MEME
Un meme decade dal suo detto
avocando in remoti frammenti di linguaggio.
Indescritti “geni egoisti” replicano
nuovo logos, di ogni culto afoni, fecondi
all’insipiente clone gravido di nulla.
Una genetica difforme crea esistenze
mediatiche, relazioni tra realtà e parvenza
del cui stato rituale si imbeve l’esperire.
A spersi fotogrammi divampa
la solitudine dell’imperio straniato
Offusca in diagonale. Confina
ogni lirismo a sua minaccia.
Ruminatio sottesa al violato limen
emersa in sotterfugio linguistico
parafrasi dell’anemico adagiarsi in linea retta.
Abdica oltre il crogiolo temporale
Accogliendo variazioni nel potenziare
sviluppo di istantanee derubricate
alla “Santa Inquisizione “di Sua Vastità la Rete.
Il vuoto campo di liturgie simboliche
in apparizioni devote a lemme sconfinante
il nitore del cogitante paradigma, naufragano
l’Archetipo a messe gravida di scorie emozionali.
Isole emerse da generanti veli sterili
Condensa in stille disarmoniche
Offuscate da torpide allucinazioni condivise.
Rifulge in mugghiante anomalia
Homo sacer asceso in spazi paralleli
“il futuro è solo una malattia dell’enigma”
che promana in dissacrata, spenta liturgia.
Un vocabolario ricercato, attualissimo e antico, attraversa questa poesia di Marina Petrillo: già nel titolo c’è il “meme”, uno dei simboli del nostro tempo, ci sono “esistenze mediatiche” e allo stesso tempo latinismi e termini recuperati da un dire passato.
Tutto questo produce una lingua ibridata, metamorfica, che è la base per la costruzione di un testo che via via diventa una forma di resistenza.
In questa poesia si crea un cortocircuito linguistico tra contaminazioni e versi memorabili: questo spaesamento è lo stesso che si coglie nel suo senso complessivo, come se l’autrice osasse andare sempre un po’ più in là, verso dopo verso. Non c’è tregua, nessuna sospensione: l’opera chiede all’autrice di evitare “ogni anemico adagiarsi”.