A crudo del resistere
Non appare tanto la messa in luce di parametri per affrontare la ferocia del vivere, lungo le ascisse e le ordinate del vissuto e del sociale, come il titolo dell’opera di Fabrizio Lombardo, Coordinate per la crudeltà, indurrebbe a pensare. Quanto piuttosto, parrebbe, una messa a nudo, o meglio a crudo, seguendo l’etimo di crudeltà, dei nodi irrisolti del sentire dal punto di vista di chi tale brutalità, esplicita e implicita, subisce. Senza poter trovare criteri di riferimento per resistervi. In più, avendone perso o scordato le coordinate. Appare una precisa scelta. Non solo e non tanto un mettere l’accento sugli elementi di violenza del potere storico-sociale contemporaneo come delle avversità che sottraggono affetti e speranze. Quanto posizionarsi su un piano altro: quello del riconoscersi, operando un ribaltamento di prospettiva, nella percezione di tutto ciò che è falso, mancato, dimenticato.
Nell’oscillazione del senso, nei rovesciamenti dei punti di vista, nella sottrazione progressiva del dire. Rovesciamenti che appaiono visivamente nelle barre oblique interne ai versi ad evidenziare, nella separazione di dati ribaltati o contrari, il capovolgimento continuo, in «questo disfare/ e trattenere», della percezione e del sentire. Tutto mostra segnaletiche e confini e tutto sfugge, resta indecifrabile. Nel dolore personale, «lasciandosi dietro la vita intera». Nei percorsi esistenziali delle ‘false partenze’ e della mancanza di un «punto fermo / o coordinata da ricordare». Nel sociale degli spazi commerciali e del profitto dove con maggiore intensità si mostra la ferocia della «dittatura del contemporaneo». In una continua sottrazione, che è anche «sottrazione di sé».
La parola è crudele? Sicuramente nel dire del potere, nel «freddo tagliente delle frasi fatte», nel mescolare «vergogna e vita vera con la sintassi / della menzogna». Tanto che Fabrizio Lombardo, di questo svendere parole, non può che dichiarare: «Non chiamarlo progetto di poetica / geometria binaria, o gioco d’ombre». Non conosce invece crudeltà, se non il mettersi a crudo, quando la parola ammette la propria insufficienza, quando si mostra a nudo, quando riconosce che «solo la dissonanza ci descrive». Ed è proprio questa posizione, etica e poetica insieme, ad apparire in piena luce: un dire senza potere, senza ordine né geometrie. Poiché mettere ordine non è compito della poesia. La poesia non si muove per coordinate. Lascia libere le discordanze, la loro intensità, la loro resistenza, il loro dolore.
Da: FALSE PARTENZE
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È molto più onesto ora farsi da parte, dirsi fuori quota
per gare come questa. Ammettere che non è il terreno
adatto. Che è stata solo una falsa partenza. Dire
che la pazienza è andata. O anche scrivere
delle solite cose, ripetere i fondamentali
e risparmiare fiato per i giorni che verranno
per l’ennesimo novembre di silenzio e allenamenti mancati.
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Ora che la geometria dell’occhio mostra la città
tra le rette parallele dei binari cominceremo
a contare gli anni, le voci e i silenzi, gli addii
che lì si sommano. Grammatica del vuoto/ snodo del futuro.
D’estate, la sera, qualche volta si vedono le ombre
venire da lontano/ passarci il cuore da parte a parte.
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Scrivo il falso – spesso – e svendo le parole
mischiando vergogna e vita vera con la sintassi
della menzogna. Non chiamarlo progetto di poetica
geometria binaria, o gioco d’ombre. Serve più coraggio
a vivere i pochi gesti possibili/ quelli rimasti.
Qualche respiro preso in prestito. La notte, nelle case.
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solo la dissonanza ci descrive. un modo per dire
che tutto quello che è venuto a mancare – non l’amore
intendo (non qui), ma il rancore/ la gola che brucia,
la voce inceppata, raccolta dietro i vetri,
fra i libri, o fra le giunture delle mani – è un altro
silenzio ancora/ una memoria che dobbiamo – tu e io –
mescolare a questo rumore/ perché possa appartenerci ancora.
Da: COORDINATE PER LA CRUDELTÀ
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Nella camera solo la resistenza dell’aria contro
le vetrate. Tu sai quello che mi consuma:
il vento freddissimo/ l’attesa. Inutile
spostare il cappio che indosso come un regalo
d’addio/ molto alla moda però. I nervi
ancora fuori posto. La traccia curva lasciata dalla luce
confonde/ cede a questo falso lirismo/ irrita anche le parole.
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Ho dimenticato ancora una volta le coordinate per la crudeltà.
Riprovo con i vetri aguzzi, il ghiaccio tra i denti,
l’incertezza/ la resa. Abito vestiti soliti.
Con poche sfumature di grigio e di nero
per mimetizzarmi meglio con la ghiaia davanti a casa.
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raccogli la mia morte senza nessuna parola
cercando di non concedere saldi all’esistenza ed evitare
sconti alla vita. almeno oggi, metti ordine alle cose
rimaste indietro, pulisci casa, indossa la mia ombra.
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ora che anche il verde è venuto a mancare
rimane solo il muro, qui, appena fuori dalla porta.
ti ho cercato anche oggi, ma con pudore,
sperando che non ti accorgessi di nulla
nascosto tra le righe scritte storte a matita,
in apnea dentro ai giorni. storti anche loro.
***
Provo a spezzare questo dolore in due parti
come pane appena fatto. Lento, mastico la mia
e faccio briciole della tua sperando che i merli
ne mangino. Che non ritrovi la via di casa nostra.
Da: PER I GIORNI DI PIOGGIA
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senza dare peso alle cose. a nient’altro. in questa
stanza chiusa come per un trasloco fatto in fretta.
contare i giorni/ la vita arrugginita alle pareti
e cancellare ogni traccia. dire di non esserci
stati. dentro alla storia. in questi anni. abitare
l’ombra/ e perdere. anche quel poco.
Da: RETAIL
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Continua a chiedere se voglio un’altra birra il grassone
dietro al banco nella Zum Uerige a Düsseldorf. Tra facce
d’affari e ubriachi abituali ripenso
a come quello che abbiamo visto oggi sarà superato
e vecchio tra pochi anni. L’innovazione degli spazi
commerciali – siamo qui per questo – suonerà vuota
dentro al freddo riflesso dello smart shopping:
dittatura del contemporaneo/ monopolio di mercato.
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Piove cenere. Con trent’anni di meno fotograferesti
questo sole mancato, questo cielo da Instagram
nel tentativo di una descrizione in atto. La questione non
è più privata. Ti è concesso solo di guardare la serratura
né buco né chiavi. Ricominciare da capo. L’ululato dei lupi
che non sono lupi, tutt’attorno.
Fabrizio Lombardo (Bologna, 1968), ha fondato nel 1994 “Versodove, rivista di letteratura”. È direttore operativo di una catena di librerie. Cura la rassegna di poesia Passaggi di versi all’interno del festival di saggistica Passaggi (Fano). Ha pubblicato Carte del cielo, (VersodoveTesti, 1999), di quello che resta (Fara,1998), Confini provvisori (Joker, 2008) e Coordinate per la crudeltà (Kurumuny 2018): finalista al premio Tirinnanzi, segnalato ai premi Pagliarani e Bologna in lettere.
È presente in: Il grande blu, il grande nero (Transeuropa), Sesto Quaderno di Poesia Italiana (Marcos Y Marcos), Ákusma (Metauro) Parole di passo (Aragno), Parola Plurale (Sossella). Suoi versi sono apparsi su Il Verri, Poesia, Tratti, Atelier, La clessidra, L’Ulisse, e su numerosi quotidiani.
Ha curato le note del volume Yellow, di Antonio Porta (Mondadori)