferri ne dà conto in due opere sorprendenti per lucidità: La responsabilità, Laboratorio delle arti, 1974; L’appartamento, L’aquilone,1975. In questi due libri Ferri ha dimostrato che l’arte di piacere era a lui sconosciuta, convinto com’era che la parola che vuole piacere è una parola che vuole soggiogare.

La scrittura di Gio Ferri, nelle varie forme in cui si articola, denuncia la profonda inquietudine di fronte al dolore delle persone, specialmente quando è dolore provocato dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dolore provocato dalle speranze recise e dalla caduta delle illusioni, ancora più lancinanti per chi giunga da continenti lontani.

Ferri ci ha insegnato l’importanza di denunciare quanto inumana sia la nostra indifferenza nei confronti delle ferite strazianti che noi stessi con la nostra indolenza e la nostra ignavia, procuriamo.

L’impegno poetico, artistico, sociale di Ferri sarà testimoniato da una grande mostra che sarà inaugurata sabato 12 ottobre 2019 nella Biblioteca Civica. Tale mostra costituirà l’inizio del Forum Anterem, nel corso del quale si svolgerà la cerimonia conclusiva del Premio Lorenzo Montano, trentatreesima edizione.

Flavio Ermini